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Arturo Bianchi I ladri della pace IntraText CT - Lettura del testo |
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CAPITOLO VI.
"I sogni della notte sono imagini del dì guaste e corrotte"12
Per sette anni non interrotti (un quid delle piaghe d'Egitto) Alfredo ha sognato, ogni notte, di Violetta. Un fatto nuovo e tanto strano, da potersi chiamare memorabile nella storia d'amore. Ed un'altra stranezza avveniva perocchè quando Alfredo era povero davvero, sognava spesso di essere ricco, mentre ora che, da qualche tempo, era divenuto realmente ricco, sognava intorno a fatti che accadevano soltanto e precisamente in circostanze della assoluta antica sua povertà, siccome dimostreremo qui appresso. Sciogliete voi lettori questo quesito, chè io non lo posso. Alfredo inoltre ci narrava un giorno, che dopo molti anni dal suo volontariato del 1859, balzava ancora di frequente dal letto udendo spaventato la precisa sveglia, onde non incorrere in pene disciplinari. Era quello tra i fatti che gli avevano prodotta molta impressione. E di diversi altri fatti spiacevoli ha continuato per anni a sognare Alfredo, rivedendo cose, luoghi, persone identiche, e sentendone ancora in sogno, doglianza, pel motivo che quei fatti, contro sua riluttanza, li vedea riprodotti perfettamente. Terribili impressioni conficcatesi una volta profondamente nei ventricoli, od in alcun ventricolo del suo cervello delicato, e rinnovantesi, a norma della loro mobilità od elasticità13 Tecnicamente, potrebbe essere un granchio, ma discorrendo secondo la effettiva sensazione provata e spiegata da Alfredo, non si potrebbe in altra maniera risolvere il problema. Perciò non crediamo sufficente la denominazione semplice di fenomeni nervosi. Più giusta forse, ma meno chiara ai profani. Per quanto riflette poi il sognare sempre di Violetta, lo si potrebbe spiegare nel senso, che se Alfredo pensava a lei tutto il giorno, era più facile che ne sognasse la notte. Ed ecco la ragione dell'abitudine di Alfredo di coricarsi presto la sera, volendo egli affrettare quel piacere, non calcolando bene poi, che il sollecitato piacere, potea mutarsi, come spesso, in dolore, o per disinganni fantastici, o per la fantastica indifferenza della sognata amante. E se il nostro buon amico, mezzo poeta e mezzo pittore, colle frangie del violoncello, dovesse vivere a lungo, cosa problematica, noi potremmo giurare che egli farebbe i medesimi sogni, usque ad secula seculorum, amen. Era notorio, in quell'epoca, siccome il cappellano Don Barnaba Pancetti, saputo alcunchè intorno ai sogni di Alfredo, facesse delle brutte smorfie, nel sospetto che si trattasse di gravissime colpe sulla di lui coscienza. Si aggiungeva poi dalla cronaca, come lo stesso Don Barnaba, mentre Alfredo era diventato molto ricco, tentasse di intervenire per la pace dell'anima sua. Ma sentendosi dire da Alfredo, che la propria coscienza la sentiva perfettamente libera da ogni peso, il Reverendo, sebbene di poca voglia, rinunciava al progetto e conchiudeva sentenziando: Sarà una semplice emicrania dunque!(Bravo). Si potrebbe inoltre pronosticare, che Alfredo, in onta ai suoi quindici milioni e forse più, beccati al cugino in secondo grado, (buona pasta), potrebbe morire anche di fame, con meraviglia di tutti, ed alla guisa del povero Conte Ugolino, ma colla variante, che Ugolino morì di fame per forza, ed Alfredo morrebbe di fame per amore. Digiuno forzato e digiuno spontaneo.
«Poscia più che il dolor potè il digiuno» (Dante, Infer. Canto 33.°).
