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Gaspare Invrea (alias Remigio Zena) La bocca del lupo IntraText CT - Lettura del testo |
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II
Angela era da marito. Tutta suo fratello, di casa e di giudizio, si adattava a sgobbare e un lamento dalla sua bocca non si sentiva mai, fuori che per compatire sua madre così carica di tribolazioni. Pigliato l'ago al mattino, cuci cuci, pareva una macchinetta, non lo posava piú fino alla sera, assai tardi, quando nella Pece Greca i vicini russavano come tromboni. E ne assaggiava del freddo, e il sonno se lo levava dagli occhi ch'erano sempre rossi come se avessero versato lagrime di sangue, eppure, siccome sapeva bene che la casa l'aveva lei sulle spalle, diceva che il freddo e il sonno non erano pane pei suoi denti e non aveva tempo di sentirli ed era troppo brutta per darsi delle delicatezze. Brutta veramente non si poteva dire, ma come lei e meglio di lei a Genova ce n'era un subisso, anche nella Pece Greca, dove le belle figliuole non mancavano, e le faceva torto il naso troppo lungo, voltato in giú verso il mento, come il becco delle civette. Chi prometteva di diventare col tempo e colla paglia una giovinotta da darle la parte dritta, era Marinetta. Un pellame bianco come la calcina vergine e liscio come il raso, due occhietti furbi con del fuoco dentro, un bocchino piccolo, che quando era chiuso somigliava a una ciliegia, e aperto, a una scatoletta di grani di riso. E del tempo e della paglia non ne occorrevano mica delle tonnellate, che in quanto a corporatura non solo dimostrava più degli anni che aveva, ma a momenti dava dei punti a sua sorella. Marinetta era la figlia della gallina bianca; sua madre e Angela la tenevano in adorazione nel tabernacolo, si sacrificavano e si toglievano il pane dai denti perché lei tutte le mattine potesse comprarsi a colazione la sua brava farinata e i suoi pesci fritti. Andava dalla maestra se ne aveva voglia, ma la voglia veniva di rado, e si fermava sulla piazzetta a far carnevale colle compagne del vicinato o a raccontare delle favole, ché nessuna sapeva raccontarle come lei, e perfino le donne anziane stavano a sentirla a bocca aperta. In quanto a discorrere, discorreva meglio di tante grandi e tirava fuori delle ragioni speciose da mettere la pancia in terra pel ridere, anzi certe volte ne aveva di quelle alle quali, per bacco, non si sapeva cosa rispondere. Sciocchezze, ma intanto le monache Dorotee giusto per queste mezze parole si erano scandalizzate e l'avevano mandata via dalla loro scuola, dove, se avesse saputo restarci, avrebbe imparato, come in nessun altro luogo, a lavorare nella biancheria fina e a guadagnarsi a poco a poco la sua giornata. È vero che lei diceva di non essere fatta per pungersi i diti con l'ago e voleva mettersi a fare la pettinatrice, e infatti, quando cosí per ridere, tirava su i capelli a sua sorella, aveva una grazietta particolare come se per quell'arte fosse nata apposta. L'anno stesso della morte del povero Gigio, avrebbe dovuto a Pasqua prendere la comunione, anzi per la sua età era già in ritardo. Se ne parlava da un pezzo, Angela s'era ingegnata tanto da fare qualche risparmio, e la Bricicca anch'essa aveva nascosto in una calza dei soldi, che crescendo tutte le settimane, dovevano servire per il velo e gli stivalini di raso bianco, ma ora, dopo la disgrazia, i progetti erano andati in fumo. La comunione si piglia o non si piglia, e quando si piglia, le cose si fanno in regola, perché davanti alla gente non si deve scomparire, e se non si può spendere, piuttosto di mandare la figliuola in chiesa senza almeno una veste nuova, non si fa nulla. Ragionava cosí la Bricicca, e questa della comunione di Marinetta, in mezzo a tante spine era la piú grossa, e non riusciva a levarsela dal cuore, anche perché Marinetta, mortificata di non poter più fare la sua figura, si rodeva tutto il giorno ed era diventata per la rabbia un demonio in carne e ossa. Oh! lei la comunione se la pigliava quell'anno, bene — se