Intanto faceva la sua comparsa
Marinetta insieme alla Rapallina; si era lasciata tirare un po' per curiosità, un
po' perché la Rapallina, già mezza impermalita, le aveva rinfacciato d'avere da
qualche tempo dei segreti con lei e di non volerla piú accompagnare a spasso
come una volta. Appena entrata, quel vedersi in mezzo a tanta gente di
conoscenza, mentre sua madre stava laggiú alla berlina, le piacque poco e
ancora meno le piacque di trovarsi ai fianchi le Testette, che la guardavano in
aria canzonatoria: pure esse erano venute a godere lo spettacolo! dippiú, lei
non era un gigante, non vedeva che delle schiene, anche allungando il collo e
alzandosi in punta di piedi, e siccome la Rapallina a forza di gomiti si era
cacciata in su fino a potersi mettere dietro la Bardiglia, pensò d'uscire da
quel forno o almeno ritirarsi verso la porta, dove non sarebbe stata tanto in
vista. Nel farsi largo, si senti toccare sopra una spalla: era Pollino Gabitto.
Rimase di stucco, incerta un
momento s'era proprio lui e se doveva salutarlo o fingere di non conoscerlo, ma
il brigante, sempre lo stesso, non le diede neppure tempo a pensare, le prese
subito la mano stringendogliela forte, domandandole come se la passava da tre
mesi che non si vedevano. — Il giorno del varo dell'Emilia si erano
separati bruschi, ma nei panni di Marinetta cosa avrebbe fatto un'altra, lí
nella folla, con le Testette vicine che la squadravano da curiose maleducate?
Un'altra avrebbe risposto al saluto, naturale, e cosí fece Marinetta, senonché
dal saluto venne il discorso, e non essendo quello il luogo piú adattato per
discorrere in libertà, a poco a poco, senza dar troppo nell'occhio, lei e
Pollino uscirono dalla sala e andarono a passeggiare nel corridoio grande in
cima allo scalone, dove la gente non si fermava, sicuri di non essere
disturbati.
Colla sua bella corporatura e i
suoi baffetti insolenti, il cappello sull'orza e la cinta rossa che gli davano
un'aria buia da marinaio, Pollino Gabitto se li metteva in tasca tutti dal
primo all'ultimo certi damerini che andavano in conversazione dalla signora
Barbara, e Marinetta, scordandosi di dovergliele battere fredde, ché dal giorno
del varo altre acque erano passate sotto il ponte, si sentí rinascere nel cuore
la sua specie di capriccio per lui. Almeno un giovinotto sano e robusto, coi
capelli veri e i denti bianchi, che a discorrerci insieme pareva di respirare
una boccata d'aria fresca in campagna! — Era venuto a Genova a cercarsi un
impiego da commesso, da guardia municipale o da portalettere, un impiego
qualunque per vivere, ché suo padre, andato a rompicollo l'appalto del dazio di
Manassola, era rimasto sopra una strada, e lui di navigare ne aveva perduto la
voglia; provvisoriamente viveva a Prè in casa d'una sua sorella maritata con un
fuochista della ferrovia, e nell'aspettare l'impiego, girava per la città non
sapendo come passare il tempo, accompagnava la musica dei soldati, si fermava
sulle mura delle Grazie a vedere entrare in porto i bastimenti, si divertiva
alle sedute dei Tribunali e della Corte d'Assise. Non lo negava mica: questa
sarebbe stata la vita di suo genio, se avesse avuto in saccoccia, non si dice
dei marenghi, ma solo qualche franchetto pei sigari e per pagarsi la sera
qualche bicchiere di vino colla compagnia.
