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Gaspare Invrea (alias Remigio Zena)
La bocca del lupo

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I

 

Il meglio, nelle cose proibite dal governo, è di non mischiarcisi mai; per esempio, a forza di suppliche e di raccomandazioni, una mattina finalmente il re fece alla Bricicca la grazia dei tre o quattro mesi che le restavano ancora, ed è uscita in libertà dopo un anno di prigionia per l'affare del lotto clandestino, ossia del seminario, come diciamo noi a Genova, ma intanto col suo volersi imbarazzare in certi negozi, fu essa che finí per uscirne colla testa rotta.

Quando si nomina la Bricicca, s'intende la bisagnina che sta sulla piazzetta della Pece Greca, di fianco all'Angelo Custode, quella che aveva tre figlie, perché a Genova ce n'è un'altra chiamata Bricicca, che vende farinata a Prè, e le due non sono neppure parenti e neppure si conoscono, anzi questa di Prè figlie non ne ha mai avuto e dopo che il più grande dei maschi ha trovato un buon impiego nel tramvai, se la passa bene e non ha più bisogno di nessuno. Invece la Bricicca della Pece Greca, povera diavola, se l'ha quasi sempre passata malissimo fino da quando stava ancora a Manassola e il marito partí per l'America lasciandole sulle braccia una corba di figliuoli tutti piccoli.

Dalle nostre parti è cosa solita: i giovani pigliano moglie appena tornano a casa dal servizio militare, e dopo che alla moglie le hanno fatto fare i tre primi figli e il quarto è per cammino, s'imbarcano e che la moglie s'aggiusti; appena arrivati, danno segno di vita e mandano giú mezz'oncia d'oro, poi, i piú bravi, si contentano di scrivere ogni sei mesi, lamentandosi d'essere stati ingannati, e che in America, o per la febbre gialla o per la guerra o per la pace, ci si muore di fame peggio che da noi.

Ora che è fuori, la Bricicca tira avanti, perché a questo mondo, finché non arriva la morte a tagliarvi l'erba sotto i piedi, avanti si tira sempre, ma quei pochi cavoli e quella poca frutta che vende in un portichetto, non le mettono caldo nemmeno sotto la lingua e dice che per morire così tutti i giorni, tanto vale morire una buona volta sul serio, massime adesso che gli anni per lei bisogna cominciare a contarli dai cinquanta in su. In coscienza, se non avesse vergogna, rimpiangerebbe il tempo che passò in Sant'Andrea; vedeva il sole a quadretti, ma almeno mangiare, mangiava.

E ora che è rimasta sola da un pezzo, dice che vorrebbe avere le figlie che potrebbero aiutarla, e quando invece le figlie le aveva con sé, si raccomandava a tutti i santi del paradiso, perché non sapeva come mantenerle. A quei tempi, dieci o quindici anni fa, subito dopo la morte del suo unico maschio, erano in quattro a mangiare, lei, due figlie che avrebbero digerito i mattoni del lastrico, e il fitto di casa che mangiava più di tutti e capitava puntuale come Pasqua dopo sabato santo. Dodici franchi al mese un buco sotto i tetti, che per arrivarci bisognava fare come i gatti e rimetterci un palmo di fiato, dove d'inverno ci si ballava per tutto fuori che per l'allegria, e d'estate la minestra bolliva da sé senza fuoco. Il padrone cantava che lassú in cima l'aria era buona e si godeva la vista del porto e della Lanterna, ma la Bricicca, della Lanterna non sapeva cosa farsene, e dodici franchi al mese erano tanto sangue che si levava.

Una rovina era stata la morte del Gigio, il suo figlio maschio, da non consolarsene più notte e giorno. Avevano bel dirle le donne della Pece Greca che tanto e tanto, disperandosi, il figliuolo non l'avrebbe fatto risuscitare e che ci voleva pazienza; nossignore, lei non poteva avere pazienza! Era troppo cruda vedersi portar via un ragazzo venuto su buono come il pane di Natale, affezionato, rispettoso, e vederselo portar via sul più bullo, quando cominciava a dare una buona spalla alla famiglia. Non ce n'erano state abbastanza delle disgrazie? non ci contava per nulla quella del marito, che tornato finalmente dall'America più sprovvisto di quando era andato via, e venuto a Genova, dove lavorava in porto nello scarico dei vapori, aveva fatto la morte del topo sotto la catena d'una mancina?

E dopo il padre, il figlio, alla distanza di dieci mesi. Pareva impossibile il giudizio di quel ragazzo, che appena uscito dalle scuole, un bravo impiego aveva saputo trovarselo, e al telegrafo si guadagnava i suoi cinquanta franchi al mese, piuttosto più che meno. Salute da buttar via non ne aveva, eppure i passi non se li faceva rincrescere, lasciava che i compagni pigliassero l'omnibus o si divertissero a camminare dietro la musica dei soldati, e lui a piedi tutto il giorno a portare i dispacci senza perdere dieci minuti, corri di qua, corri di , da San Teodoro alla Pila, tanto che quasi sempre tornava a casa stanco frusto e si gettava sul letto come un sacco vuoto, senza voglia di mangiare.