no, niente, non ci pensava più e si faceva turca! Sua madre, sentendo di queste eresie, cominciava a piangere, chè le lagrime in quei giorni le aveva sempre in tasca, massime quando tornava a casa da battere la cattolica senza aver buscato un soldo dai benefattori e nella pignatta non sapeva cosa metterci; cominciava a piangere, lamentandosi che insomma per far piacere a sua figlia, lei la pelle dai denti non se la poteva levare. Marinetta mangiava l'aglio e faceva il muso lungo anche per un'altra ragione. Qualche compagna della Pece Greca e ancora di più la Rapallina, una pettinatrice che spesso se la tirava dietro nelle case, le avevano montato la testa dicendole che avrebbe dovuto andare a farsi iscrivere al teatro Doria, dove quei dei giuochi dei cavalli cercavano ragazzi da tutte le parti per la pantomina della Cendrillon. Non si trattava d'altro che di comparire in pubblico per otto o dieci sere, vestita da gran signora, colla parrucca incipriata e mezzo metro di coda, far tante belle riverenze di qua e di là, sentirsi battere forte le mani e divertirsi. Pigliato fuoco subito, essa non parlava d'altro, ma la Bricicca che non capiva niente, figurandosi che sua figlia dovesse andare sul cavallo e rischiasse di rompersi le gambe, diceva di no e di no, che piuttosto si sarebbe lasciata bruciare viva, e Angela diceva di no anche lei, perché al teatro, ai salti dei cavalli, c'era da rovinarsi il corpo e l'anima, e Marinetta intanto, che vedeva passare il tempo, grugniva e picchiava i piedi per terra. Ecco! una cosa che le avrebbe fatto piacere, doveva restarle nella gola! Quando si nasce disgraziati, tutto bisogna che vada male fino all'ultimo, e lei era nata apposta per le disgrazie! Sua madre e sua sorella non potevano vedersela davanti! avrebbero fatto meglio a lasciarla coi nonni a Manassola come Battistina, che Battistina almeno laggiù fame non ne soffriva e nessuno la tormentava. Battistina era un'altra figliuola della Bricicca, in mezzo tra Angela e Marinetta, ma la Bricicca non ne parlava mai e non si ricordava neppure d'averla. Sua suocera se n'era incaricata e la teneva con sé al paese, dove la mandava due volte al giorno sulla spiaggia a tirare la rete, col sole, col vento, colla pioggia. Che Battistina fame non ne soffrisse, era verissimo, ma era anche vero che, poveretta, soffriva per un altro verso, non potendo mandar giù di vedersi cosa dimenticata da sua madre, lei che non aveva mai fatto altro che volerle bene e scriverle più spesso che poteva senza ricevere risposta, tanto che la morte del padre l'aveva saputa dopo un mese e da una terza persona. Guadagnava poco, quasi niente, perché in un paese come Manassola si sa, cosa può guadagnarsi una donna che va a pescare, eppure da quel poco faceva sortire qualche risparmio che mandava sempre a Genova, invece di comprarsi uno straccio di veste per sé o un paio di scarpe, ché di scarpe in tutto e per tutto ne possedeva un paio solo e le metteva la domenica per andare in chiesa e se le levava subito, e la veste d'indiana che portava era tutta a pezzi come quella della giustizia. Ma questo non c'entra; l'importante è che a forza di lamenti e di pianti, spalleggiata dalla Rapallina, Marinetta fini per fare quello che le piaceva e prendere l'iscrizione al teatro Doria. Quando si presentò insieme alla Linda, figlia della Bardiglia, un signore francese che l'esaminò da capo a piedi, non voleva accettarla perché era già troppo grande e in mezzo agli altri bambini avrebbe stonato, e ci volle il direttore stesso della compagnia, che vedendola tutta mortificata, innamoratosi dei suoi occhi e della sua grazietta, la fece passare. Erano già cominciate le prove. Da quel giorno, in casa e in tutta la Pece Greca non si visse piú: Marinetta, col becco in aria, gonfiandosi come un pallone, non raccontava che meraviglie di principi e principesse, carrozze e cavalli, balli e festini. Avrebbero visto la vecchia d'ottant'anni che chiedeva l'elemosina e poi invece era una fata colla bacchetta magica, tutta vestita di tela d'argento; Cendrillon