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Arturo Bianchi
I ladri della pace

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  • PARTE SECONDA
    • CAPITOLO VII.   Come tutto va a finire in questa valle del pianto.....
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CAPITOLO VII.

 

Come tutto va a finire in questa valle del pianto.....

 

Il filosofo di Ginevra, l'uomo della Natura, Rousseau, disse: che la morte non è per l'uomo, se non l'oblio dei tempi compiuti e degli avvenimenti trascorsi. Non è colla morte pertanto, che tutto finisca, perocchè gli uomini onesti, di cuore, d'ingegno, ponno sopravvivere lungamente fra l'umanità, ma potrebbe essere coll'oblio delle cose belle e delle persone amate - «ogni affetto dal cor cancella il tempo» - «La morte è la tomba del corpo, l'oblio la tomba del cuore...... Difatti, l'uomo, ad onta della sua presunzione di sentimentalità, sente della sua materia, ed ha bisogno quindi di abitudine, di continuità, di positivismo, altrimenti dimentica.

È questo l'emblema della sua debolezza, ed è per ventura, il germe conservatore della sua prosperità fisica, perchè l'uomo ha bisogno anche di vita materiale per e per gli altri. In una parola ha bisogno di pace. Questo è l'egoismo necessario concesso dalla Provvidenza all'uomo. Senza di questo tutti gli uomini si ucciderebbero, o morrebbero di languore. «Cosa bella e mortal ben poco dura.» L'oblio può inoltre derivare da sofferta ingratitudine o da immeritati disinganni. Ma viene il tempo in aiuto, quale rimedio efficace, e salva l'uomo.

Quanti cambiamenti, quante evoluzioni, deviazioni, novità, produce il trascorrere dei giorni, dei mesi, degli anni! Quante scoperte produce il tempo, di persone e di cose! Quanti velami fa cadere il tempo!.... Quante forti amicizie mutate in indifferenza od in rancore: e dal rancore e dall'indifferenza il ritorno alle assiduità alle simpatie. L'uomo fra gli altri suoi istinti annovera anche il variata placent! Se le evoluzioni, le deviazioni, le novità prodotte dal tempo, sono l'effetto non sempre di umana leggerezza, ma sibbene delle comuni circostanze della vita. Il crescere dell'età, per esempio, una nuova famiglia, nuovi bisogni, doveri, affetti, interessi. Ma consogliamoci, perocchè la mente, il cuore, la terra, invecchiano mai. Non è che l'infermità gravissima, la imbecillità cronica che rendono l'uomo smemorato e decrepito. Il resto dell'umanità giovane o vecchia ma sana, può vivere ancora confortevolmente, basta che su di essa piova ancora la rugiada morale, vivificatrice. E sopratutto bisogna assuefarsi a due cose, alle sventure ed alle ingiurie dei tempo. Pertanto non è assoluto, che tutto, tutto vada quaggiù a finire colla morte o coll'oblio.

Dio ha dato all'uomo la mente, che invecchia più tardi del suo corpo; il cuore che può sentire ardentemente anche dopo lunga età e fino agli estremi della vita; la terra che ogni anno riproduce mercè le cure dell'agricoltore. Dio ha concesso all'uomo l'intelletto, il quale, quando sia nudrito dallo studio, può eternare coi libri la sua ricordanza e le migliori gesta degli uomini, fra cui sono riprodotti tanto gli episodi di gioventù, co' suoi errori, come le esperienze della maturità, co' suoi rimedi. Dio infine ha dato all'uomo l'amore, che se spontaneo, profondo, generoso, non si estinguerà mai.

Il divino poeta che sapea dell'amore di Paolo e Francesca, cognati, li dipinge ancora stretti insieme dopo morte nella bolgia desolata dei lussuriosi, ma non combusti dal fuoco divoratore. Nel suo poema quel grande pensatore, li ha collocati spietatamente all'Inferno. Forse per accontentare i pregiudizi clero-tirannici di quella remota epoca, ma noi scommetteremmo, che Dante, se fosse vissuto più tardi, li avrebbe tolti, pentito, dall'Inferno, per metterli in sede più confacente, da loro guadagnata per il grande amore. Essi, in ogni ipotesi, non sarebbero stati colpevoli che di un solo bacio tremante non sulla fronte, ma sulla bocca, come cosa naturalissima. Essi furono due perfetti idealisti.

Nel suo Canto V. dell'Inferno, Dante interroga Francesca così:

 

«Ma dimmi: al tempo de' dolci sospiri

A che e come concedette amore.

Che conosceste i dubbiosi desiri?...

 

ed egli stesso quantunque marito e padre di sette figli, ricorda, nel suo Paradiso scritto all'età di 56 anni, il suo amore per Beatrice, sorto nella prima giovinezza, l'amore degli angeli.

Al Canto 31. del Paradiso, il grande Poeta, scrive le due terzine seguenti:

 

«E se riguardi su nel terzo giro

Del sommo grado, tu la rivedrai

Nel trono che i suoi merti le sortiro

 

e più avanti

 

«O Donna in cui la mia speranza vige

E che soffristi per la mia salute

In Inferno lasciar le tue vestigie»

 

Dunque il Poeta amava immensamente Beatrice, anche quando non poteva farlo; egli l'ha collocata in Paradiso quando estinta, e l'ha fatta andare dal Paradiso all'Inferno, perchè insegnassegli la sicura via.

Alfredo pure, ad imitazione di Dante, ed al pari di lui colpito dalla terribile corrente magnetica, augurerà morendo, il Paradiso alla sua amatissima Violetta, ed il Limbo, ai trionfatori del di lei amore, onde godersi alquanto almeno, della loro separazione.

Ora diteci voi amabili lettori e lettrici, se questa non sia la Valle del pianto?

 

 

 

 




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