XVI
Siccome prete Lazzaro e sua
sorella Cicchina non erano niente portati per queste funzioni di gran fracasso
e se n'erano rimasti in casa tranquillissimamente, cosí credevano che Marinetta
fosse colla famiglia di capitan Ramò e ci restasse tutta la giornata; la
signora Ramò e le sue figlie credevano che scendendo da bordo colla comitiva
degli invitati si fosse persa nella folla, persuase di trovarla per la strada o
a casa loro da un momento all’altro. Quello che non sapeva piú a che Madonna
raccomandarsi, né dove dar della testa, era il povero Camillo: appena partito
il bastimento dallo scalo, eccolo di nuovo a cercare quella creatura, senza
poter capire dove fosse andata a ficcarsi, a cercarla pieno d’inquietudine, ché
l'inquietudine era il suo pane quotidiano, sotto gli archivolti, nei vicoletti
deserti, dietro i muricciuoli e le cataste di legname, insomma nelle tane, già
che alla luce del sole non riusciva a vederla in nessuna parte. Gli era
scappata dalle mani come un’anguilla, si era nascosta di sicuro, e per
scappargli così, per nascondersi con tanta malizia, qualche motivo doveva
avercelo; quando non si fa niente di male non c'è bisogno di nascondersi.
Il pensiero, che fosse col
Gabitto gli bruciava l’anima: col Gabitto, dopo le promesse che gli aveva fatto
il giorno avanti di non voler bene che a lui, a lui solo, dopo il patto d'andar
via con lui in America se a Manassola non potevano sposarsi, dopo il bacio
amoroso ch'essa gli aveva dato sulla bocca, dolce come una manna del cielo,
infuocato come una bragia!? Andò in mezzo ai musicanti che suonavano l’ultima
marcia, li squadrò tutti, e il Gabitto non c'era. Non c'era! Nessuno seppe
dirgli quando fosse sparito né dove si fosse rintanato. Che ragione aveva di
non essere cogli altri a suonare nel cantiere quando a bordo aveva avuto il
fegato di venirgli a passeggiare sotto il naso, mezz'ora prima, con tanto di
trombone?
Ancora una speranza: forse lei
era andata a casa; sembrava poco probabile, ma tutto poteva darsi. In due
salti, a rompicollo, si trovò alla porta del canonico, entrò col pretesto di
farsi dare un vasetto d'unguento, inventando d'essersi sforzato un braccio,
nell'abbattere un palo, che anzi il canonico volle visitarglielo il braccio e
ungerglielo lui stesso, ma capí subito che Marinetta non s'era vista. Scappò
via, tornò sulla spiaggia, senza sapere perché ci tornasse, avvilito,
disperato.
Mentre correva su e giù,
ricominciando a frugare in tutti i canti e a mischiarsi alle ultime comitive che
se ne andavano, non lasciando passare un pezzotto o una veletta senza essere
sicuro della donna, s'intoppò in Mascabado ch'era sceso a terra giusto allora.
Sulla faccia doveva averci dipinta come in un quadro la burrasca del suo cuore,
perché appena lo vide, Mascabado lo fermò su due piedi, domandandogli, quasi
spaventato, cosa gli era successo. Niente; cercava una persona, ecco, e non
poteva trovarla; non gli era successo altro, e se non riusciva a trovarla,
pazienza. Ma la voce gli tremava; l'aveva sulla punta della lingua il nome di
quella persona, ma non si sentiva il coraggio di pronunziarlo nemmeno con
Mascabado, il suo uomo di confidenza, ch'era stato quello, si può dire, che gli
aveva insegnato ad abbottonarsi i calzoni. E intanto le gambe non volevano star
ferme e cercavano di portarlo via. A proposito, lui, Mascabado, non l'aveva
mica vista, ossia, non l'aveva mica visto... Pollino Gabitto?
La risposta se la fece ripetere
due volte, parola per parola, credendo di non aver ben inteso: il Gabitto era a
bordo dell'Emilia insieme a quella figliuola genovese che stava col
canonico Marmo...
