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Gaspare Invrea (alias Remigio Zena)
La bocca del lupo

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  • XIII
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XIII

 

E Marinetta? Marinetta era diventata bella grassa che faceva piacere a vederla. L'aria buona di campagna e il trattamento del canonico Marmo le avevano fatto un gran bene, massime a lei che veniva fuori da quel buco sotto i tetti e da quel laberinto di vicoli sporchi, soffocati, che era la Pece Greca. Nei primi quindici giorni sembrava malinconica come se avesse sul cuore un peso grosso, non aveva voglia di mangiare né di farsi vedere pel paese, poi a poco a poco la malinconia era passata, era venuto l'appetito, e chi voleva pigliarsi la vista d'una ragazza contenta, bastava che guardasse Marinetta a tutte le ore del giorno, in casa, fuori di casa, perfino in chiesa.

Ecco, in chiesa, a messa, bisognava andarci tutte le mattine, ché prete Lazzaro e sua sorella su questo punto non si potevano toccare, e la domenica non si finiva piú di sentire messe cantate, catechismi, benedizioni, ma pel resto era una cuccagna, una vita d'oro, e a Marinetta non le mancava altro che il sole, quando pioveva. Trattata e mantenuta come una principessa, padrona di fare da un'alba all'altra le sue quattro volontà, mangia se vuoi mangiare, dormi se vuoi dormire, senza fastidi, senza i pianti e le lamentazioni continue di sua madre nelle orecchie, le maldicenze delle vicine e le stoccate del signor Costante, nei suoi panni sarebbe diventata grassa una stanga di ferro.

Questo era niente. A Manassola ci stava volentieri perché poteva gonfiarsi a piacimento, tanto era lustrata e indorata, e di potersi gonfiare era tutto il suo gaudio. Aveva fatto subito furore, tutti la portavano in palmo di mano, non solo il canonico e Cicchina, che essa, furba, aveva saputo pigliare pel loro verso vestendosi da monachetta falsa, non solo i giovinotti del paese, signori e non signori, che quando passava nel cantiere sotto i bastimenti o in piazza davanti al Casino, restavano incantati a guardarla, ma tutti quelli che la conoscevano, specialmente le signore, la moglie di capitan Ramò, per dirne una.

Se n'erano innamorate queste signore per la sua grazietta e la sua parlantina e piú di tutto pel suo talento, ché oltre quello di pettinare, nei diti ci aveva un vero talento per tanti piccoli lavoretti d'ogni genere, uno piú bello dell'altro; e se la facevano venire in casa e se la mettevano a tavola con loro, e non erano piú capaci di dare un punto se prima non la consultavano. «Marinetta, cosa vi pare? facciamo cosa? — Marinetta, ce la tagliate questa veste? — Voi che avete tanto buon gusto, vi piacerebbe la mantiglia aggiustata a questo modo, oppure a quest'altro?» Insomma consulti in piena regola e lei dava le sue risposte con molto sussiego come un avvocato, e si gonfiava come un pallone, ché di gonfiarsi — se non si è ancora detto, si dice adessoera proprio tutto il suo gaudio, e per darsi sempre piú dell'importanza, sparava certe bombe d'ottanta chilogrammi, da far traballare le case.

Le aveva insegnato a spararle la famosa ballerina del teatro Carlo Felice, quella che era fuggita da Genova portandole via i suoi poveri cento franchi, che per lei erano cento ossa di santo — e la scolara s'era fatta piú brava della maestra. Le case di Manassola restavano in piedi perché erano solide e ben costrette, ma in quanto alle persone era un altro paio di maniche; che sugo ci sarebbe stato a infilare delle fandonie, se la gente non se le fosse bevute? Prete Lazzaro beveva largo, Cicchina un po' meno, ma beveva anche lei la sua parte, e fra tutti s'erano persuasi che a Genova, Marinetta andasse a pettinare le signore della primaria nobiltà e nei palazzi delle Strade Nuove ci fosse come in casa sua, amica intima della marchesa tale, tale, tale. La chiamate osso, la polpa?

Dopo questo, sarebbe stato da matti tornare a marcire nella Pece Greca e valeva la spesa di sentire raccontar da Cicchina le storie dei santi e le sue divozioni particolari, che ne aveva una cassa piena per tutti i giorni dell'anno, e dal canonico Marmo i miracoli delle sue pillole e del suo balsamo, e sentirlo predicare contro i medici in generale, che secondo lui, erano tutti ignoranti e birbanti. Una cosa sola le rincresceva a Marinetta: d'averci nei piedi sua sorella Battistina. Chi ha un poco d'amor proprio capisce benissimo che sentirsi dire tutti i momenti da una signora o dall'altra: «come! è vostra sorella la serva delle monache dell'ospedale?» e questa serva a sei franchi al mese vedersela davanti vestita peggio di una povera di strada, senza calzette, spettinata, colle mani rosse e gonfie posate sulla pancia, vedersela davanti che non sapevaparlaretacere, era tanta roba da morire dal disonore. Una brava sorella, questo non si mette in dubbio, anzi troppo brava, ma un vescicante!... Nientemeno che se le capitava di avere mezz'ora di libertà, correva subito da Marinetta e spendeva quei pochi soldi per portarle delle mele o dei fichi secchi, che Marinetta non sapeva proprio cosa farsene, credendo di portarle un gran regalo, e si piantava a guardarla quasi senza parlare, e se non le riusciva di trovarla in casa restava tutta mortificata, colle lagrime agli occhi. Cicchina diceva ch'era il cuore che la tirava, e va bene, ma tira tira, a forza di tirare, la corda si rompe e una mattina o l'altra si va colle gambe all'aria.

