Con tanti altri pensieri per la
testa, alla vigilia del matrimonio di Marinetta, e Angela entrata all'ospedale
colla prospettiva di non uscirne piú, della sua causa in appello la Bricicca se
n'era scordata completamente, credendo che fosse passata sotto gamba e i
giudici non ci pensassero piú nemmeno essi; ma i giudici hanno buona memoria,
tanto piú se si tratta di chiudere all'oscuro, non i ladri veri di professione,
ma una povera infelice che non ha rubato niente a nessuno. L'avviso di
presentarsi il giorno tale all'ora tale pel nuovo dibattimento, le capitò a
piombo sulle corna la mattina stessa che il parroco di Santa Dorotea, il suo
parroco, gliel'aveva lavate e insaponate a causa del Gabitto, predicandole che
secondo le informazioni avute da Manassola, per finire di rompere il collo a
sua figlia lei era riuscita a pescare nella confraternita dei cattivi soggetti
il numero uno!
Lasciamo stare le informazioni,
ché si sa da dove vengono — dai maligni e dagli invidiosi — lei, prima di tutto
non aveva pescato niente, poi, quando le carte e le fedi per poter dire di sí
erano in regola, chi gli domandava al parroco di intromettersi negli affari
degli altri e di venir fuori col numero uno o col numero cento per denigrare il
prossimo? lo sposava lui, il Gabitto? Invece delle paternali, che le aveva
sempre pronte perché non gli costavano un fico secco, avrebbe fatto meglio a
dispensare ai bisognosi della parrocchia qualche cavurrino! — E tornando al
processo, il signor avvocato Raibetta non se ne lavò le mani, promise la sua
assistenza e tutto il suo impegno, ma forse per cominciare a prepararla, buone
speranze alla Bricicca non volle dargliene nessuna.
Diede un impiego a Pollino,
questo non si può negare, un discreto impiego nel suo scagno, mezzo di servitore
e mezzo di commissionario, fra i certi e gli incerti da guadagnare circa
settanta franchi al mese, e per l'anno nuovo gli trovò pure un posto di custode
in un circolo, senz'altra occupazione che di aprire la porta tutte le sere fino
a un'ora dopo mezzanotte ai soci e alle amiche dei soci. Dal giorno che lo
conobbe come promesso di Marinetta, lo pigliò sotto il suo patrocinio, e lo
stesso si deve dire del signor Costante, che anche lui, appena tornato a Genova
dagli stabili che diceva di avere nel Monferrato, se lo mise nel tabernacolo
della sua protezione, con quell'aria solita d'uomo d'importanza ch'era il suo
forte. Per godere di queste simpatie cosí in un momento, senza costo di spesa,
il Gabitto avrà avuto dei meriti speciali, e alla Bricicca le sembrava una cosa
naturalissima, ma Pellegra vedeva troppo bene dove si andava a battere; se non
ci vedeva lei, chi doveva vederci? Il merito speciale dell'amico era quello di
essere stoffa d'orbetto di prima qualità: orbetto vero o finto, per disgrazia o
per malizia, questo è un altro paio di maniche.
Intanto nella Pece Greca,
quantunque il signor Costante non ci mettesse piú i piedi per le sue buone
ragioni, tutti sapevano che dello sposalizio di Marinetta lui si era nominato
da sé direttore generale, dopo essersi in questa circostanza riconciliato
finalmente colla Rapallina. Che interesse potesse averci a pigliarsi sempre dei
fastidi nuovi per Marinetta, compreso quello d'anticiparle delle somme, oramai,
dopo aver visto tanti maneggi, non ci voleva piú nessuna bacchetta magica per
indovinarlo, e il Castigamatti una domenica era uscito fuori con una
pappardella indirizzata alla Bricicca, domandandole se andava anche lei a
installarsi con sua figlia in via Fieschi, nella casa che il Costante aveva
fissato per gli sposi, e promettendo di dire un giorno o l'altro da chi erano
venuti i denari per pagare la mobiglia nuova. Qualche persona che aveva le
braccia lunghe e impegno di coprire gli altarini, colle buone o colle cattive
gli tappò presto la bocca al Castigamatti, ma bisognava sentire le
ciarle del vicinato, massime che salse piccanti tirava giù la Bardiglia in
bottega e fuori a chi le voleva e a chi non le voleva, e quello che a tutti
fece piú specie fu di vedere tanto la Bricicca come Pollino Gabitto — il Pollino
Gabitto colle arie che si dava! — fare gli indiani, invece di andarle a rompere
la faccia.
