CAPITOLO
III.
Lo studio di
pittura
Da quindici giorni
circa, Alfredo lavorava in fretta e furia attorno al suo quadro, Il
Parlatorio del Convento di Monache. Lo voleva compiere in breve, chè
lo cuoceva brama ardente, di rivedere anche un momento solo, per una propizia
occasione, la sua Violetta. Volea bearsi anco una volta di quella vista a lui
tanto cara. Di quell'angelico sorriso, che egli nel suo quadro non sapeva col
penello emulare. L'avrebbe veduta fra l'ombra del monastero, ma non importa.
Non potea persuadersi, siccome Violetta, tanto giovane e bella, col suo sentire
tanto squisito, tanto nobile, tanto giocondo, volesse seppellirsi in un
Convento, rinunciando così alle gioje comuni della vita.
Cirillo Buonpensieri,
l'amico sincero, desioso di rivedere il suo Alfredo dopo circa due mesi di
assenza, entrava in quel momento nello studio di pittura. I due amici
d'infanzia si abbracciarono con entusiasmo, e dopo parecchie domande di Cirillo
ad Alfredo, sulle bellezze ed avventure del di lui ultimo viaggio, il primo si
meravigliava pel soggetto del quadro di genere, in grande formato, quasi a
termine. Il Parlatorio di un Convento di Monache? Io avrei scelto,
osservò allegramente Cirillo, piuttosto Gli effetti soavi di una festa da
ballo! Quadro di fantasia contemporaneo. Che ne dici il mio grazioso
Cenobita? Anch'io, vedi, ebbi l'incarico di scolpire in marmo, un Alcide, ed
invece scolpii Ebe, proprio nel momento in cui cade sconciamente colla fiala
del suo nettare, dinnanzi a Giove.
De gustibus non est
disputandum, amico Cirillo, osservò sospirando Alfredo: io amo gli effetti
mistici, il silenzio, la mestizia del ritiro ecc. Scommetterei, invece, replicò
Cirillo, che tu mi fai qualcuna delle solite imprese alla Don Giovanni. Cose
ormai giù di moda. Bada che questo dipinto magnifico per verità, non abbia a
costarti dei grattacapo! Tu dovresti andare ad imparare il «mutano i saggi a
norma dei casi i lor pensier»
Dimmi chi vive là dietro
la cancellata, frammezzo a quelle due carcasse, che attrae il tuo pennello? Vi
cerchi forse la Fata Armida del Tasso. - Sai bene che noi ci conosciamo. Parlami
franco...... Là entro vi è un amore infelice. Un disinganno orribile forse, e
tu hai scelto, da quel cuore appassionato che sei, il mezzo artistico che ti
aiuti a vedere, od a rivedere, od a parlare, o magari a baciare, se la potrai
far franca, od a far pentire, insomma, della sua tetra risoluzione, qualche
monachella, stanca, non per sempre forse, della vita sociale.
..... Alfredo,
sorridendo melanconicamente: sarà come tu vuoi, disse. Tu sei un distinto
inquisitore, ma io, in questo momento, non devo confessarmi che a Dio. Di te,
mio buon amico, io non diffiderei, ma tu ridi sempre di tutto, ed io non amo
parlare con chicchessia, perocchè mi parrebbe sciupare un oggetto
delicatissimo......... Cirillo, non replicò, e pel suo umore sempre gaio, nel mentre
distratto, seguiva le linee accuratissime del pennello di Alfredo, prese a
narrare all'amico di un suo episodio galante di dieci anni addietro, colla
intenzione lodevole di far meno triste Alfredo.
Io aveva 18 anni,
cominciò, Cinzia 16 appena. Occhi biricchini, inquieta al pari di un'anguilla.
Le nostre dimore distavano di un miglio press'a poco. Ella d'un paese, io d'un
altro. Un ponte sul lago, che ivi si restringe, ravvicinava i due paesi di
diversa provincia.
