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Gaspare Invrea (alias Remigio Zena) Le Pellegrine IntraText CT - Lettura del testo |
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LA MENDICANTE
Parla, parlami ancor, fissami ancora, Vagabonda rapita al tuo paese; Della voce e del guardo che innamora Dammi tu l'elemosina cortese, Chè il mendicante io son, tu la signora. Tanta mercè nessuno mai ti chiese, Vagabonda rapita al tuo paese? Parla, parlami ancor, fissami ancora.
Io non domando di mirarti in volto Per saper che sei bella e che sei maga, E che il tesoro dei capelli, sciolto Giù per le spalle, come un fiume allaga; Che tu strappi quel vel, mentre t'ascolto, Non fa mestieri all'anima presaga Per saper che sei bella e che sei maga, E non domando di mirarti in volto.
Questa dolcezza che all'amor somiglia, Nei colloqui notturni colle stelle. Nei canti del deserto, araba figlia, L'imparasti dall'arabe sorelle? È un sospiro di vento che bisbiglia Tra le piante di rosa e le mortelle, È un colloquio notturno colle stelle Questa dolcezza che all'amor somiglia?
Del tuo dir l'ineffabile armonia, A me, straniero, il tuo linguaggio impara. Forse di Palestina eco natìa Sotto le palme lungo la fiumara. Dalle labbra piovendo in poesia, Ti fa maestra, di te stessa ignara, E a me, straniero, il tuo linguaggio impara Del tuo dir l'ineffabile armonia.
Parla, parlami ancor, fissami ancora, Questa sola è la grazia che domando; Il mendicante io son, tu la signora, E alla tua carità mi raccomando. Dammi sugli occhi il bacio che innamora, Il lungo bacio del tuo sguardo blando, Questa sola è la grazia che domando: Parla, parlami ancor, fissami ancora.
Costantinopoli. |
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