Il giorno di sabato santo, nel momento che le campane suonavano l'alleluia e sulla porta del Casino c'era pieno di signori, non fermò Marinetta in mezzo della piazza? In mezzo della piazza, e col pretesto che aveva fretta voleva caricarla, davanti a tante persone, d'una dozzina d'uova e d'un pane di butirro. Era perfino senza scarpe nei piedi, quel giorno! Marinetta si sentí venire di tutti i colori, scappò via senza rispondere per levarsi piú presto dalla berlina, e siccome quell'altra si mise a correrle dietro, arrivata nelle scale del canonico, non poté tenersi: le pigliò le sue uova e ne fece una frittata sul lastrico, e il butirro lo gettò contro la muraglia, che vi rimase attaccato come un empiastro. Bisognava bene che le insegnasse a non perseguitare il prossimo e sopratutto in pubblico, davanti al Casino, con quei signori che guardavano! Invece di spendere i denari nel butirro e nelle uova da regalare, perché non si comperava un paio di scarpe e un sapone per lavarsi, che sarebbe stato meglio? Battistina, vedendosi cosí maltrattata la sua roba, non disse altro che queste parole: «perché...? perché?...» e diede in uno scoppio di pianto.

Farsi vedere insieme a una serva brutta e sporca, non comoda a nessuno, ma davanti al Casino di Manassola e in pieno giorno, meno che mai. Si sa che quando sulla tavola c'è, per esempio, una bella torta dolce colla marmellata, le mosche ci si buttano sopra a sciami, e lo stesso capitò a Marinetta. Bianca e rossa, col suo nasino capriccioso e i suoi occhi pieni di malizia che li girava di qua e di in rotondo, larghi come i finestroni della parrocchia, era una torta, dolce da leccarsi i baffi, di quelle che sapeva fare Cicchina nelle grandi solennità, e i mosconi che si misero a girarle intorno, tirati dall'odore della marmellata, non si possono contare. All'infuori della bellezza, aveva qualche altra cosa che le ragazze di Manassola non avevano, neppure le ricche, e che per spiegarla bene bisognerebbe avere studiato, qualche altra cosa, o nel modo di vestirsi e d'accomodarsi la frangia sotto la veletta, o nel modo di camminare o nel modo di ridere, che faceva da calamita; bastava un'occhiata per indovinare subito la cittadina, una di quelle figliuole che hanno il talento di saper prendere la vita pel suo verso e conoscono a fondo l'arte del magnetismo. Abituata da molto tempo a queste imposture, anzi già volpe vecchia, Marinetta si lasciava guardare dai mosconi e lei pure li guardava facendo l'occhietto dolce a tutti quanti, ma è chiaro che quei del Casino avevano l'abilità di farsi guardare piú degli altri e che lei rimpetto ad essi non voleva scomparire.

Fra tanti mosconi ce n'era uno, anzi ce n'erano due, il figlio di capitan Ramò e il figlio di Napoleone Gabitto, l'appaltatore del dazio, che non volevano piú lasciarla vivere e la perseguitavano in tutti i modi, prima per puro divertimento, poi innamorati cotti davvero. In quanto ad essi niente di male, erano giovani, un bel musetto piace a tutti e al cuore non si comanda; quello che non stava bene era che Marinetta tenesse il piede in due scarpe. La sua idea era questa: se ne perdo uno, mi attacco all'altro, ma era una politica sbagliata, perché non capiva che imbarcandosi troppo avrebbe finito per restare in terra, e intanto le toccava inventare continuamente qualche nuova malizia, ricorrere a sotterfugi, perché il Gabitto non si accorgesse del Ramò, e il Ramò del Gabitto. In fondo non era innamorata, quel che si dice innamorata, né di questo né di quello; secondo il suo sistema, ridi oggi un poco con l'uno, domani con l'altro, una mezza parolina qui, una smorfietta , s'era trovata senza accorgersene in mezzo a due fuochi, e solo piú tardi, quando nei due fuochi ci aveva soffiato dentro ben bene per passatempo, le era venuta l'idea di profittarne, seguitando a tenerli accesi, colla speranza di combinare qualche cosa per l'avvenire.

