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Gaspare Invrea (alias Remigio Zena)
La bocca del lupo

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  • XXIII
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XXIII

 

Intanto faceva la sua comparsa Marinetta insieme alla Rapallina; si era lasciata tirare un po' per curiosità, un po' perché la Rapallina, già mezza impermalita, le aveva rinfacciato d'avere da qualche tempo dei segreti con lei e di non volerla piú accompagnare a spasso come una volta. Appena entrata, quel vedersi in mezzo a tanta gente di conoscenza, mentre sua madre stava laggiú alla berlina, le piacque poco e ancora meno le piacque di trovarsi ai fianchi le Testette, che la guardavano in aria canzonatoria: pure esse erano venute a godere lo spettacolo! dippiú, lei non era un gigante, non vedeva che delle schiene, anche allungando il collo e alzandosi in punta di piedi, e siccome la Rapallina a forza di gomiti si era cacciata in su fino a potersi mettere dietro la Bardiglia, pensò d'uscire da quel forno o almeno ritirarsi verso la porta, dove non sarebbe stata tanto in vista. Nel farsi largo, si senti toccare sopra una spalla: era Pollino Gabitto.

Rimase di stucco, incerta un momento s'era proprio lui e se doveva salutarlo o fingere di non conoscerlo, ma il brigante, sempre lo stesso, non le diede neppure tempo a pensare, le prese subito la mano stringendogliela forte, domandandole come se la passava da tre mesi che non si vedevano. — Il giorno del varo dell'Emilia si erano separati bruschi, ma nei panni di Marinetta cosa avrebbe fatto un'altra, nella folla, con le Testette vicine che la squadravano da curiose maleducate? Un'altra avrebbe risposto al saluto, naturale, e cosí fece Marinetta, senonché dal saluto venne il discorso, e non essendo quello il luogo piú adattato per discorrere in libertà, a poco a poco, senza dar troppo nell'occhio, lei e Pollino uscirono dalla sala e andarono a passeggiare nel corridoio grande in cima allo scalone, dove la gente non si fermava, sicuri di non essere disturbati.

Colla sua bella corporatura e i suoi baffetti insolenti, il cappello sull'orza e la cinta rossa che gli davano un'aria buia da marinaio, Pollino Gabitto se li metteva in tasca tutti dal primo all'ultimo certi damerini che andavano in conversazione dalla signora Barbara, e Marinetta, scordandosi di dovergliele battere fredde, ché dal giorno del varo altre acque erano passate sotto il ponte, si sentí rinascere nel cuore la sua specie di capriccio per lui. Almeno un giovinotto sano e robusto, coi capelli veri e i denti bianchi, che a discorrerci insieme pareva di respirare una boccata d'aria fresca in campagna! — Era venuto a Genova a cercarsi un impiego da commesso, da guardia municipale o da portalettere, un impiego qualunque per vivere, ché suo padre, andato a rompicollo l'appalto del dazio di Manassola, era rimasto sopra una strada, e lui di navigare ne aveva perduto la voglia; provvisoriamente viveva a Prè in casa d'una sua sorella maritata con un fuochista della ferrovia, e nell'aspettare l'impiego, girava per la città non sapendo come passare il tempo, accompagnava la musica dei soldati, si fermava sulle mura delle Grazie a vedere entrare in porto i bastimenti, si divertiva alle sedute dei Tribunali e della Corte d'Assise. Non lo negava mica: questa sarebbe stata la vita di suo genio, se avesse avuto in saccoccia, non si dice dei marenghi, ma solo qualche franchetto pei sigari e per pagarsi la sera qualche bicchiere di vino colla compagnia.

