CAPITOLO
V
Violetta non vá più
monaca ma si marita.
Ci sia lecito dubitare
che Violetta, mentre era all'Albergo Climatico, avesse veduto Lord involarle, fuggendo
poi, la lettera da essa diretta alla maestra monaca nelle Orsoline.
Locchè noi presumiamo
dalla nessuna ricerca conosciuta. Violetta avrà probabilmente interpretato il
fatto, quale uno dei soliti smarrimenti senza conseguenze, per distrazione od altro.
Avrà pensato che la sua lettera fosse frammista ad altri oggetti deposti nelle
valigie. In certi casi della vita, è, del resto, miglior consiglio non fare
ricerca delle cose perdute. Così fece colei che aveva smarrita una pianella
nella neve, e così fece Alfredo del suo cappello lasciato in piazza, insieme
alla calotta del prete, nella notte di cui al Capitolo VII parte prima di
questo libro. Per sventura, però, tanto la pianella come il cappello furono
rinvenuti e diligentemente restituiti ai rispettivi proprietari, onde la
verità, con edificazione, venisse a galla.
Quel foglio sarà stato
scritto da Violetta in un momento di inesplicabile mestizia, facile alle
giovanette pensanti, fra un quarto di luna celato fra le nubi, o per la precoce
noia di una giovanissima vita non ancora soddisfatta dalle arcane indistinte
voluttà. Perciò, passato quell'istante di melanconia più comune al sesso debole
che al sesso forte, Violetta avrà trovato inutile rifare quella lettera,
rinviando la spedizione, in caso, a tempi peggiori. E ben fece, perocchè
durante il di lei viaggio di ritorno, venne informata di un progettino di
matrimonio per lei, allor allora spuntato sull'orizzonte. Un collocamento
convenientissimo anche a tutta la parentela..... La voce di questo affare erasi
sparsa diggià nel paese e dintorni e tutti, come al solito, voleano
commentarlo, colle frangie di rito. Anche Violetta aveva le sue invidiose,
specialmente poi quelle in età giusta, che non avevano potuto ancora
commuoversi di una richiesta della loro mano. Elogi farisaici di qua, critiche
esagerate di là. Gli spiriti inventori, già ingrandivano e già dettagliavano il
fatto, in modo da conchiudere, come quel mondo locale avesse in mente soltanto
Violetta.
Era la fama, deità
poetica, che si aggira continuamente, il dì e la notte, sui luoghi più alti,
per spandere notizie buone o cattive, e non si tace mai.
Virgilio nel Libro IV
dell'Eneide, l'ha descritta, colla sua grande maestria, come segue:
«È questa fama un mal di
cui null'altro
È più veloce, e com'più
va più cresce,
E maggior forza
acquista. È da principio
Picciola, e debil cosa:
E non s'arrischia
Di palesarsi: Poi di
mano in mano
Si discuopre, e
s'avanza: e sopra terra
Se'n va movendo, e
sormontando a l'aura
Tanto che il capo in fra
le nubi asconde»
Alfredo pure, sempre
disposto a credere a tutte quelle novità che gli potean recare danno, sperava
che la fama fosse stavolta mendace. E non volea persuadersi, conoscendo Violetta,
come questa transigesse a sposare un mercante di droghe e di liquori, tanto più
che il fidanzato avrebbe avuto diceasi, il difetto, di assaggiare la sua merce
volta per volta, a garanzia verso i clienti. Quel miscuglio di droghe e liquori
nel ventricolo, avrebbe potuto cagionare dei brutti accidenti, o quanto meno la
ubbriachezza perpetua, giustamente antipatica alle donne in genere.
Del resto - se la cosa
era conveniente, e simpatica agli attinenti di Violetta, non sarebbe stato
improbabile che l'imeneo alcoolico avesse compimento, e noi lascieremo andare
l'acqua per la sua china; non curandoci delle inquietudini di Alfredo, il quale
avea sortito:
«L'arte crudel di
fabbricarsi affanni».
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