I superiori gli volevano bene tutti, si buscava qualche mancia e non domandava altro. La vigilia di Natale, siccome di mancie ne aveva messo insieme discretamente e gli sembrava d'essere un milionario, aveva voluto comprare lui, del suo, il torrone, il pan dolce dai fratelli Klainguti e una bottiglia di moscatello, per fare tutti insieme il Natale allegro; era andato alla messa di mezzanotte, e sia il freddo o l'umidità pigliata giusto quella notte, ché le strade erano bianche di neve, la mattina della seconda festa non aveva potuto star su: dolori nelle gambe e nei reni, male in gola da non potere inghiottire nemmeno la saliva. Sul principio si era detto: non sarà niente, un po' di costipazione, poi la costipazione era diventata un gran riscaldamento, e il medico fin dalla prima visita aveva fatto una certa faccia, che quando i medici fanno di quelle faccie, la morte, se non è alla porta di casa, è già per le scale di sicuro. Ventose tagliate, mignatte, vescicanti, tutto inutile; di male in peggio, il povero ragazzo aveva capito che per lui non c'era più rimedio, e mentre sua madre si strappava i capelli, lui, fatte le sue divozioni come un san Luigi, cercava di consolarla, che si facesse coraggio, che si sarebbero visti in paradiso. Perfino il parroco piangeva. A un tratto era parso che stesse un po' meglio, ma la mattina di Pasquetta, intanto che le figlie erano uscite con dei vicini di casa per andare a vedere i Re Magi nel presepio dei Cappuccini, il meglio era diventato peggio in un momento e la morte era venuta.

Questo si chiamava cominciarlo bene l'anno! Restare sul lastrico è una disgrazia in tutte le stagioni, ma nel cuore dell'inverno è tanta roba da perdere la testa, e alla Bricicca le pareva d'essere come Bellinda e il mostro, senza sapere da che parte voltarsi per scappare. Dopo avere ben pianto, e portati al Monte quei quattro stracci ammucchiati in casa a poco a poco dal ritorno del marito, si trovò nuda e cruda, lei e le figlie. Bisognava mangiare, e lei colle sue mani era giusto buona a mangiare, ché di mestieri non ne aveva mai imparato nessuno, nemmeno a far calzette, e tutto il guadagno si riduceva a quello di Angela, che orlava scarpe da donna per un calzolaio di via Assarotti, quello di rimpetto alla chiesa nuova della Concezione, e quando pigliava molto, arrivava a quattro franchi la settimana. Se di tanto in tanto, ad ogni morte di vescovo, non ci fosse stato qualche piccolo soccorso, ora da un benefattore, ora da un altro — roba di centesimi, non mica biglietti da mille o da cento — tutte tre insieme avrebbero potuto andarsene a Staglieno e distendersi nella fossa, per levare il fastidio agli altri di portarle sulle spalle.

Quand'era a Manassola, col marito in America, la Bricicca s'era trovata a dei brutti punti, ma cosí agli ultimi, mai, e almeno, tra l'aiuto dei suoceri e il buon prezzo della roba, ingegnandosi col vendere frutta ai maestri d'ascia del cantiere, la pignatta al fuoco l'aveva sempre potuta mettere. Anche qui, se le fosse riuscito d'impiantare nella Pece Greca, sulla piazzetta o nel vicolo, un barchino di verdura, la pigione e la minestra le avrebbe fatte sortire, ma i primi denari chi glieli dava?

I vicini non le avrebbero neanche sputato in bocca se l'avessero vista morire di sete. Il parroco una volta le aveva messo in mano un cavurrino e arrivederci in paradiso, fu il primo e l'ultimo, perché a sentirlo lui, dei poveri ne aveva tanti in parrocchia, che per soccorrerli tutti ci sarebbe voluto un pozzo pieno di marenghi. La signora della Misericordia, alla quale s'era raccomandata, una signora ricca del suo, che i denari glieli portavano a carrate e amministrava nel sestiere del Molo un lascito grosso, detto giusto appunto della Misericordia, una palanca che è una palanca non l'aveva tirata fuori, dicendo che per quell'anno dei fondi disponibili dell'opera pia non ce n'erano piú. Non ce n'erano piú dei fondi, e come va allora che per tante e tante che non ne avevano bisogno, che la festa marciavano vestite di seta, con degli ori al collo, i fondi li aveva trovati? Tutte le settimane venivano i signori della Società di San Vincenzo, che portavano delle cartelline, ma si poteva stare allegri! un chilo di pane e un chilo di polenta, tanto appena da non morire di fame per un giorno — e gli altri sei giorni? e vestirsi? e le scarpe? Dei lussi pel capo Angela non ne aveva certamente e Marinetta era ancora troppo giovine, non si trattava d'andare a far le belle nelle Strade Nuove, ma a rendere il lavoro in via Assarotti e alla maestra non si potevano mandare vestite come ladre e senza scarpe nei piedi.

 

 




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