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Arturo Bianchi
I ladri della pace

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  • PARTE SECONDA
    • CAPITOLO VIII.   Il vuoto dell'anima
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CAPITOLO VIII.

 

Il vuoto dell'anima

 

Cos'è mai questo vuoto dell'anima? Noi non possiamo nè vorremmo fare qui, un trattato di psicologia, capace a favorire il sonno anche dei nevralgici. Ci limiteremo pertanto a discorrere così alla buona, come si usa fra profani.

Il vuoto dell'anima, dunque, secondo alcuni, sarebbe sinonimo del caos dello spirito. Secondo altri una sensazione di scoraggiamento, che assomigli al freddo del ghiaccio, e taluno infine propenderebbe a ritenere quel vuoto, la nessuna sensazione.

Ma se accascia, ma se uccide lentamente le anime più sensitive, come non credere che il vuoto dell'anima non produca, all'incontro, una latente dolorosa sensazione, non chiaramente definibile?

Se non che, onde escire il meno malconci da questo gineprajo, diremo che il vuoto dell'anima può significare la totale assenza del fine per cui è stata creata la nostra esistenza morale. E con diversa frase, il disinganno assoluto dei più santi e caldi affetti. Il vuoto dell'anima, in ogni caso, sarebbe peggiore della morte, la quale è lo stato di piena insensibilità.

Una parte della Società, d'ogni epoca, pe' suoi fini speciali, e qualche volta in buona fede, nè mai convinta di fare il male, ha cercato, con sforzi erculei, di deviare la creatura umana dal naturale scopo della vita, creando caste eunuche, tarpando le ali della libertà e del pensiero e modificando le istintive pulsazioni del cuore, senza però ottenerne concreti effetti, ma solo enti bastardi. Sempre inoltre, a detrimento del loro originario benessere.

Gli uomini sono nati per seguire i loro ideali, e la proibizione o limitazione dello scopo unico della loro creazione, in cui c'entra la Provvidenza, sono una vera e propria deturpazione della creatura umana. Il vuoto dell'anima, infine, può essere prodotto dal caso, o dalla volontà dei soggetti che possono crearlo. Per buona ventura anche il vuoto dell'anima, deve per legge universale, durare più o meno lungamente, secondo l'indole degli individui colpiti, essendo il tempo, la panacèa di tutti i mali. Basterà per qualcuno che nasca un nuovo oggettivo, atto a riempire o surrogare il così detto vuoto, ed allora, per chi avrà resistito alla morte fisica, la guarigione non è improbabile.

Sarà dunque facile anche per il nostro Alfredo detta guarigione? Noi non possiamo rendersene garanti, perocchè degli esseri sceltissimi, atti a riempire il vuoto dell'anima sua, non ne sorgono a dozzine e ad ogni momento.

Non si comprende come l'uomo possa vivere, nel continuo completo isolamento. Noi crediamo che sia un lento veleno del corpo, col risultato dell'ebetismo della mente, da distinguersi dalla solitudine temporanea talvolta necessaria e gradita.

Eppure il misero Alfredo, per effetto del vuoto nella sua anima, viveva ormai a guisa di un anacoreta, trascurando affatto o quasi le prime esigenze fisiche, e ricevendo in casa sua ed a malincuore, soltanto i famigliari. Egli non aveva più i genitori, perchè morti, nè le dilette sorelle, perchè da pochi giorni maritate entrambe e ben lontano, non senza aver versato calde lagrime per l'abbandono dell'amato fratello. Verrai presto a trovarci a Catania, caro Alfredo, e vi ti fermerai con noi molto tempo, dissero, piangendo nel partire, Maddalena ed Elisa.

Accade spesso, quando la dote è vistosa, che le fanciulle affrettino l'addio al tetto paterno e la conseguente amarezza dei congiunti. In ogni fatto umano, vi ha la sua compensazione.

A vantaggio delle fanciulle povere, le quali si maritano più tardi in causa della loro povertà, viene rinviato il pianto loro e quello dei più affezionati parenti.

Avesse avuto Alfredo almeno moglie e figli, ma nulla di ciò. I suoi diletti Cirillo, Zaira, Jon, morti. Gli scarsi amici del paese di residenza, quasi sempre assenti o preoccupati dei loro rispettivi interessi. Non rimanevagli che il fedele Lord, il cane da caccia intelligente, ma anche lui, da tempo era melanconico, per la tristezza ed immobilità del padrone; tanto è vero che non rubava più salami.

Alfredo non aveva mai voluto servi stabili, perchè.... instabili. La sua provvisoria factotum, era la vecchia portinaia Geltrude e, e la di lei nipotina Benedetta d'anni dodici, abbastanza disinvolta e loquace, avrebbe fatto da segretario intimo. Ora diteci voi, lettori, qual sorta di esistenza trascinasse Alfredo? Egli, come si disse altra volta, non volea saperne di cavalli, di carrozze, di gabinetti, di salotti. Anche il suo vestire sempre alla buona. Non aveva comperato mai, nemmeno il cappello a cilindro, importante in talune occasioni.

Ma ditemi ora, perchè non si parla più del pennello, della musica e di libri di poesia preferiti? Non potevano essi sostituirsi al suo infelice amore, e rendergli così possibile la vita? Ohimè, l'antica florida salute se n'era ita, in causa dell'atonia prodottagli dalle pene morali ed Alfredo non aveva più nè la volontà, nè la forza di consolarsi con quei passatempi alla pluralità graditissimi.

E poi, e poi, v'era qualche cos'altro, ai lettori noto. Era Violetta a cui Alfredo pensava ancora sempre, sebbene trascorsi sette anni, pari per lui al primo giorno d'amore. Violetta dunque non lo aveva forse mai amato? Essa da oltre un anno, erasi maritata, forse per sommessione ai desideri dei congiunti, o forse per sua elezione? Questo non si sa chiaro. Intanto però pel nostro buon Alfredo era affare finito. Per lui, Violetta era una cosa perduta, una donna morta. Egli aveva compreso ormai, che non v'era più speranza di possederla, e quella quasi certezza lo facea desolato.

Gli uomini seri, o come tali qualificati, perchè ridono mai (avendo essi paura di screditarsi, ridendo) potrebbero credere, secondo il loro cinico sistema, essere lo stato miserevole di Alfredo, opera sua speciale, ma noi ricorderemo a quegli uomini savi che

 

«Il cangiar di natura

È impresa dura»

 

Per tutto quanto sopra il misero Alfredo, era uomo da impietosire, piuttostochè da deplorarsi.

 

 

 

 




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