Del resto, le novità di Manassola? nessuna novità: il brigadiere delle guardie doganali era disertato in Francia, portandosi via la moglie del capo musica; Marinetta doveva averla conosciuta, quella bella lombarda, grassotta, bianca e rosa, che stava continuamente alla finestra, in faccia al terrazzo di casa Ramò, e fumava come un turco senza prendersi suggezione della gente per la strada. A proposito dei Ramò, Camillo, quel miserere di Camillo, dopo averlo tenuto chiuso sotto chiave per quindici o venti giorni, l'avevano imbarcato e spedito in America a cambiar aria. Inutile negarlo, la colpa era tutta sua, di Marinetta; già ch'erano a quattr'occhi, non si poteva sapere cosa gli aveva fatto lei a quel povero zebedeo, che per sentir dire gli era girata la testa fino a tirare delle pistolettate contro suo padre? Sempre per sentir dire, in famiglia erano stati obbligati a legargli gambe e braccia perché non si buttasse giú dalla finestra, e a mantenerlo da poppavia con del brodo sostanzioso, perché si era impuntato, fosse venuto dal paradiso Gesú Cristo con tutti i suoi santi, a non voler schiavare i denti in nessun modo, fermo e deciso nell'idea di lasciarsi morire di fame.

Da un discorso all'altro, Pollino e Marinetta non si accorgevano del tempo che passava, e intanto nella sala d'udienza, dopo l'interrogatorio delle guardie, compariva come testimone il signor Costante: Giroffo Costantino, fu Benedetto, d'anni quarantasei, nativo di Trumiglio, circondario di Voghera, provincia di Pavia, domiciliato e residente in Genova, di professione mediatore.

I giuramenti falsi per certi individui sono uova fresche da sorbire; la Rapallina e la Bardiglia si toccavano i gomiti una coll'altra ed il pubblico tossiva e strisciava sul lastrico le suole delle scarpe nel sentire con che disinvoltura l'amico ciliegia, dopo aver giurato secondo tutte le regole di dire la verità, protestava scandalizzato, con una mano sulla tasca della coscienza, di non aver mai tenuto in vita sua né fatto tenere per suo conto da terze persone il giuoco clandestino. Rispettava troppo il governo e la sacra persona del re per mischiarsi in questo fango criminale che disonora un cittadino italiano, era talmente occupato dagli affari, che non aveva neppure una lontana idea del macchinismo del lotto proibito! E quando il presidente gli domandò se sapeva d'essere stato accusato dalla stessa Francisca Carbone presente, cadde dalle nuvole: conosceva la Carbone, l'aveva sempre conosciuta per una donna onesta, incapace di far male a una pulce, con rispetto parlando al Tribunale eccellentissimo, anzi dovendo per obbligo di testimonio dire tutta la verità, tutta quanta la verità, nei suoi piccoli mezzi egli si era adoperato in varie circostanze... , in varie circostanze piú o meno critiche... fra le altre, nelle trattative d'un matrimonio della figlia primogenita... nelle occorrenze della vita, ora per rimediare a una disgrazia, ora per tappare un buco... basta, si era adoperato, per cui, se la Carbone l'aveva compromesso nell'onore, certamente bisognava credere che avesse inteso parlare di qualchedun altro e nella sua ignoranza non fosse riuscita, a spiegarsi, oppure che un colpo di sole improvviso le avesse stravolto il cervello.

Per mantenersi docile alle istruzioni dell'avvocato, la Bricicca si lasciava dare dell'ignorante e della matta non sapendo neppur essa se a momenti non diventava matta davvero sotto quel supplizio che non voleva piú finire, inchiodata , crocifissa dalla vergogna, senza il coraggio di voltare la testa. Ma se avevano stabilito di condannarla, ché ci si leggeva scritto sulla faccia, almeno si sbrigassero subito, invece di farla morire a fuoco lento! perché far venire i testimoni, se lei aveva confessato tutto quello che a loro signori faceva comodo? anche Pellegra adesso? avevano anche bisogno di Pellegra per mandare in prigione una povera madre di famiglia, con tutti i sacramenti!