La messa della Domenica,
favoriva da qualche settimana il vederci, ed il sommesso parlarci, in causa,
vedi, della improvvisa elettricità sviluppata dai nostri quattro eloquentissimi
occhietti. Ma quei benedetti angeli custodi, cioè la nonna, la zia, la mamma,
la serva, e secondo le giornate, anche una Teodora invida sorella maggiore,
quali pompieri matricolati, procuravano spegnere il nostro incendio. Mi duole
il dire, che anche Cinzia aveva un pochino del barometro, pativa la luna,
perchè il suo nome era tale. Come fare a trovarci una benedetta volta soli? «Soli,
eravamo e senza alcun sospetto.» Diceva a Dante la Francesca da Rimini.
Pensa e ripensa, ho trovato di abbandonare una mattina, dietro il cancello
della villa di Cinzia, una gabbietta, con entro un passero, dei quali, la
giovinetta era entusiasta.
Nella beccaruola posi un
fogliettino, colla scritta: «Datemi un appuntamento, domani, Domenica, io
sarò presso la porta della Chiesa. Pregate vostra sorella Teodora, ad aiutarvi,
in caso, per la consegna della risposta. Speriamo che il Barometro sia sul
bello». Cinzia tanto vivace, correva spesso pel giardino, e naturalmente fu
la prima a raccogliere la gabbiola. Intanto io come il gatto, da una boscaglia,
tutto vedea, e vedea perciò Cinzia a leggere il viglietto.
Pare che si viaggi
discretamente, dissi fra me, ed ora vedremo... Ma ad onta che aspettassi colà
rannicchiato più di un'ora, nessuno più venne, e allora esclamai: pare che si
viaggi maluccio! Tornai perciò al mio paese, e sulla sera, del dì successivo,
Domenica, per distrarmi, io pescava colla canna e l'amo, in riva del Lago. La
stessa sera, intorno al tramonto, era sempre Domenica, Cinzia colla nonna, la
mamma, la zia, la sorella Teodora e la orrenda cameriera, tragittano il ponte,
con quel passo che significa andiamo a passeggio. La ninfa mi venne
vicinissimo, in apparenza indifferente, presso alla mia canna, lasciò cadere
nell'acqua un involtino di carta color di rosa. Ho mangiata la foglia, dicea la
maschera Gioppino, e perciò diedi un esperto colpo di canna sotto l'involtino
che l'amo infilzò. Potei tosto con molta prudenza, leggere sulla inumidita
carta, queste parole: «Domani sera, alle otto precise, sotto il pergolato
del giardino, presso la porticina, che lascierò aperta.» (In maggio alle
otto ore, è ancor ben chiaro, per cui Cinzia non aveva fatta una imprudenza....
A quella età tutto è fiducia, e lo scultore non era poi un cannibale!) Sono gli
slanci romantici della prima gioventù, innocente età ma sempre istintivamente
calda di amore, siccome l'usignuolo che canta tutta la notte nel bosco.
Alfredo, parve, per un
momento, che pigliasse interesse al racconto di Cirillo, perchè abbassò il
pennello, e staccò gli occhi dal suo quadro. Scommetteremmo che il Pittore
desiderasse una infelice riescita anche per l'amico Cirillo, essendo
naturalissimo, il solatium miseris, socios habere penantes.
Cirillo, sospese
alquanto il suo racconto idilliaco e, poi sospirando esclamò. Diletto
Alfredo;... «Udirai e saprai se m'ha offeso!» (Dante-Ugolino)..... per
la mia prima impresa o quarta che fosse, che non bene rammento, toccai quella
jettatura, che tu hai sempre in bocca: Mefistofele, come, udrai, vi ha cacciate
le sue corna.
