Parla,
parlami ancor, fissami ancora,
Vagabonda
rapita al tuo paese;
Della voce e
del guardo che innamora
Dammi tu
l'elemosina cortese,
Chè il mendicante io son, tu la
signora.
Tanta mercè
nessuno mai ti chiese,
Vagabonda
rapita al tuo paese?
Parla,
parlami ancor, fissami ancora.
Io non
domando di mirarti in volto
Per saper
che sei bella e che sei maga,
E che il
tesoro dei capelli, sciolto
Giù per le spalle,
come un fiume allaga;
Che tu
strappi quel vel, mentre t'ascolto,
Non fa
mestieri all'anima presaga
Per saper
che sei bella e che sei maga,
E non
domando di mirarti in volto.
Questa
dolcezza che all'amor somiglia,
Nei colloqui
notturni colle stelle.
Nei canti
del deserto, araba figlia,
L'imparasti
dall'arabe sorelle?
È un sospiro
di vento che bisbiglia
Tra le
piante di rosa e le mortelle,
È un
colloquio notturno colle stelle
Questa
dolcezza che all'amor somiglia?
Del tuo dir
l'ineffabile armonia,
A me,
straniero, il tuo linguaggio impara.
Forse di
Palestina eco natìa
Sotto le
palme lungo la fiumara.
Dalle labbra
piovendo in poesia,
Ti fa
maestra, di te stessa ignara,
E a me,
straniero, il tuo linguaggio impara
Del tuo dir
l'ineffabile armonia.
Parla,
parlami ancor, fissami ancora,
Questa sola
è la grazia che domando;
Il
mendicante io son, tu la signora,
E alla tua
carità mi raccomando.
Dammi sugli
occhi il bacio che innamora,
Il lungo
bacio del tuo sguardo blando,
Questa sola
è la grazia che domando:
Parla,
parlami ancor, fissami ancora.
Costantinopoli.
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