che da povera stracciona accanto al fuoco, dove l'avevano messa le sue sorelle cattive, diventava ad un tratto una gran signora e andava al palazzo del re in tiro da quattro; Vittorio Emanuele, Garibaldi, tante cose avrebbero visto! Lei, Marinetta, ch'era una dama di corte, sarebbe entrata al braccio d'un cavaliere, facendosi aria col ventaglio, avrebbe fatto una bella riverenza, cosí, al re e alla regina, poi avrebbe ballato la contraddanza proprio come le signore vere. E raccontando tutte queste cose s'infiammava, si tirava su la veste come se davvero avesse avuto lo strascico, si storceva in riverenze, e sua madre, guardandola estatica, se la mangiava cogli occhi come una pasta frolla. Ma ecco che un giorno tornò a casa dalle prove, fuori di sé per la contentezza: la figlia piú piccola del direttore, una bambina di dodici anni che doveva rappresentare la parte della fata, cadendo da cavallo in un esercizio, s'era rotta una gamba, e il direttore l'aveva scelta lei, Marinetta, l'aveva scelta lei per quella parte! Non era piú mischiata nella folla delle altre ragazze, lavorava da sé, era un personaggio importante che spiccava come le artiste vere della compagnia. La Linda moriva dall'invidia, non solo la Linda, tutte quante! Se per Pasqua non le riusciva di prendere la comunione, almeno era contenta, ché la sua comparsa l'avrebbe fatta lo stesso, e anche meglio, senza tanti preparativi di dottrinetta e tanto frustamento di ginocchi. — Angela, ch'era un po' beghina, queste cose non voleva sentirle dire, e la Bricicca neppure, ma la Bricicca pensava che in fine dei conti non doveva sborsare un centesimo, mentre invece la comunione le avrebbe costato in un giorno il mantenimento d'un anno. Però quei dei cavalli, per avere i ragazzi, avevano promesso piú salsiccia che pane, e poi all'ultimo s'erano tirati indietro; dopo avere dichiarato e cantato in musica che le spese del vestiario sarebbero state tutte a carico della compagnia, ecco venire fuori l'antifona che ai guanti, alle calze, ai fiori da mettere in testa sulla parrucca, dovevano pensarci le famiglie. Un inganno, un vero inganno! Marinetta, buttata via la palandrana grigia e il cappuccio con cui entrava, vecchia decrepita, appoggiandosi sopra un bastone e tutta barcollante, ad un tratto compariva vestita da fata, in maglia color di carne, e non le occorrevano né guanti né fiori, ma in compenso bisognava che avesse un bel paio di orecchini d'oro, braccialetti ai polsi, e le dita cariche di anelli; impossibile farne senza. Questa, la Bricicca, non se l'aspettava davvero; orecchini e braccialetti!? ma dove se li pescava lei, povera donna? Eppure, impossibile farne senza, piuttosto ogni cosa a monte e non pensarci piú, strepitava Marinetta battendo i piedi; il signor Davide in persona, il direttore della compagnia, aveva ordinato cosí e cosí doveva essere! Il signor Davide non aveva ordinato niente, erano state le compagne a suggerire questi lussi, regatando a chi aumentava la dose, un po' per capriccio di teste vuote, un po' per invidia contro Marinetta, e naturale che ai loro occhi essa non voleva farsi rossa, dopo che si era vantata di possederne degli ori a casa sua, da sprofondarle tutte. Le sarebbe toccato a lei sprofondarsi per la vergogna venti metri sotto terra, se la Rapallina non le avesse promesso di aiutarla imprestandole i suoi orecchini piú belli non solo, ch'erano belli davvero, ma anche qualche mezzo scudo per comprarsi al Bazar Universale, sulla piazza di San Domenico, gli anelli ed i braccialetti d'oro finto, come una ventina circa di franchi gliel'aveva già imprestata per gli stivaletti e un casacchino nuovo, tanto da non andare alle prove colle scarpe in ciabatta e i gomiti che ridevano. Una donna la Rapallina, che i denari non le mancavano e se aveva dei difetti, per esempio, d'essere molto di manica larga, aveva pure delle buone qualità, e se si affezionava ad una persona, come s'era affezionata a Marinetta, per essa avrebbe battuto moneta falsa.
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