CAPITOLO
VII
La lettera del Cugino in
secondo grado.
La curiosità, quando si
tratta dello straordinario, è malattia di tutti, siano gente frivola, o
sedicente seria, siano maschi, sien femmine, e tutti, come S. Tommaso, non si
accontentano del solo sentire e vedere, vogliono anche toccare senza
complimenti. Bisogna chiudere un occhio in proposito, perchè è un male
ereditato dalla progenitrice Eva. Noi pure, quindi vorremmo conoscere a fondo,
e senza troppo attendere, il contenuto preciso delle quindici valigie, prima, e
quello della lettera, poi. Per quanto riflette le magnifiche quindici valigie
di cuoio nero, sono presto vuotate. Ciascuna di esse conteneva la precisa
quantità, qualità e peso, per cui esaminatane una, e fatta poi la moltiplica
per quindici, doveva venirne un quoto sicuro. Ma Alfredo, Maddalena ed Elisa,
non appena riavutisi dal loro dolce spavento, hanno fatto, come i ladri. Tutto,
tutto, in fretta e senza pietà, sconvolsero di quanto stava bene distribuito in
quelle valigie, per cui il calcolo come sopra, progettato, ci riescirà
complicato.
Vediamo almeno il
mucchio piramidale irregolare, fatto dai fratelli Blandis, nel loro salottino
con tredici scranne.
Sono seicento pacchi da
cento monete d'oro ciascuno, fra Columbie, messicane, sterline e marenghi, che
formano un complessivo importo di tre milioni e centocinquantamila lire fatto
il conto alla buona, senza il maestro del villaggio. Siccome poi i fratelli
Blandis non avevano mai, fino a quel giorno, possedute delle monete d'oro, così
non si dovrà essere troppo severi, ove fossevi errore di aritmetica. Più mille
Banconotes Anglisch del valore di diecimila lire ciascuna. Queste fanno un
complessivo di dieci milioni di franchi. Siamo giunti finora alla somma di
tredici milioni e centocinquantamila lire.
Mancherebbero ai
quindici milioni, un milione ed ottocento cinquantamila lire, perocchè secondo
le dichiarazioni del Sig. Sterlingson doveano essere realmente quindici.... Ma
ecco qua. Gesummaria!.... Un sacchetto di raso color barbagliata, contenente
dieci brillanti grossi più di nocelle che poteano valere circa mezzo milione in
complesso, e cinquecento fra smeraldi, rubini, topazi, zaffiri, margherite,
opale, perle, camei, turchesi e coralli, da poter raggiungere il valore del
milione e trecento cinquantamila, che mancherebbe a compiere la cifra di
quindici milioni. Quelle cinquecento e dieci pietre, erano sciolte.
Altro che la beneficenza
delicata, altro che i doni della buona Zaira, Però vale talvolta più assai un
bicchierino di anice dato da chi non ha dippiù, in confronto di una bottiglia
di Champagne da chi ne ha mille.
Alfredo, naturalmente, è
già tutta una inquietudine... Egli ha in prospettiva uno o due ricatti a danno
delle sue care sorelle. Saranno rapite a forza, e seppellite vive in un antro
inesplorabile; egli verrà di sicuro truffato, derubato, assassinato quanto
prima, e Lord fucilato. E fra questi fastidj, non ultimo era la tassa in vigore
sulle donazioni. Ma ora passeremo, senz'altro alla lettura della lettera; più
importante forse di tutto il resto.
Panama, 20 Maggio 18...
Caro Cugino - Alfredo
Blandis,
Non ho più
famiglia....... morti tutti. Non ho più parenti, tutti morti. Un viaggiatore
lombardo però mi ha informato, che vivrebbe un mio secondo cugino, a quanto io
presumo. Quel viaggiatore, Sig. Franco Bombardoni, mi ha detto che siavi un
pittore di nome Alfredo Blandis, figlio del defunto Giuseppe e nipote di G.
Maria Blandis, mio avo, originario mantovano, senza beni di fortuna. Se è vero,
i miei minatori, gente sicura, lo sapranno presto, perchè li spedirò in
Lombardia a verificare personalmente. Mi preme assai di perpetuare, se
possibile, il nostro nome - e di migliorare la condizione della parentela. Io
sono nato qui. Ho nientemeno che 83 anni. Mio padre, che si chiamava Giuseppe
Blandis, morto 25 anni or sono, alla bella età di 88; e venuto qui dalla patria
di Virgiglio, quando aveva appena 20 anni, si è fatto ricco in quel lungo
tempo, lavorando alle miniere aurifere, del Perù, California, Columbia, e Costa
Rica, in modo che a poco a poco, per la sua grande attività ed economia, potè
da operaio semplice diventare padrone di miniere. Mi ha lasciato ricco. Presi
moglie, mi è morta presto, senza eredi, nè avea essa parenti conosciuti.