Se si guarda alla bellezza del corpo, la parte dritta spettava al figlio di Napoleone, che si chiamava Napoleone anche lui ma gli dicevano Pollino, un giovane di ventidue anni, alto e ben fatto, abbrustolito dal sole, con due baffettini neri e spessi che se li tirava sempre, sempre pieno di barzellette, un giovanotto da vederlo con piacere, però quanti ne avesse in saccoccia non ne sapeva niente, ché suo padre dall'appalto del dazio e dal commercio del legname ricavava solo dei debiti, e lui dopo aver navigato diversi anni, dopo essersi messo a tutti i mestieri, ora non aveva altra occupazione che di fumare dei sigari, passeggiare per il paese, e la domenica suonare il bombardino nella banda municipale. L'altro. Camillo Ramò, una mezza porzione ci sei e non ci sei, giallo, con sette peli in numero tra il biondo e il castagno, piantati sul mento a far la guardia alle pustulette rosse che vi facevano un giardinetto, era impiegato a scrivere in Comune; capitan Ramò non l'aveva messo a navigare come avrebbe voluto perché il ragazzo era di vista corta e soffriva d'asma, ma si sapeva che l'impiego lo teneva per un dippiú, e non gli mancava da star bene, né bastimenti in mare, né terre al sole.

Di questi due galanti, il piú caldo, ossia il piú prepotente, era Camillo. Siccome sopra Marinetta ci aveva masso il cuore proprio sul serio e siccome degli specchi per guardarcisi dentro, in casa non gliene mancava, cosí aveva sempre paura che Marinetta non solo non gli volesse bene, ma si burlasse di lui. A tutte le ore del giorno la cercava per la strada, sulla spiaggia, negli orti, in chiesa, tormentato dall'idea che qualcheduno l’accompagnasse, allegro come un merlo quando la trovava in casa a tagliare dei vestiti e a cucire dei falbalà, insieme a sua madre e alle sue sorelle, oppure a raccontare le meraviglie del teatro Carlo Felice e il gran fracasso ch'essa aveva fatto al Doria nella Cendrillon. Che volesse sposarla non gliel'aveva mai detto, ma tutte le volte ch'era riuscito a parlarle senza testimoni, aveva cercato tutte le maniere di farglielo capire, giurandole che dopo averla vista e conosciuta, s'era sentito nel cuore una fornace vera, che non avrebbe mai potuto in vita sua voler bene a nessun'altra, supplicandola quasi con le lagrime agli occhi di non discorrere coi farfalloni che le giravano intorno.

A Marinetta naturalmente le promesse le costavano poco, aveva promesso carne e spinacci senza tirare, ma un dopopranzo che se la passeggiava piano piano con Pollino sulla strada di Borlasca, lontani dal paese una buona mezz'ora, allo svolto sotto la cappelletta di San Donato ecco saltar fuori Camillo all'improvviso, con una faccia stravolta che metteva spavento e due occhi che parevano quelli del diavolo in persona! Non disse niente, ché se avesse detto una parola o fatto un gesto, Pollino gli avrebbe smontato le ossa tale quale come si smonta una macchina, non disse niente e filò via, ma tornata a casa, Marinetta se lo trovò nelle scale, che l'aspettava.

Erano queste le promesse? era questo il modo di trattarlo? Gliel'avevano detto che lei se l'intendeva con quel perdigiorni spiantato vestito da festa, e lui non aveva voluto crederci e poi s'era dovuto convincere coi suoi occhi! Cosa avevano da dirsi? No, lui dopo che l'aveva pregata tanto, scongiurata, supplicata, non si meritava quel tradimento, non se lo meritava! era pronto a lasciarla, se essa di lui non sapeva piú cosa farsene, prontissimo a non guardarla piú in faccia, ma prima aveva il diritto di sapere i suoi torti, perché se avesse avuto dei torti... ma dei torti lui non ne aveva, era lei che aveva dei torti e gli aveva piantato un coltello nel cuore! che gusto ci provava a farlo soffrire cosí? Addio, era tutto finito tra essi due, uno a levante, l'altra a ponente, lei a ridere con quel pezzo d'assassino infame, lui a piangere per tutta la sua vita oppure a tirarsi una pistolettata nella testa, che era il meglio, ma prima di tirarsela, parola d'onore, avrebbe aggiustato i conti con qualcheduno!

Fino allora di pistole non ne aveva mai visto e non sapeva nemmeno dove trovarne, con tutta la sua rabbia era venuto apposta per avere da Marinetta la consolazione d'una buona parola e la promessa sacrosanta di lasciar perdere il Gabitto, cosí la Marinetta fece presto a calmarlo, a consolarlo e a levarselo dai piedi, risuscitato da morte a vita, promettendogli con quella sua grazietta particolare, piena d'incanto, di non guardare piú in faccia nemmeno il canonico Marmo. Solamente, dopo questa scena bisognava cambiar politica o almeno barcamenarsi con piú prudenza, perché i due giovinotti, ora che avevano la pulce nelle orecchie, stavano attenti con tanto d'occhi, massime Camillo, e incontrandosi per la strada si guardavano in cagnesco, come se avessero voluto mangiarsi.

 

 




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