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Gaspare Invrea (alias Remigio Zena) Le Pellegrine IntraText CT - Lettura del testo |
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LE PORTATRICI D'ACQUA
Recando sulla schiena D'acqua la ghirba piena, Molli, sordide, grame, Ora a mandra ora in riga Vengon giù per la diga Le piccole madame, E in monotono ritmo Cantano un logaritmo Che ha il titol della fame.
Incollata alla pelle La futa, queste belle Sotto il diuturno peso Vengono brandeggiando Curve, un braccio posando Lungo sull'otre obeso, E se l'offerta cruda Fanno di carne ignuda, Il pudor resta illeso.
Almen per me. — Ridete, Voi dall'eterna sete, Voi che pure combatte La tentiggine rea In cotesta eritrea Valle di Giosafatte, E nel furore vostro Vi adattate all'inchiostro In mancanza di latte?
Maculato o virgineo, Quest'ebano femmineo Di lurida tribù, Sia scolpito da Fidia, Alla mia non insidia Debolezza o virtù. Voi mirando, si smorza, O notturne, la forza Della mia gioventù.
Vengono da Taulud. La figlia di Mahmud Osman, la dolce Alima Qualche volta è con esse, E come se sapesse Questo che il cuor mi lima Scellerato ribrezzo, Con dolcissimo vezzo Mi sorride la prima. Non sei tu che mi tenti! Il biancore dei denti Nel lago del sorriso, La pupilla che bacia Lungamente e l'audacia D'uno sguardo improvviso, Non son che lampi: resta Nel mio cuor la tempesta, La notte sul tuo viso. |
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