E giacchè siamo sul discorso della morte, noi crediamo che la peggiore sia quella che si vede venire lentamente, lentamente, presso il capezzale, durante gli ultimi mesi dei nostri fisici e morali patimenti!..... Non sarebbe migliore la morte più veloce ancora del treno lampo? In tal modo si annoierebbe nessuno, compreso il malato. Maddalena però, la sorella maggiore di Elisa, nostre conoscenti, non la pensava come noi. Essa avrebbe desiderato un preavviso, poniamo di un anno, onde potere in termine utile, prepararsi alla buona morte..... Ogni testa ha il proprio modo di pensare. Tot capita tot sententia..... Se non che accortici, di esserci allontanati troppo dall'argomento dei sogni, per l'incorreggibile vizio del correre troppo innanzi a similitudine di Lord, ritorniamo al posto. I sogni pertanto alcune volte sono belli, ma più di frequente brutti. I pochi belli, per la loro semplicità e naturalezza, per l'assenza di tutti i riguardi o convenzionalità sociali, o di tutti i pregiudizi, sono affini ai costumi dell'età dell'oro, età che pare, non voglia più ritornare. I molti brutti sono l'effetto di moleste cause o fisiche o morali, o delle une e delle altre insieme, sendo una medesima cosa, a quanto sentenziano i materialisti. L'inquietudine, per esempio, ed altre nevralgie, prodotte generalmente dai visceri più nobili, cervello e cuore, (indivisibili siccome Oreste e Pilade) sono la cagione di brutti sogni. E sebbene rarissime volte, pure alcuni bei sogni possono realizzarsi, siccome già avvenne ed abbiamo constatato nel nostro romanzo. La famiglia Blandis divenne ricca, molto ricca, ma Alfredo non seppe profittarne come molti altri avrebbero certamente fatto. Figuratevi che egli non aveva voluto procurarsi, nè una livrea, nè una carrozza, nè un palazzo, perchè sosteneva che colle prime si umilierebbe il nostro simile, colla seconda si potrebbe ribaltare, e nel terzo si potrebbe smarrire la tramontana. Faceva delle carità tratto tratto, ma alla sordina, cioè senza articoli sui giornali, dava delle grosse mancie ai camerieri avventizi, che poi ne ridevano, e quanto al suo pranzo, era meschinello come una volta, trovando inutile ogni sontuosità, a chi mangiava quasi niente. Egli si nutriva a preferenza de' suoi soliti sospiri. Il suo intimo Cirillo, anche poco prima di restar vittima delle traditrici onde marittime, ripeteva ad Alfredo di stare allegro, di mangiare e bere, siccome costuma la maggioranza dei mortali; ma quegli tosto sentenziava; «Si mangia per vivere, e non si vive per mangiare». E perchè poi, osserviamo noi, conservava Lord? Allora Cirillo, quasi indispettito esclamava: «Tu sei un monumento di ingenuità!..... Ora mi piglia vaghezza di comunicarvi uno stranissimo sogno di Alfredo, fatto mentre non era che un semplice disperato pittore, ed intendiamoci bene, quel sogno riguardava sempre la ritrosa Dea Violetta dal sorriso incantevole..... Trattavasi, in detto sogno, di una soirée in casa Giacinto. Dal domicilio di Alfredo alla borgata di Violetta, eravi la distanza di circa sei chilometri. Perciò essendo d'inverno, colle strade orrende e di sera, oltre al tempo piovigginoso, si dovea per la decenza dell'abito, andarvi in carrozza. Egli naturalmente deve procurarsi una vettura da nolo. Fatica inutile. Vetture da nolo nel suo paese, in detta sera, nessuna. Sempre la jettatura, anche nei sogni. Intanto il tempo camminava lesto. L'ora è ormai trascorsa. Alfredo è costretto di andarvi a piedi e forse senza ombrello, perchè lo aveva smarrito in altra occasione. Egli corre quanto un levriere, egli vorrebbe arrivare in tempo, (non dopo, come sappiamo, avea fatto una volta Cirillo) là dove, il suo cuore lo trascina. A mezza via trova e sale su di un biroccio tirato da un perfido mulo, che tosto sferra calci tremendi, e poi rinculando, lo ribalta nel fossato non una ma tre volte, da cui Alfredo sorte bensì illeso, rispetto al corpo, ma tutto molle e lacero negli abiti, in modo da farlo somigliare ad un accattone cronico, piuttostochè ad un virtuoso di violoncello. Non si dà vinto però il disgraziato pittore, egli pensa sempre a Violetta, ed arde di potere in breve, colla espressione del suo elevato spirito, suonare la prediletta romanza Declina il sol morente, accompagnata da Violetta egregiamente colla sua arpa. Ahimè! egli giunge in ritardo assai. Vede la Dea de' suoi pensieri, colà fra cento invitati, distratta, muta e sì indifferente verso di lui, da annichilirlo. Sembrava che fossersi allora veduti per la prima volta, anzi peggio, nemmeno il saluto, nemmeno un'occhiata. L'arpa non si vede, il violoncello, che stava da tempo colà deposto, è a terra fatto in pezzi. Chi l'avrà conciato così? Alfredo, interpretando quella freddezza, siccome effetto del suo compassionevole abbigliamento, si ritira in un angolo oscuro della vicina anticamera, per farvi