Del resto, le novità di
Manassola? nessuna novità: il brigadiere delle guardie doganali era disertato
in Francia, portandosi via la moglie del capo musica; Marinetta doveva averla
conosciuta, quella bella lombarda, grassotta, bianca e rosa, che stava
continuamente alla finestra, in faccia al terrazzo di casa Ramò, e fumava come
un turco senza prendersi suggezione della gente per la strada. A proposito dei
Ramò, Camillo, quel miserere di Camillo, dopo averlo tenuto chiuso sotto chiave
per quindici o venti giorni, l'avevano imbarcato e spedito in America a cambiar
aria. Inutile negarlo, la colpa era tutta sua, di Marinetta; già ch'erano a
quattr'occhi, non si poteva sapere cosa gli aveva fatto lei a quel povero
zebedeo, che per sentir dire gli era girata la testa fino a tirare delle
pistolettate contro suo padre? Sempre per sentir dire, in famiglia erano stati
obbligati a legargli gambe e braccia perché non si buttasse giú dalla finestra,
e a mantenerlo da poppavia con del brodo sostanzioso, perché si era impuntato,
fosse venuto dal paradiso Gesú Cristo con tutti i suoi santi, a non voler
schiavare i denti in nessun modo, fermo e deciso nell'idea di lasciarsi morire
di fame.
Da un discorso all'altro,
Pollino e Marinetta non si accorgevano del tempo che passava, e intanto nella
sala d'udienza, dopo l'interrogatorio delle guardie, compariva come testimone
il signor Costante: Giroffo Costantino, fu Benedetto, d'anni quarantasei,
nativo di Trumiglio, circondario di Voghera, provincia di Pavia, domiciliato e
residente in Genova, di professione mediatore.
I giuramenti falsi per certi
individui sono uova fresche da sorbire; la Rapallina e la Bardiglia si
toccavano i gomiti una coll'altra ed il pubblico tossiva e strisciava sul
lastrico le suole delle scarpe nel sentire con che disinvoltura l'amico
ciliegia, dopo aver giurato secondo tutte le regole di dire la verità,
protestava scandalizzato, con una mano sulla tasca della coscienza, di non aver
mai tenuto in vita sua né fatto tenere per suo conto da terze persone il giuoco
clandestino. Rispettava troppo il governo e la sacra persona del re per
mischiarsi in questo fango criminale che disonora un cittadino italiano, era
talmente occupato dagli affari, che non aveva neppure una lontana idea del
macchinismo del lotto proibito! E quando il presidente gli domandò se sapeva
d'essere stato accusato dalla stessa Francisca Carbone lí presente, cadde dalle
nuvole: conosceva la Carbone, l'aveva sempre conosciuta per una donna onesta,
incapace di far male a una pulce, con rispetto parlando al Tribunale
eccellentissimo, anzi dovendo per obbligo di testimonio dire tutta la verità,
tutta quanta la verità, nei suoi piccoli mezzi egli si era adoperato in varie
circostanze... sí, in varie circostanze piú o meno critiche... fra le altre,
nelle trattative d'un matrimonio della figlia primogenita... nelle occorrenze
della vita, ora per rimediare a una disgrazia, ora per tappare un buco...
basta, si era adoperato, per cui, se la Carbone l'aveva compromesso nell'onore,
certamente bisognava credere che avesse inteso parlare di qualchedun altro e
nella sua ignoranza non fosse riuscita, a spiegarsi, oppure che un colpo di sole
improvviso le avesse stravolto il cervello.
Per mantenersi docile alle
istruzioni dell'avvocato, la Bricicca si lasciava dare dell'ignorante e della
matta non sapendo neppur essa se a momenti non diventava matta davvero sotto
quel supplizio che non voleva piú finire, inchiodata lí, crocifissa dalla
vergogna, senza il coraggio di voltare la testa. Ma se avevano stabilito di
condannarla, ché ci si leggeva scritto sulla faccia, almeno si sbrigassero
subito, invece di farla morire a fuoco lento! perché far venire i testimoni, se
lei aveva confessato tutto quello che a loro signori faceva comodo? anche
Pellegra adesso? avevano anche bisogno di Pellegra per mandare in prigione una
povera madre di famiglia, con tutti i sacramenti!