Le ore di quella notte
dalla Domenica al Lunedì mi passarono lente lente, siccome i viaggi in
diligenza di una volta. Io provava la infuocata brama di conoscere, come
sarebbe andato a finire il mio quarto avvenimento tentato. Girava inquieto la
piazza, non appena sorto il sole del sospirato Lunedì - mangiai quasi niente in
tutto il giorno. Scoccano le ore diciotto, ne mancano due sole, dissi nel mio
cuore febbrilmente..... oh! Dei!! in quei momento giunge una polverosa vettura
a due cavalli sudati e stanchi, piena zeppa di viaggiatori.
Volle malaugurata
curiosità, che io mi avvicinassi a quella ambulante baracca, ed oh! sventura
irreparabile! Erano il mio nonno, la nonna, tre zii, tre zie, ed una serva che
venivano dalla città a visitare la mia mamma, la quale era poi, già s'intende,
la loro rispettiva figlia e sorella. Tutta quella gente, eccetto la serva, era
discretamente facoltosa, veniva di rado, dalla lontana città, portava regali,
per cui alto là, conviene dimostrare loro la infinita gioia di abbracciarli. E
per raggiungere un simile intento, mi cacciai anch'io in mezzo a quella
moltitudine fino a casa mia, con disgusto del vetturale, che gridava, non
c'è posto!
La gioia di mia madre,
più sincera, non la si può descrivere. Volea fatalità, che mio Padre, ai
forestieri giunti allora dilettissimo, fosse, fino dal mattino, andato a piedi
in un paese di montagna, discosto un'ora di viaggio, e per un suo affare
qualunque - e volea fatalità, che quel paese, fosse in direzione diametralmente
opposta al pergolato del giardino di Cinzia. Volea infine fatalità peggiore, che
mia madre mi spedisse insistentemente alla ricerca del papà, onde sollecitare
la sua dolce impressione pei nuovi arrivati. La febbriciatola nota del mio
cuore, giunse in quel momento ai 40 gradi (centigradi). Immaginate che alle
otto ore precise, siccome al viglietto, mancava solamente un'ora e mezza.
Vedrai, o Cirillo, dissi fra me, che il tuo affare va a rotoli e... come tenere
il piede in due scarpe? Per quanto io amassi i miei nonni, è certo che Cinzia
valeva di più, anche per ragione di età, al mio cospetto. Insomma, bisogna
obbedire la mamma, bisogna essere cordiali cogli adorati nonni, e si vada.
Correrò tanto, in modo
da arrivare in tempo anche sotto il pergolato di cui sopra. Follie! follie! Per
trovare mio padre impiegai cinque quarti d'ora, e per andare poi tosto, con un
pretesto qualunque, alla più simpatica mia località, impiegai mezz'ora, volando
(allora non v'erano biciclette). Siamo in ritardo, ma di soli 15 minuti,
tolleranza normale in tutti gli arrivi e partenze anche.... dei treni.
Trafelato, trepidante,
arrivo al cancello piccolo... è aperto! Oh! buona Cinzia, mi ha aspettato,
sclamai! Vado sotto il pergolato. Cinzia non v'è. Sovra un sedile di pietra,
sta un vigliettino che dicea: «Di solito quando un appuntamento preme, si
viene prima e non dopo. Conservatevi di quell'ottima (stile nostrano ma
chiaro).
«Quel giorno più non vi
leggemmo inante»
(Dante = Inferno, Canto V.)
Così o diletto amico, ho
finito il mio tentato quarto idillio. E sta pur tranquilla o disinvoltissima
Ninfa, le giurai, che un'altra volta, per simili affari, verrò piuttosto prima
che poi..... Alfredo per quel naturale solatium miseris, socios habere
penantes, sorrise ma per un minuto secondo.
Lord, a questo punto,
latra a squarciagola... Che sarà mai? Chi verrà a disturbare il lavoro febbrile
di Alfredo. È il procaccio.... Una lettera, colla soprascritta di calligrafia
maschile all'antica. Alfredo prega Cirillo a leggergliela onde non sospendere
gli ultimi ritocchi di pennello, al suo preferito quadro.