L'avvocato Raibetta parlò lui: la teste, come abitante della località detta Pece Greca o di quei paraggi, sapeva che l'accusata Francisca Carbone defraudasse il pubblico erario mediante l'illecito esercizio del lotto privato? e sapendolo, era notorio, o quanto meno a sua conoscenza, che di cotesto esercizio la Carbone non fosse che gerente subalterna, e amministratore principale, se non proprietario, fosse invece l'altro teste già sentito, Giroffo? — Pellegra, manco a dirlo, di queste cose non ne sapeva niente, non ne aveva mai inteso parlare al mondo da anima viva; era in relazione colla Francisca, andava piuttosto da lei che da un'altra a comperare la verdura per uso di casa, ma buon giorno, buona sera e niente di piú; giuocare, non giuocava, il signor Giroffo lo conosceva appena di saluto, e negli affari degli altri non s'intrometteva, anche per non avere dei fastidi da aggiungere ai suoi, ch'erano già abbastanza. — L'avvocato si alzò di nuovo: pure non intromettendosi nei negozi altrui, non era giunto alle orecchie della teste come da un certo lasso di tempo, tra la Carbone e il Giroffo esistessero dei gravi dissapori per motivi d'indole affatto privata, e la Carbone anzi avesse manifestato dei propositi di vendetta? Prima di rispondere, Pellegra rimase un po' titubante, come se avesse dovuto inghiottire una medicina amara: in coscienza, anche su questo punto era all'oscuro di tutto, perché negli affari degli altri lei non ci s'intrometteva, solamente... le sembrava d'aver sentito girare una voce nella Pece Greca... ma le voci sono piú delle noci e non ci si può credere... aveva sentito dire che la Bricicca, Francisca Carbone, era andata dal giudice a fare una denunzia contro il signor Costante pel motivo che essendo mezza innamorata del signor Costante, si era cacciata nell'idea di sposarlo, il signor Costante non aveva voluto saperne a nessun patto, e cosí si era vendicata.

A questa bugiarderia, ché una bugiarderia piú infame non poteva darsi e dalla bocca di Pellegra non se l'aspettava certo, la Bricicca credette che le venisse un accidente. Lei innamorata di quel fratello del diavolo? lei volerlo sposare? saltò su in piedi, rossa come un biscione, per protestare che non era vero, ma la lingua le diventò spessa, le si impastarono le parole prima di tirarne fuori solamente una, e tornò a sedersi mortificata, mentre il pubblico s'era messo dalla sua parte con un brontolamento burrascoso, che a farlo finire ci volle una scampanellata terribile del presidente. Quanto aveva avuto Pellegra dal signor Costante per dire ai giudici la falsità che lui le aveva imbeccato, vistosi nel brutto rischio d'andare in villeggiatura con due alabardieri di dietro? quanto glieli pagava alla dozzina i giuramenti falsi, a lei e a quelle tre pidocchiose della Pece Greca, scartate da tutti, che per venti centesimi avrebbero ingannato Gesù Cristo sulla Croce, ed erano venute dopo di lei a ripetere le stesse calunnie?

Non fosse in vena o avesse i dolori di pancia, il fisco, un coso stitico, degno anche pel personale del mestiere che faceva, se la sbrigò in poche parole aggiustate alla meglio, come se masticasse castagne secche, da far venire il latte ai ginocchi, dando però botte da orbo addosso alla Bricicca, questo era in regola, trattandola peggio che se avesse rubato dal suo scoglio la Lanterna di Genova. Gli rispose l'avvocato Raibetta e si mise a parlare per un'ora, poi per un'altra ora, senza fermarsi, senza prendere respiro, tale quale come una ruota a vapore.

Poteva avere le sue magagne l'avvocato Raibetta, ma in quanto a parlare nei dibattimenti, il numero uno era il suo e di sentirlo si restava incantati, massime quando difendeva i poveri contro le prepotenze dei ricchi e del governo, con un rimbombo di voce che i giudici pigliavano dei soprassalti sui loro seggioloni di velluto. E al fisco gli rispose per le rime, quantunque non si meritasse l'onore, e il governo lo staffilò di santa ragione, ché manda tanta gente in galera per un delitto che viceversa per esso non solo non è delitto ma una specie d'opera pia aperta a tutti, ad ogni canto di strada, colla differenza che riscuote, riscuote sempre, invece di distribuire, e cosí ingrassa succhiando il sangue delle famiglie. Cominciasse il governo a dare l'esempio coll'abolire il lotto e allora l'avrebbero abolito pure i particolari! — Dal suo posto il signor Costante approvava pienamente chinando la testa, facendo dei segni al cancelliere che anche lui, malgrado l'impiego, capiva le cose pel loro verso; non c'era santi: se questi dell'avvocato non erano argomenti solidi, senza replica, andava dritto dal procuratore del re a farsi chiudere in prigione lui, al posto della Carbone.