L'avvocato Raibetta parlò lui:
la teste, come abitante della località detta Pece Greca o di quei paraggi,
sapeva che l'accusata Francisca Carbone defraudasse il pubblico erario mediante
l'illecito esercizio del lotto privato? e sapendolo, era notorio, o quanto meno
a sua conoscenza, che di cotesto esercizio la Carbone non fosse che gerente
subalterna, e amministratore principale, se non proprietario, fosse invece
l'altro teste già sentito, Giroffo? — Pellegra, manco a dirlo, di queste cose
non ne sapeva niente, non ne aveva mai inteso parlare al mondo da anima viva;
era in relazione colla Francisca, andava piuttosto da lei che da un'altra a
comperare la verdura per uso di casa, ma buon giorno, buona sera e niente di
piú; giuocare, non giuocava, il signor Giroffo lo conosceva appena di saluto, e
negli affari degli altri non s'intrometteva, anche per non avere dei fastidi da
aggiungere ai suoi, ch'erano già abbastanza. — L'avvocato si alzò di nuovo:
pure non intromettendosi nei negozi altrui, non era giunto alle orecchie della
teste come da un certo lasso di tempo, tra la Carbone e il Giroffo esistessero
dei gravi dissapori per motivi d'indole affatto privata, e la Carbone anzi
avesse manifestato dei propositi di vendetta? Prima di rispondere, Pellegra
rimase un po' titubante, come se avesse dovuto inghiottire una medicina amara:
in coscienza, anche su questo punto era all'oscuro di tutto, perché negli
affari degli altri lei non ci s'intrometteva, solamente... le sembrava d'aver
sentito girare una voce nella Pece Greca... ma le voci sono piú delle noci e
non ci si può credere... aveva sentito dire che la Bricicca, Francisca Carbone,
era andata dal giudice a fare una denunzia contro il signor Costante pel motivo
che essendo mezza innamorata del signor Costante, si era cacciata nell'idea di
sposarlo, il signor Costante non aveva voluto saperne a nessun patto, e cosí si
era vendicata.
A questa bugiarderia, ché una
bugiarderia piú infame non poteva darsi e dalla bocca di Pellegra non se
l'aspettava certo, la Bricicca credette che le venisse un accidente. Lei
innamorata di quel fratello del diavolo? lei volerlo sposare? saltò su in
piedi, rossa come un biscione, per protestare che non era vero, ma la lingua le
diventò spessa, le si impastarono le parole prima di tirarne fuori solamente
una, e tornò a sedersi mortificata, mentre il pubblico s'era messo dalla sua
parte con un brontolamento burrascoso, che a farlo finire ci volle una
scampanellata terribile del presidente. Quanto aveva avuto Pellegra dal signor
Costante per dire ai giudici la falsità che lui le aveva imbeccato, vistosi nel
brutto rischio d'andare in villeggiatura con due alabardieri di dietro? quanto
glieli pagava alla dozzina i giuramenti falsi, a lei e a quelle tre pidocchiose
della Pece Greca, scartate da tutti, che per venti centesimi avrebbero
ingannato Gesù Cristo sulla Croce, ed erano venute dopo di lei a ripetere le
stesse calunnie?
Non fosse in vena o avesse i
dolori di pancia, il fisco, un coso stitico, degno anche pel personale del
mestiere che faceva, se la sbrigò in poche parole aggiustate alla meglio, come
se masticasse castagne secche, da far venire il latte ai ginocchi, dando però
botte da orbo addosso alla Bricicca, questo era in regola, trattandola peggio
che se avesse rubato dal suo scoglio la Lanterna di Genova. Gli rispose l'avvocato
Raibetta e si mise a parlare per un'ora, poi per un'altra ora, senza fermarsi,
senza prendere respiro, tale quale come una ruota a vapore.
Poteva avere le sue magagne
l'avvocato Raibetta, ma in quanto a parlare nei dibattimenti, il numero uno era
il suo e di sentirlo si restava incantati, massime quando difendeva i poveri
contro le prepotenze dei ricchi e del governo, con un rimbombo di voce che i
giudici pigliavano dei soprassalti sui loro seggioloni di velluto. E al fisco
gli rispose per le rime, quantunque non si meritasse l'onore, e il governo lo
staffilò di santa ragione, ché manda tanta gente in galera per un delitto che
viceversa per esso non solo non è delitto ma una specie d'opera pia aperta a
tutti, ad ogni canto di strada, colla differenza che riscuote, riscuote sempre,
invece di distribuire, e cosí ingrassa succhiando il sangue delle famiglie.