Scappò di corsa verso il mare,
come se sull'Emilia avesse voluto andarci a nuoto. Mascabado dietro, i
lavoranti del cantiere, i barcaiuoli, i monelli dietro anch'essi. Non ci vedeva
piú dagli occhi. Entrò nell'acqua a mezza gamba per saltare in un gozzo, il
primo che gli capitava, e mollando la cima, sentí alla distanza d'una sassata
debole la voce di Pollino. Era proprio Pollino, in barca, che se ne tornava
magnificamente, lui e Marinetta, dritto sulla prua, e gridava che gli facessero
largo per potersi accostare agli scogli del molo!
Se qualcheduno si immagina che
Camillo, nello stato ch'era di infiammazione e di accecatura, sia corso sul
molo ad aspettare il Gabitto e gli si sia buttato addosso come una tigre,
risoluto di mangiargli l'anima, e l'altro si sia difeso con quelle braccia che
aveva di ferro schietto, e con mille sforzi Mascabado e gli altri li abbiano
divisi, e a Marinetta le abbia preso uno svenimento, se qualcheduno si imagina
questa roba, e uno scandalo grandissimo nel paese, e forse una coltellata per
giunta, buscata da Camillo, s'intende, è meglio che se ne vada a passeggiare,
se a queste cose ci tiene, perché non successe niente. Prima di tutto, anche
volendo, Camillo non avrebbe potuto arrivare allo sbarco, ché il nostromo gli
si era già piantato ai fianchi, insospettito di quella fuga a precipizio cosí
strana; ma il punto principale è che quando vide Marinetta insieme a
quell'altro — insieme a quell'altro sotto i suoi occhi! — lo pigliò pel corpo
una gran tremagione e restò inchiodato, piú morto che vivo, come se gli
avessero dato una martellata sulla testa.
Né Pollino né Marinetta non se
ne accorsero neppure di lui, smontarono dal gozzo e presero due strade
differenti, cosí scenate in pubblico non ce ne furono, e Mascabado, che non
aveva capito nulla, si spolmonava con Camillo, a dirgli che facesse presto se
voleva parlare al Gabitto prima che sparisse, e colla confidenza che aveva gli
domandava perché lo lasciasse andar via, dopo averlo cercato con tanta furia
per mare e per terra.
La scenata ci fu piú tardi in
casa Ramò, quando verso sera, essendo entrato per combinazione nella sua
stanza, ché a quell'ora, dopo pranzo, cinquanta volte sopra cinquantuna, era
sempre sulla porta del Casino a tagliare in fette l'Europa, capitan Ramò
sorprese suo figlio nell'atto di portargli via il revolver. Nientemeno! e per
trovarlo gli aveva sfondato tre o quattro tiretti, uno, fra gli altri, che
avrebbe dovuto resistere alle cannonate, con una magnifica serratura inglese
d'ultima invenzione, pagata a Londra due sterline giuste, ch'era quello che
serviva da cassa forte. Fatto il piú difficile, poteva pure fare il resto e
servirsi a piacimento, il suo signor figlio, e pigliarsi quei pochi soldi e
vendersi le cedole! Dal momento che in mancanza della chiave a scassinare i
mobili e a rovinarli ci si era messo come si sarebbe messo a disfare una cesta
di fichi, tanto valeva andare a fondo senza rispetti umani! E cosa intendeva di
farne del revolver, lui che lo teneva in mano a uso asperges? bruciar le
cervella alle mosche? oppure andare in giro pel paese e spaventare i
pipistrelli?
Mortificato d'essersi lasciato
prendere col corpo del delitto, Camillo non rispondeva, ma quando suo padre
volle farsi dare l'arma, invece di obbedire da quel figlio rispettoso che
avrebbe dovuto essere, si provò a resistere. Una resistenza fuori posto e anche
inutile, perché capitan Ramò, dato un ordine magari a sproposito, non era di
quelli da tornare indietro e se diceva: voglio! la sua parola contava piú di
quella del Creatore, e per amore o per forza bisognava chinare la testa.
