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Gaspare Invrea (alias Remigio Zena)
Le Pellegrine

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  • L'IDUMEA
    • LE PORTATRICI D'ACQUA
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LE PORTATRICI D'ACQUA

 

Recando sulla schiena

D'acqua la ghirba piena,

Molli, sordide, grame,

Ora a mandra ora in riga

Vengon giù per la diga

Le piccole madame,

E in monotono ritmo

Cantano un logaritmo

Che ha il titol della fame.

 

Incollata alla pelle

La futa, queste belle

Sotto il diuturno peso

Vengono brandeggiando

Curve, un braccio posando

Lungo sull'otre obeso,

E se l'offerta cruda

Fanno di carne ignuda,

Il pudor resta illeso.

 

Almen per me. — Ridete,

Voi dall'eterna sete,

Voi che pure combatte

La tentiggine rea

In cotesta eritrea

Valle di Giosafatte,

E nel furore vostro

Vi adattate all'inchiostro

In mancanza di latte?

 

Maculato o virgineo,

Quest'ebano femmineo

Di lurida tribù,

Sia scolpito da Fidia,

Alla mia non insidia

Debolezza o virtù.

Voi mirando, si smorza,

O notturne, la forza

Della mia gioventù.

 

Vengono da Taulud.

La figlia di Mahmud

Osman, la dolce Alima

Qualche volta è con esse,

E come se sapesse

Questo che il cuor mi lima

Scellerato ribrezzo,

Con dolcissimo vezzo

Mi sorride la prima.

Non sei tu che mi tenti!

Il biancore dei denti

Nel lago del sorriso,

La pupilla che bacia

Lungamente e l'audacia

D'uno sguardo improvviso,

Non son che lampi: resta

Nel mio cuor la tempesta,

La notte sul tuo viso.




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