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Gaspare Invrea (alias Remigio Zena) Le Pellegrine IntraText CT - Lettura del testo |
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DOGÀLI
Stendi, Croce invincibile, Stendi le eterne braccia, E all'ombra tua le ceneri Dei gloriosi dormano.
Da questo colle, vigile, Alla tribù selvaggia Tu, non placata, asseveri Che i nostri morti tornano.
Crescon di sangue vivide Sotto i tuoi piè l'euforbie, Vengon fin qui di Niobe A supplicarti i gemiti;
Il ciel, fugata l'iride, Non ha misericordie; Urlano i venti: etiope, Rendici i primogeniti.
Lungi i fratelli acclamano Nella materna Italia, Sul bronzo i nomi incidono, Danno corone e carmini;
All'universo imparano La perfida battaglia, Alta vendetta scrivono, Gridano: osanna ai martiri!
Ma qui — dove in un turbine Passò come meteora L'angiol dell'esterminio — O bagnata di lagrime
Palma del vinto, fulmine Del vincitor, l'aureola Non chiedon del martirio Le porporate anime.
Qui dove il vento agita L'orfane ossa, vengono Sull'espiata roccia Nè ad altro sangue anelano;
Oranti, nella tragica Notte, ai tuoi piedi attendono Sull'uccisor la pioggia Del tuo perdono e sperano.
O Croce beatissima, Sull'arsa terra d'Africa Discenda il refrigerio Da questo novo Golgota.
Tu le tenebre dissipa, Fuga l'iniqua raffica, E se imminente è il prelio, Sulla bandiera sfolgora. |
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