Cominciasse il governo a dare l'esempio coll'abolire il lotto e allora
l'avrebbero abolito pure i particolari! — Dal suo posto il signor Costante
approvava pienamente chinando la testa, facendo dei segni al cancelliere che
anche lui, malgrado l'impiego, capiva le cose pel loro verso; non c'era santi:
se questi dell'avvocato non erano argomenti solidi, senza replica, andava
dritto dal procuratore del re a farsi chiudere in prigione lui, al posto della
Carbone.
E andando avanti, l'avvocato
parlò della miseria del popolo: ecco il gran torto di chi ha le mani in pasta,
la miseria del popolo! Ci fu un momento che si scaldò sul serio, e nel nominare
l'Italia, dava dei pugni sulla tavola, da sconquassarla. Gridò contro le
guardie, che per prendere in contravvenzione una donnetta, ricorrevano a tutti
i mezzi, perfino a quello di mascherarsi, e le saltavano addosso in quaranta o
cinquanta, come se si trattasse della presa di Sebastopoli. E qui diceva
benissimo: le guardie erano sempre pagate per provocare, le prime a usare
cattive maniere, fossero di dogana o di pubblica sicurezza, a trattare il
popolo peggio che ai tempi di Carlalberto, quando comandavano a bacchetta i
preti e gli aguzzini.
Arricciavano il naso i giudici,
pareva che avessero i nervi fuori degli ingranaggi, nel mandar giù per forza
questa roba da chiodi, ma la verità è la verità. — Se nella Pece Greca, per
esempio, il giorno della famosa spedizione, fosse successa una baruffa seria —
ci mancò un capello! — fossero capitate delle disgrazie, dei feriti e anche dei
morti, la vera colpa, parliamoci schietto, di chi sarebbe stata? della
Francisca Carbone, forse, della miserabile Bricicca, che non dava fastidio a
nessuno e vendeva tranquillamente i suoi spinassi? — Fra tante cose da dire,
tante persone da nominare, quella, di cui parlò meno l'avvocato, fu giusto la
Bricicca, una povera donna isterica, come la chiamò lui, mezza abbrutita dalla
miseria e dai liquori, che accusava a torto i galantuomini per vendetta di non
aver piú trovato un albero da impiccarsi secondo le sue speranze, — ma non
importa niente, fu una difesa coi fiocchi, degna d'essere stampata senza
cambiarci una virgola, e glielo disse il signor Costante all'avvocato Raibetta
stesso, mentre il Tribunale si era ritirato a scrivere la sentenza, e lo ripeté
in un crocchio di persone intelligenti: una difesa magnifica, che Priario e
Borgonovo non avrebbero potuto farla meglio, e Priario e Borgonovo si sa chi
sono!
Potrebbero abolirle le difese,
che si andrebbe avanti egualmente e sarebbe tanto tempo di risparmiato: i
giudici stanno lí a sentirle e perché ci stieno non si sa, dormono o si
rosicchiano le unghie pensando alla barba di Noè, e intanto, se non sulla
carta, nella loro testa la sentenza è già fatta da un pezzo. Non si vorrebbe
saper altro: cosa le serví alla Bricicca il gran discorso del suo avvocato, se
venuta la sentenza, i due mesi di carcere domandati dal fisco e le duemila lire
di multa, gliel'applicarono stupendamente, senza ribattere né d'un'ora né d'un
centesimo?
Con tutto che se l'aspettasse,
la Bricicca restò schiacciata sotto il colpo; la sala le girava intorno,
giravano i tavolini, i giudici, il crocifisso, il ritratto del re. Quando
l'usciere la toccò sulla spalla e le disse ch'era libera d'andarsene, fece un
passo per muoversi, ma ricadde sulla panca: la portassero pure in prigione, lei
era pronta, venissero pure i carabinieri ad ammanettarla, non domandava altro!
Pellegra le si accostò, e colle buone, pigliandosela sotto il braccio facendosi
aiutare dall'usciere, la menò via come una bambina di tre anni. Nell'atrio, in
mezzo a un gruppo di donne della Pece Greca, Angela colla veletta caduta sulle
spalle e le mani nei capelli, le lagrime grosse e spesse che venivano giú a
diluvio, era nella disperazione e non si lasciava consolare; appena vide sua
madre da lontano, si svincolò da quelle che cercavano di tenerla per suo bene,
le corse incontro colle braccia larghe: voleva andare in prigione, voleva
andare in prigione anche lei!
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