un po' di toilette; un botolo ringhioso gliela vuole impedire, nè egli arriva mai a mettersi le scarpe. Per soprappiù in quella cameretta, oh! meraviglia, gli nevica sul capo scoperto e in un attimo divenuto calvo. Una impazienza, una inquietudine, un'ira che a parole non si ponno descrivere. La folla degli invitati esce coll'ombrello aperto (nevicasse forse anche nella sala?) passa dinnanzi a lui in atto di scherno. Viene ultimo lo smilzo e lungo Commendatore, il quale si pianta dinnanzi ad Alfredo con mefistofelico ghigno, gli invola una scarpa, fugge, e mentre Alfredo fa per rincorrerlo, scompare a guisa di un fuoco fatuo. Ma Alfredo lo vuol trovare ancora, vola alla porta d'uscita, munito di un martello che toglie dal buco della stufa e.... vedi maledizione! nel posto preciso della porta di strada, si erge una muraglia fabbricatavi pochi istanti prima. Col martello abbatte il muro, e si trova all'aperto, giacchè se quel muro indugiava un istante a cadere, egli soffocava. Alfredo è già in piazza, ha però vergogna di quel suo stato pezzente, ripara all'osteria, coll'insegna di S. Giuseppe (che è sopra la buona morte). Ivi lo stalliere, col volto di scimmia, gli rattoppa con dello spago sgarbatamente i pantaloni a brandelli, cui prima voleva in dono, e gli lava colla sua scopa le sanguinanti graffiature delle mani. Intanto si presenta una brutta vecchia, colla lanterna puzzolente per cattivo olio. Invita Alfredo all'alloggio, che ahimè, era un pozzo, ove egli, quasi fosse una pagliuzza, è gettato a capo in giù da quella megera. Per buona sorte, il contatto dell'acqua gelata sul fondo del pozzo, fece svegliare il misero innamorato, chè probabilmente, se l'affare continuava di quel passo, avrebbe finito alla guisa dell'infelice, fu Ministro Prina.
E quando l'amico Cirillo, sul principio del funesto viaggio di mare, che vi ho già descritto, sentì narrarsi da Alfredo, l'incredibile sogno, non potè ristarsi dall'esclamare: Siamo in tre, mio dolcissimo amico, tu cerchi lei e lei cerca un altro, cosa certa e facile a comprendersi. Perfino i sogni, o mio eccellente illuso, te lo cantano in fa minore. Piuttosto che essere, come sei, meglio era, fossi tu morto prima di nascere. Ma il povero Cirillo, prezioso consigliere di Alfredo, andò poco dopo per jattura d'entrambi, ad affogare nell'acqua salsa, avendo tentato di salvare Alfredo e Zaira. Qualunque contraria esperienza, qualsiasi potenza sovrumana, non avrebbe cambiato mai l'ideale di Alfredo, siccome già in principio di questo libro, noi dubitammo. Egli, all'incontro sperava sempre; oggi o domani, od alla fine del mondo, Alfredo volea provare un istante di felicità coll'adorata Violetta.
Il nostro cocciuto idealista, oltre alla pittura, aveva qualche nozione di classicismo, nello studio del quale, si trovano qua e colà dei saggi insegnamenti sul modo di vivere. Probabilmente dunque avrà trovato anche il proverbio: /* «Bacco, tabacco e Venere Riducon l'uomo in cenere.» */ Bacco ubbriaca, tabacco avvelena, Venere riduce in cenere, noi lo interpretiamo così, perciò v'ha un raggio di speranza ancora, in prò del nostro pericolante Alfredo, perocchè se egli beveva e fumava poco, avrà anche economizzato di Venere, per la forza del destino. Concludiamo, che Alfredo potrà vivere lungamente, anche senza felicità. Lui aveva scartabellato anche alcuni libri di poesia, ed era rimasto impressionato assai alla nota ottava dell'Ariosto, canto II.° dell'Orlando, da noi trascritta nel Capitolo XI.° della Parte Prima. Quei versi inoltre, dovea rammentarsi, come avessero impressionato pure la bella Zaira, ma ad onta di tutto quanto sopra, Alfredo non sapeva persuadersene e così non poteva aver pace nemmeno dormendo. Onde aver pace, converrà pertanto, in primo luogo, credere pochissimo o niente a qualsiasi specie di sogni, in secondo luogo liberarsi energicamente (potendolo) dalle passioni dell'amore e della gelosia, che sono, come già dichiarammo, i principali ladri della umana tranquillità. Peggio ancora, se quei due ladri fossero perseguiti dagli altri due ladri, ambizione ed avarizia. E se mai a tutti loro si accompagnasse anche l'invidia «vita mortal tutta d'invidia piena»14 allora avremmo una tremenda associazione di malfattori. Ebbene, il credereste? dopo cento prediche già fatte in proposito, al nostro Alfredo onde guarirlo, egli ci rispondeva: che l'uomo senza passioni è paragonabile ad un bue grasso. La donna non è il sesso debole, almeno in linea morale, la donna è dovunque: «Surtout cherchè la femme.» La donna, siccome il tempo, fa a modo suo, e l'uomo o presto o tardi piega il capo. Bada, caro scrittore, di non fare la fine di S. Stefano!
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12 Cioè false e confuse. 13 Avere il cervello fatto a orioli. 14 Ariosto. |
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