Figuriamoci se a lui che non gli aveva mai imposto nessuno, manco certi pezzi
d'uomini, faccie proibite, che guai incontrarli di notte, e volevano fare i
prepotenti sul suo bordo, dava ombra quel fico secco di suo figlio! Saltargli
addosso e levargli l'arma, sarebbe stato l'affare d'un momento, senza la paura
di una disgrazia, specie un'arma da fuoco nelle mani d'un ragazzo che non ci
aveva pratica e il primo danno, se partiva il colpo, se lo sarebbe fatto a sé
stesso. Alzò la voce com'era solito alzarla ai tempi che comandava il
bastimento, ma questa volta il ragazzo, testardo nella sua idea, annaspando le
parole e tremando fino alla punta dei capelli, invece di cedere si mosse verso
la porta per uscire dalla stanza. Apriti cielo! Un fulmine che vi scoppiasse ai
piedi non farebbe piú fracasso e rimbombo di quello che fece allora la voce di
capitan Ramò; tutta Manassola deve averla sentita, se i muri non si abbatterono
o almeno non si ruppero i vetri, fu un miracolo. Camillo restò pietrificato,
accorsero, matte di spavento, la signora Ramò e le figlie, lo videro col
revolver in mano, credettero che volesse ammazzare suo padre, e gli strilli e
gli urli che cacciarono non si sentono in mezzo a cinquecento gatti scorticati
vivi. L'Emilia, la piú coraggiosa, fece un atto da meritarsi la medaglia dalla
società di Salvamento, prese suo fratello alle spalle, e il revolver glielo strappò
lei in un attimo. Fortuna che non partí nessun colpo, ma già non potevano
partirne dei colpi, perché l'arma era scarica.
Che Camillo avesse intenzione di
servirsene per levar la pelle a qualcheduno di sua conoscenza, oppure per
liberarsi una buona volta dal fastidio di vivere, questo o quello che non si sa
e che lui non volle dire, nemmeno nella confessione generale fatta in presenza
di suo padre e di sua madre. Naturalmente, la scena della pistola non poteva
finire cosí, blanda blanda, senza la confessione, e a botta calda gli toccò
mettere in tavola la sua storia con Marinetta dal numero uno al numero
novanta., tirata fuori a pezzetti colle tanaglie, gli appuntamenti, le
promesse, le gelosie, e via discorrendo. Ricordandosi le sue imprese di gioventú,
che ne aveva fatto piú di Carlo in Francia e a contarle non basterebbe una
settimana, capitan Ramò rideva sotto i baffi e se manteneva l'aria burbera era
per l'onore della firma, sua moglie invece trasecolava mettendosi le mani nei
capelli. Di due cose non si poteva dar pace, di non essersi mai accorta di
niente, essa che Marinetta la vedeva tutti i giorni, in casa e fuori, e che
quella sgualdrina si fosse burlata di suo figlio al punto di rovinarlo
nell'anima e nel corpo, una sgualdrina di prima classe, venuta colla volpe
sotto l'ascella, che non era degna nemmeno di guardarlo in lontananza suo
figlio! Questo era il pagamento di averla ricevuta in casa a braccia aperte,
d'averle dato confidenza come se fosse stata della famiglia, d'averla messa
all'onore del mondo!
Ma pazienza l'ingratitudine! sul
passato ci si metteva una pietra sopra; il peggio fu che Camillo, dopo quello
ch'era successo, ebbe l'ardimento di voler persistere nella sua idea di sposare
Marinetta. Sapeva il male ch'essa gli aveva fatto, ma le perdonava volentieri e
non si sentiva di vivere se non gliela lasciano prendere; le cose erano andate
troppo innanzi, ci aveva messo il cuore su e per lui era questione di vita o di
morte.
