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Arturo Bianchi
I ladri della pace

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  • PARTE SECONDA
    • CAPITOLO V   Violetta non vá più monaca ma si marita
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CAPITOLO V

 

Violetta non vá più monaca ma si marita.

 

Ci sia lecito dubitare che Violetta, mentre era all'Albergo Climatico, avesse veduto Lord involarle, fuggendo poi, la lettera da essa diretta alla maestra monaca nelle Orsoline.

Locchè noi presumiamo dalla nessuna ricerca conosciuta. Violetta avrà probabilmente interpretato il fatto, quale uno dei soliti smarrimenti senza conseguenze, per distrazione od altro. Avrà pensato che la sua lettera fosse frammista ad altri oggetti deposti nelle valigie. In certi casi della vita, è, del resto, miglior consiglio non fare ricerca delle cose perdute. Così fece colei che aveva smarrita una pianella nella neve, e così fece Alfredo del suo cappello lasciato in piazza, insieme alla calotta del prete, nella notte di cui al Capitolo VII parte prima di questo libro. Per sventura, però, tanto la pianella come il cappello furono rinvenuti e diligentemente restituiti ai rispettivi proprietari, onde la verità, con edificazione, venisse a galla.

Quel foglio sarà stato scritto da Violetta in un momento di inesplicabile mestizia, facile alle giovanette pensanti, fra un quarto di luna celato fra le nubi, o per la precoce noia di una giovanissima vita non ancora soddisfatta dalle arcane indistinte voluttà. Perciò, passato quell'istante di melanconia più comune al sesso debole che al sesso forte, Violetta avrà trovato inutile rifare quella lettera, rinviando la spedizione, in caso, a tempi peggiori. E ben fece, perocchè durante il di lei viaggio di ritorno, venne informata di un progettino di matrimonio per lei, allor allora spuntato sull'orizzonte. Un collocamento convenientissimo anche a tutta la parentela..... La voce di questo affare erasi sparsa diggià nel paese e dintorni e tutti, come al solito, voleano commentarlo, colle frangie di rito. Anche Violetta aveva le sue invidiose, specialmente poi quelle in età giusta, che non avevano potuto ancora commuoversi di una richiesta della loro mano. Elogi farisaici di qua, critiche esagerate di là. Gli spiriti inventori, già ingrandivano e già dettagliavano il fatto, in modo da conchiudere, come quel mondo locale avesse in mente soltanto Violetta.

Era la fama, deità poetica, che si aggira continuamente, il dì e la notte, sui luoghi più alti, per spandere notizie buone o cattive, e non si tace mai.

Virgilio nel Libro IV dell'Eneide, l'ha descritta, colla sua grande maestria, come segue:

 

«È questa fama un mal di cui null'altro

È più veloce, e com'più va più cresce,

E maggior forza acquista. È da principio

Picciola, e debil cosa: E non s'arrischia

Di palesarsi: Poi di mano in mano

Si discuopre, e s'avanza: e sopra terra

Se'n va movendo, e sormontando a l'aura

Tanto che il capo in fra le nubi asconde»

 

Alfredo pure, sempre disposto a credere a tutte quelle novità che gli potean recare danno, sperava che la fama fosse stavolta mendace. E non volea persuadersi, conoscendo Violetta, come questa transigesse a sposare un mercante di droghe e di liquori, tanto più che il fidanzato avrebbe avuto diceasi, il difetto, di assaggiare la sua merce volta per volta, a garanzia verso i clienti. Quel miscuglio di droghe e liquori nel ventricolo, avrebbe potuto cagionare dei brutti accidenti, o quanto meno la ubbriachezza perpetua, giustamente antipatica alle donne in genere.

Del resto - se la cosa era conveniente, e simpatica agli attinenti di Violetta, non sarebbe stato improbabile che l'imeneo alcoolico avesse compimento, e noi lascieremo andare l'acqua per la sua china; non curandoci delle inquietudini di Alfredo, il quale avea sortito:

 

«L'arte crudel di fabbricarsi affanni».

 

 

 

 




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