Continuai sulle vestigia del mio buon padre, e colla perseveranza però onesta,
ho potuto triplicare l'avito capitale. Ma che farne, se omai siamo a pochi
passi dal sepolcro? Se mai fosse sussistente che costì io abbia un parente,
anche soltanto, un secondo o terzo cugino, e prima ancora di lasciare per
testamento, cosa meno sicura, ho deciso, dopo maturo riflettere, di donarvi tra
vivi la metà della mia sostanza, intanto, salvo ecc. quella metà spedirla a voi
a mezzo di quattordici miei minatori diretti dal mio fidato Sterlingson
Roberto. Tutta gente inecceppibile, dalle mani callose, ma garantite senza
vischio.
Io non vi aveva finora
detto inoltre, una cosa che molto mi premeva. É dal 19 Marzo di quest'anno,
giorno di S. Giuseppe, nome probabilmente del mio pro-zio, che io sogno ogni
notte la stessa cosa. Mi appare ogni notte in sogno una figura di giovane
donna9 bianco vestita, assomigliante al quadro di Beatrice quando dal
Paradiso va all'Inferno ad incoraggiare Dante, ed essa prima mi prega, poi mi
comanda di ricordarmi presto, anche in vita, del mio parente Pittore, che
trovasi in Lombardia. Egli è povero, mi sussurra ogni notte, ha famiglia ed è
molto sventurato.
Sono trent'un giorni e
sono trent'un sogni identici. Perciò oggi 20 Aprile, per levarmi da ogni
inquietudine, decisi di spedirvi quindici valigie, contenenti ciascuna un
milione, in oro, banco-note e pietre preziose. Così oggi mi sento assai
sollevato nell'animo, e spero che stanotte non verrà più a sgridarmi quella
figura splendida sì, ma imponente troppo alla mia vecchiaia, bisognosa di
quiete.
Ricevute,
ringraziamenti.... tutto per me superfluo, perchè io sono abbastanza garantito,
e non permetto che vi umiliate a ringraziarmi. Scommetterei che sono più
contento io oggi a mandarvi quindici milioni, che Voi a riceverli. Io ne ho altrettanti,
e sono guadagnati senza macchia, ve lo giuro.
Vorrei vedere e baciare
questo mio unico parente, che ancora esiste in Italia, Mi sarebbe caro prima
che io muoia, e sento che poco mi manca a lasciare questa terra, che mi ha dato
dell'oro, ma mi ha rubato la pace del cuore, privandomi della mia cara
Mercedes, volata troppo presto al cielo. Vorrei vedervi e baciarvi, dicea, ma
un presentimento ostinato mi dice di rinunciare a quella consolazione e di
pregarvi anzi a rimanere in Lombardia. Siamo troppo lontani l'uno dall'altro.
Io sono nel cuore dell'America meridionale, e non si sa mai. Dunque restate.
Mandatemi il vostro ritratto e quello della vostra famiglia e della moglie e
figli vostri, se mai ne aveste. Questa lettera, mi ha costato molta fatica,
attesa la mia grave età, che ha scemate forze, energia, memoria e vista, perciò
anche non volendo, bisogna che cessi.
Dio conservi per lungo
tempo Voi e la famiglia vostra. Quando sarò morto, un requiem anche per me.
Addio.
Vostro Aff.
Cugino G. Maria Blandis.
Alla lettura di quel
foglio, semplice ma affettuoso, si sarebbe udito volare un muscerino, tanto era
il silenzio, il raccoglimento dei due fratelli uditori. Ma l'Elisa, quantunque attentissima,
non poteva ristarsi dall'accarezzare con materna premura, tutte quelle
cinquecento dieci pietre preziose, grosse. Tanto ne era innamorata, che quasi
scordavasi delle sfolgoranti Columbie.
Alfredo invece terse
colla mano una grossa lagrima, somigliante a quella che gli cadde dal ciglio
all'arrivo dei doni di Zaira....
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