E andando avanti, l'avvocato parlò della miseria del popolo: ecco il gran torto di chi ha le mani in pasta, la miseria del popolo! Ci fu un momento che si scaldò sul serio, e nel nominare l'Italia, dava dei pugni sulla tavola, da sconquassarla. Gridò contro le guardie, che per prendere in contravvenzione una donnetta, ricorrevano a tutti i mezzi, perfino a quello di mascherarsi, e le saltavano addosso in quaranta o cinquanta, come se si trattasse della presa di Sebastopoli. E qui diceva benissimo: le guardie erano sempre pagate per provocare, le prime a usare cattive maniere, fossero di dogana o di pubblica sicurezza, a trattare il popolo peggio che ai tempi di Carlalberto, quando comandavano a bacchetta i preti e gli aguzzini.

Arricciavano il naso i giudici, pareva che avessero i nervi fuori degli ingranaggi, nel mandar giù per forza questa roba da chiodi, ma la verità è la verità. — Se nella Pece Greca, per esempio, il giorno della famosa spedizione, fosse successa una baruffa seria — ci mancò un capello! — fossero capitate delle disgrazie, dei feriti e anche dei morti, la vera colpa, parliamoci schietto, di chi sarebbe stata? della Francisca Carbone, forse, della miserabile Bricicca, che non dava fastidio a nessuno e vendeva tranquillamente i suoi spinassi? — Fra tante cose da dire, tante persone da nominare, quella, di cui parlò meno l'avvocato, fu giusto la Bricicca, una povera donna isterica, come la chiamò lui, mezza abbrutita dalla miseria e dai liquori, che accusava a torto i galantuomini per vendetta di non aver piú trovato un albero da impiccarsi secondo le sue speranze, — ma non importa niente, fu una difesa coi fiocchi, degna d'essere stampata senza cambiarci una virgola, e glielo disse il signor Costante all'avvocato Raibetta stesso, mentre il Tribunale si era ritirato a scrivere la sentenza, e lo ripeté in un crocchio di persone intelligenti: una difesa magnifica, che Priario e Borgonovo non avrebbero potuto farla meglio, e Priario e Borgonovo si sa chi sono!

Potrebbero abolirle le difese, che si andrebbe avanti egualmente e sarebbe tanto tempo di risparmiato: i giudici stanno a sentirle e perché ci stieno non si sa, dormono o si rosicchiano le unghie pensando alla barba di Noè, e intanto, se non sulla carta, nella loro testa la sentenza è già fatta da un pezzo. Non si vorrebbe saper altro: cosa le serví alla Bricicca il gran discorso del suo avvocato, se venuta la sentenza, i due mesi di carcere domandati dal fisco e le duemila lire di multa, gliel'applicarono stupendamente, senza ribattere né d'un'ora né d'un centesimo?

Con tutto che se l'aspettasse, la Bricicca restò schiacciata sotto il colpo; la sala le girava intorno, giravano i tavolini, i giudici, il crocifisso, il ritratto del re. Quando l'usciere la toccò sulla spalla e le disse ch'era libera d'andarsene, fece un passo per muoversi, ma ricadde sulla panca: la portassero pure in prigione, lei era pronta, venissero pure i carabinieri ad ammanettarla, non domandava altro! Pellegra le si accostò, e colle buone, pigliandosela sotto il braccio facendosi aiutare dall'usciere, la menò via come una bambina di tre anni. Nell'atrio, in mezzo a un gruppo di donne della Pece Greca, Angela colla veletta caduta sulle spalle e le mani nei capelli, le lagrime grosse e spesse che venivano giú a diluvio, era nella disperazione e non si lasciava consolare; appena vide sua madre da lontano, si svincolò da quelle che cercavano di tenerla per suo bene, le corse incontro colle braccia larghe: voleva andare in prigione, voleva andare in prigione anche lei!

 

 




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