Un attaccamento che a leggerlo
nei libri non si crederebbe, e per chi, in definitiva? per una figliuola di
strada senza casa né tetto, figlia di miserabili da non toccarli neppure con
una canna, coi ragnateli in bocca dalla mattina alla sera e dalla sera alla
mattina, senza educazione, piena di fumi e nient'altro. E la povertà, transeat;
se era di nascita bassa, se era miserabile, essa non ci aveva colpa, ma dopo
aver fatto la civetta, — e fosse solo la civetta! — col terzo e col quarto,
dopo essersi divertita per cattivo istinto a ingannarli tutti, e lui, Camillo,
piú degli altri, a segno di ridurlo alla disperazione e metterlo in procinto
d'andare in galera, si poteva ancora parlarne, almeno per il punto d'onore?
Non ci fu verso di capacitarlo,
né colle buone né colle cattive; ripeteva sempre la medesima canzone: non si
sentiva di vivere a nessun patto se non gli davano Marinetta! E quando suo
padre e sua madre l'avevano ragionato per due ore e le sue sorelle gli si erano
appese al collo piangendo, e finalmente sembrava persuaso, tornava a dire che
gli rincresceva tanto, che capiva benissimo il suo torto, ma che per lui era
questione di vita o di morte!
Al paradiso, capitan Ramò non ci
credeva, però questa volta una bella fetta di paradiso se la guadagnò colla sua
pazienza. Come non gli abbia rotto la faccia a suo figlio, o almeno come si sia
tenuto d'applicargli al fondo dei reni la suola delle scarpe, lui d'un
temperamento cosí focoso, è impossibile spiegarselo. Ma se al principio rideva
sotto i baffi, e a buon conto dopo essersi cacciato la pistola in tasca, non
dava importanza a uno dei soliti amoretti da scolaro colla serva o colla figlia
dell'oste di rimpetto, che durano, quando durano, da San Giovanni a San Pietro,
di quelli che lui ne aveva avuto delle dozzine nelle cinque parti del mondo,
ora non rideva piú: la fissazione del figliuolo era una malattia bell'e buona e
ci volevano altri cerotti che le paternali. Chi glielo suggeriva un rimedio
pronto?
A sua moglie che l'indomani andò
da don Bosco a domandargli consiglio, don Bosco suggerí un triduo a Maria
Ausiliatrice e un'offerta pei missionari della Patagonia, ma questi erano
rimedi troppo aristocratici, si rischiava di andar per le lunghe, e qui
bisognava far presto, ché un giovinotto come Camillo non si poteva tenerlo per
dei mesi sotto chiave, guardandolo a vista giorno e notte. Imbarcarlo sull'Emilia
e spedirlo al Callao, relegarlo laggiú a domicilio coatto per un paio d'anni
finché fosse guarito completamente, sarebbe stata la piú spiccia, anzi l'unica
maniera d'uscirne, se la madre pietosa non avesse avuto un'idea ancora piú
semplice e sbrigativa, quella di levare la pietra dello scandalo, ossia
Marinetta, e intendersi col canonico per impacchettarla in ferrovia.
Succede un fatto tra le quattro
mura d'una stanza, delle persone presenti nessuno ne parla con anima viva, e
due ore dopo, la notizia di quel fatto allaga tutto il paese e non si discorre
d'altro, e ognuno la colorisce a suo piacimento, la gonfia per conto suo,
aggiunge piú frangie che può, e cosí nel passare di bocca in bocca, un fiato
d'aria finisce per diventare un terremoto. Pensiamo dunque se a Manassola non
prese subito lampo e non fu colorita e gonfiata in tutti i modi la questione
tra capitan Ramò e suo figlio; basta dire che la mattina dopo, in sacristia,
quando al canonico gli raccontarono la cosa, gli diedero da intendere che nel
giorno il padre aveva trovato Marinetta nella stanza del figlio, e piú tardi,
sempre per causa di Marinetta, tra padre e figlio c'erano state delle
revolverate e a Camillo una gli era toccata in un braccio.