Cirillo legge:
Pregiatissimo Sig.
Blandis
Lago di Como, Maggio
18..
«Scrivo per conto di
Enrichetto, figlio di un mio vecchio amico. Mi perdonerà se non vengo in
persona a fare la commissione. Sò però che Lei è buono per ritratti, ad olio ed
anche senza. Di ciò me ne accorsi due anni or sono, quando per la prima volta,
vidi in casa Giacinto, mio cognato, un suo lavoro bellino. Noi avremmo il
progetto (per adesso prego di tenere segreto) di far dentro un magnifico
matrimonio colla mia cara nipote Violetta, però non si sono ancora veduti. Il
figlio del suddetto mio amico, è un giovinetto di bel sangue, e poi quando
morirà presto il mio amico, che è suo padre, gli resteranno senza fallo dei
campetti. E perchè la mia cara nipote si innamori subito, abbiamo pensato di
mandare il suo ritratto in grande ed a colori, a mio cognato. La fotografia non
mi piace niente affatto. È troppo smorta. Le lascio però il tempo di quindici
giorni. Io sono sicuro che ci faremo onore tutti. Dunque, o venga Lei qui, o
altrimenti mi scriva che manderemo costì, il buon Enrichetto a farsi
ritrattare.
«Intanto, ho il piacere
di rassegnarmi
suo dev.
Gioachino
Allocchio.
Tableau!.. Una lettera più chiara
di questa, io credo, disse Cirillo, che sia mai stata fatta dal Diluvio in poi.
Cirillo però si trattenne dal ridere, onde non irritare Alfredo, già sbuffante
di sdegno, e Cirillo inoltre, mentre leggeva la lettera, non si era accorto
come Alfredo mettesse in bocca la sigaretta dal lato acceso e gettasse il
pennello, intinto di nero, sul suo cappello di feltro bianco deposto su di una
sedia.
Alfredo grida: È una
indegnità per Dio, e poi ricompostosi, ed abbassata la voce soggiunse: potrebbe
anche darsi che il Sig. Gioachino fosse affatto vergine intorno al mio amore
per Violetta, perciò non si potrebbe male interpretare il suo scritto.
Dunque Violetta non o
ancora andata in convento, ed ora mi persuado che non vi andrà più. Credete
alle lettere che i cani rubano per portarle al padrone.... Il mio tanto sudato
quadro, è ormai inutile... maledizione... Addio ultima speranza.... Fra un paio
di mesi ed anche prima, Violetta sarà sposa del Sig. Bel Sangue. Insomma non
v'ha più cuore sulla terra. Ciò detto rimase tetro e muto, e appoggiò i gomiti
sulla tavolozza dei colori, conciando così le maniche della sua giubba a
somiglianza dell'iride.
Cirillo, non potè
ristare dal dirgli: Ma se non venderai il tuo quadrone alle monache Orsoline,
caro il mio S. Luigi Gonzaga, lo potrai vendere ai Frati Benedettini, tutta
gente facoltosa, e pace e gioia sia con Voi. Tu risponderai con calma, neh! al
S. Gioacchino del Bel Sangue sul Lago di Como, che vada a far ritrattare il suo
Enrichetto, figlio del suo vecchio amico che deve morir presto e futuro sposo
della Signorina Violetta, che vada, poniamo, a Costantinopoli. Ora amico
Alfredo io ti saluto, per oggi. Bada però che il mio cappello di feltro candido
quasi nuovo, me l'hai pitturato recentissimamente di nero fumo, ad olio, e non
senza olio. Ciao.
Alfredo avvilito nel più
profondo del cuore, per l'infausta lettera; perdonami, disse, caro Cirillo non
saprei come possa essere avvenuto lo sfregio al tuo cappello! Non me ne ricordo
davvero!...
Probabile che gli
innamorati smarriscano anche il dono tanto prezioso della memoria?
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