CAPITOLO
VII.
Come tutto va a finire
in questa valle del pianto.....
Il filosofo di Ginevra,
l'uomo della Natura, Rousseau, disse: che la morte non è per l'uomo, se non
l'oblio dei tempi compiuti e degli avvenimenti trascorsi. Non è colla morte
pertanto, che tutto finisca, perocchè gli uomini onesti, di cuore, d'ingegno,
ponno sopravvivere lungamente fra l'umanità, ma potrebbe essere coll'oblio
delle cose belle e delle persone amate - «ogni affetto dal cor cancella il
tempo» - «La morte è la tomba del corpo, l'oblio la tomba del cuore......
Difatti, l'uomo, ad onta della sua presunzione di sentimentalità, sente della
sua materia, ed ha bisogno quindi di abitudine, di continuità, di positivismo,
altrimenti dimentica.
È questo l'emblema della
sua debolezza, ed è per ventura, il germe conservatore della sua prosperità
fisica, perchè l'uomo ha bisogno anche di vita materiale per sè e per gli
altri. In una parola ha bisogno di pace. Questo è l'egoismo necessario concesso
dalla Provvidenza all'uomo. Senza di questo tutti gli uomini si ucciderebbero,
o morrebbero di languore. «Cosa bella e mortal ben poco dura.» L'oblio può
inoltre derivare da sofferta ingratitudine o da immeritati disinganni. Ma viene
il tempo in aiuto, quale rimedio efficace, e salva l'uomo.
Quanti cambiamenti,
quante evoluzioni, deviazioni, novità, produce il trascorrere dei giorni, dei
mesi, degli anni! Quante scoperte produce il tempo, di persone e di cose!
Quanti velami fa cadere il tempo!.... Quante forti amicizie mutate in
indifferenza od in rancore: e dal rancore e dall'indifferenza il ritorno alle
assiduità alle simpatie. L'uomo fra gli altri suoi istinti annovera anche il variata
placent! Se le evoluzioni, le deviazioni, le novità prodotte dal tempo,
sono l'effetto non sempre di umana leggerezza, ma sibbene delle comuni
circostanze della vita. Il crescere dell'età, per esempio, una nuova famiglia,
nuovi bisogni, doveri, affetti, interessi. Ma consogliamoci, perocchè nè la
mente, nè il cuore, nè la terra, invecchiano mai. Non è che l'infermità
gravissima, la imbecillità cronica che rendono l'uomo smemorato e decrepito. Il
resto dell'umanità giovane o vecchia ma sana, può vivere ancora
confortevolmente, basta che su di essa piova ancora la rugiada morale,
vivificatrice. E sopratutto bisogna assuefarsi a due cose, alle sventure ed
alle ingiurie dei tempo. Pertanto non è assoluto, che tutto, tutto vada quaggiù
a finire colla morte o coll'oblio.
Dio ha dato all'uomo la
mente, che invecchia più tardi del suo corpo; il cuore che può sentire
ardentemente anche dopo lunga età e fino agli estremi della vita; la terra che
ogni anno riproduce mercè le cure dell'agricoltore. Dio ha concesso all'uomo
l'intelletto, il quale, quando sia nudrito dallo studio, può eternare coi libri
la sua ricordanza e le migliori gesta degli uomini, fra cui sono riprodotti
tanto gli episodi di gioventù, co' suoi errori, come le esperienze della
maturità, co' suoi rimedi. Dio infine ha dato all'uomo l'amore, che se
spontaneo, profondo, generoso, non si estinguerà mai.
Il divino poeta che
sapea dell'amore di Paolo e Francesca, cognati, li dipinge ancora stretti
insieme dopo morte nella bolgia desolata dei lussuriosi, ma non combusti dal
fuoco divoratore. Nel suo poema quel grande pensatore, li ha collocati
spietatamente all'Inferno. Forse per accontentare i pregiudizi clero-tirannici
di quella remota epoca, ma noi scommetteremmo, che Dante, se fosse vissuto più
tardi, li avrebbe tolti, pentito, dall'Inferno, per metterli in sede più
confacente, da loro guadagnata per il grande amore. Essi, in ogni ipotesi, non
sarebbero stati colpevoli che di un solo bacio tremante non sulla fronte, ma
sulla bocca, come cosa naturalissima. Essi furono due perfetti idealisti.
Nel suo Canto V. dell'Inferno,
Dante interroga Francesca così:
«Ma dimmi: al tempo de'
dolci sospiri
A che e
come concedette amore.
Che
conosceste i dubbiosi desiri?...
ed egli stesso
quantunque marito e padre di sette figli, ricorda, nel suo Paradiso scritto
all'età di 56 anni, il suo amore per Beatrice, sorto nella prima giovinezza,
l'amore degli angeli.
Al Canto 31. del Paradiso,
il grande Poeta, scrive le due terzine seguenti:
«E se riguardi su nel terzo
giro
Del sommo
grado, tu la rivedrai
Nel trono
che i suoi merti le sortiro.»
e più avanti
«O Donna in cui la mia
speranza vige
E che
soffristi per la mia salute
In
Inferno lasciar le tue vestigie»
Dunque il Poeta amava immensamente
Beatrice, anche quando non poteva farlo; egli l'ha collocata in Paradiso quando
estinta, e l'ha fatta andare dal Paradiso all'Inferno, perchè insegnassegli la
sicura via.
Alfredo pure, ad
imitazione di Dante, ed al pari di lui colpito dalla terribile corrente
magnetica, augurerà morendo, il Paradiso alla sua amatissima Violetta, ed il
Limbo, ai trionfatori del di lei amore, onde godersi alquanto almeno, della
loro separazione.
Ora diteci voi amabili
lettori e lettrici, se questa non sia la Valle del pianto?
|