Se la notizia, cosí malamente
travestita, non fu per prete Lazzaro e per Cicchina un colpo dritto al cuore,
si lascia immaginare: a parte la brutta moneta con cui erano ricompensati della
loro carità, e che non se la meritavano davvero, a parte l'offesa di Dio, ora, dopo
tanto scandalo, cosa ne facevano essi di quella creatura, disgraziata e
cattiva, anzi piú cattiva che disgraziata, che si era messo l'onore sotto i
piedi, e non contenta di rovinarsi lei, aveva rovinato un povero giovane e
tutta una famiglia? Per fortuna, la verità la seppero quasi subito, e la
seppero dalla bocca stessa della signora Ramò, che li aveva mandati a chiamare
di premura, e si parvero risuscitati dal sepolcro, ma il colpo era stato troppo
forte, e ad ogni modo, se non al punto che si diceva, qualche cosa purtroppo
c'era stato; la signora aveva ragione e discorreva da vera madre di famiglia,
il paese di Manassola non era piú fatto per Marinetta.
Scrivere alla Bricicca che
venisse immediatamente a prendersi la figlia, sarebbe stata troppo perdita di
tempo, la Bricicca
forse avrebbe fatto orecchie da mercante, non solo non sarebbe venuta, ma non
avrebbe nemmeno risposto alla lettera, e fosse anche venuta, sarebbero state
domande, spiegazioni scabrose, pianti, proteste, insomma seccature e dispiaceri
da una parte e dall'altra, senza necessità. La piú spiccia, anche secondo il
consiglio della signora Ramò e di capitan Ramò stesso, era che Cicchina si
sacrificasse a un'opera santa di carità, come quella di salvare due anime dalla
perdizione, e accompagnasse subito Marinetta a Genova da sua madre. Senza dire
bugia, qualche pretesto si sarebbe trovato per mascherare la cosa, prima agli
occhi della ragazza, che colla sua testa bisbetica, era capace d'impuntarsi e
non voler partire se si accorgeva che la mandavano via, in secondo luogo agli
occhi della Bricicca: per esempio, a Manassola c'era il vaiuolo, e questa era
la pura verità, ché da tutti si sapeva e se ne parlava e la nipote del
segretario comunale era morta di vaiuolo il giorno avanti; oppure prete Lazzaro
e sua sorella avevano stabilito d'andare la prossima settimana a Roma col gran
pellegrinaggio cattolico, e anche questa era una verità, perché se non
l'avevano ancora stabilito, avrebbero potuto stabilirlo, e poi in tutti i casi,
se non di persona, senza dubbio al pellegrinaggio ci avrebbero partecipato lo
stesso, spiritualmente.
Cosí la faccenda fu aggiustata
alla meglio con meno strepito possibile, e quella sera Marinetta si trovò di
nuovo a dormire nella Pece Greca. Tra i mezzi discorsi sentiti dall'uno e
dall'altro circa l’affare della pistola, l'imbarazzo del prete e di Cecchina e
piú di tutto la coscienza sporca che aveva addosso, certamente non s'era
lasciata infinocchiare dalla scusa del vaiuolo né da quella del pellegrinaggio
cattolico, aveva mangiato la foglia subito alle prime parole e capito che
almeno per qualche mese l’aria di Manassola non era piú adattata per lei. Alla
stazione, prima di montare sul treno, però non poté tenersi dal dirglielo al
canonico, la mandavano via e lei partiva senza voler sapere il perché, ma le
voci che correvano quel giorno contro di lei erano tutte calunnie, e se Camillo
Ramò, a sentir dire, aveva questionato con suo padre, lei non c'entrava, o se
per sua disgrazia c’entrava di traverso, non ne aveva colpa e la coscienza se
la sentiva netta e tranquilla!... Camillo Ramò in persona, poteva farne fede;
essa gliel'aveva detto che la lasciasse stare, che volersi bene non conveniva,
e lui niente!... e le scoppiava il cuore di dover partire a quel modo come una
ladra, dopo che al paese si era tanto affezionata...
Ancora un poco che tardasse il
treno, prete Lazzaro, tutto intenerito, se la portava a casa a braccetto,
piangendo e domandandole scusa e Cicchina, già che aveva preso il biglietto
d’andata e ritorno, se ne andava a Genova lei sola, a vedere se la Lanterna era sempre al
suo posto.
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