Forse per suggerimento della
Rapallina. o del signor Costante oppure di tutti e due, il Gabitto avrà pensato
che rompere la faccia alla Bardiglia non serviva a niente, le cose dette erano
dette e non c'era rimedio, e la Bricicca per conto suo, giusto in quei giorni,
aveva da digerire un boccone ancora piú amaro, ossia la nuova sentenza: in
appello, tale quale la stessa sentenza del Tribunale: due mesi di carcere e duemila5
franchi di multa! E, questa volta, addio speranze; la minestra era cotta ed
erano i carabinieri che da un momento all'altro sarebbero venuti a fargliela
mangiare! Da una parte, se non fosse stato il caso di strapparsi quei
venticinque o trenta cappelli che le restavano, le veniva da ridere:
condannarla lei a pagare al governo duemila franchi, voleva dire che i giudici
e il governo avevano del tempo da perdere. Ma qui di ridere non era il caso!
scontando in prigione tre franchi al giorno, prima d'arrivare a impattarsi dei
duemila ci metteva cento anni e il sole poteva calcolare di non vederlo mai
piú!
E perché anche questa volta, al
dibattimento, non lo tirasse in ballo, il signor Costante era venuto a
prometterle per lo meno le montagne della luna, assicurandola che tra lui e
l'avvocato Raibetta, appena entrata in prigione, avrebbero tanto fatto da
ottenerle la grazia dal re, e se per caso impossibile, la grazia non si fosse
ottenuta subito, allora i denari della multa qualcheduno li avrebbe pagati. Chi
era questo qualcheduno? lui forse, il signor Costante? il signor Costante, piú
bugiardo d'un cavadenti, ch'era sempre stato la sua rovina in cielo, in terra e
in ogni luogo, e sotto il manto di volerla soccorrere l'aveva sempre spremuta
come un limone? In tutto il mondo altre persone da fidarsi o da contarci sopra,
essa non ne aveva, ridotta al punto in cui era ridotta, e adesso, dopo essersi
inghiottita la condanna senza fiatare, non le restava che di vedere se almeno
una volta in vita sua quel sensale di fumo imbottigliato si scordava d'essere
un impostore. Dell'avvocato, inutile parlarne: aveva troppe occupazioni; si era
degnato di venire al dibattimento, ma colla scusa d'aver perso la notte in
viaggio tornando da Roma, aveva detto appena quattro parole senza sale e
senz'olio, cosí per comparsa e nient'altro, e se era riuscita la Bricicca a
intercedere dal procuratore del re d'assistere sua figlia moribonda, prima
d'entrare in Sant'Andrea, ci era riuscita a forza di passi e di suppliche, ché l'avvocato
neppure in questo aveva voluto darle una mano.
Erano stati i primi freddi che
dopo tanti alti e bassi, ad Angela le avevano dato il tracollo, oppure la
notizia del matrimonio di Giacomino, celebrato l'ultima domenica d'ottobre con
una grande funzione in chiesa e una scampagnata solenne al santuario della
Guardia in Polcevera? Al procuratore del re la Bricicca gli aveva detto per
intenerirlo che sua figlia era moribonda, e gli aveva detto la verità
sacrosanta, ché oramai era questione piú di settimane che di mesi e piú di
giorni che di settimane, e quella povera vittima, ridotta al punto che a
metterle una lanternetta dietro le spalle si sarebbe vista la luce attraverso
il corpo, si era lasciata portare all'ospedale di Pammatone senza aver piú la forza
né la voce per dire di no. Era la volontà del Signore, bisognava morire, morire
a ventidue anni, dopo aver creduto un momento di toccare il cielo col dito e
invece, non contando le altre tribolazioni, aver dovuto sopportare la vergogna
e lo spasimo del tradimento, che chi non l'ha provato non sa cosa sia, dopo
aver pregato tanto, e versato tante lagrime! era venuta l'ora, bisognava morire
e ci voleva pazienza!
Meglio cento volte che nella
soffitta della Pece Greca aperta a tutti i venti e a tutte le acque, sopra un
letto sgangherato e coi lenzuoli ridotti che parevano un ricamo di Parigi; in
definitiva, passato quel primo stringimento di cuore che viene a tutti, Angela
poteva consolarsi davvero d'essere all'ospedale, dove almeno le monache e le
infermiere e i padri cappuccini l'avrebbero assistita fino all'ultimo, dove
medicine e buoni brodi sostanziosi non le sarebbero mai mancati e i medici
neppure, mentre a casa era quasi tutto il giorno lasciata sola in compagnia
della sua tosse che la strangolava, il medico veniva sí e no quando non aveva
nient'altro da fare, e tante volte non solo il brodo ma anche un sorso d'acqua
calda bisognava sospirarlo per mattinate intiere. La verità è una sola: i buoni
brodi, i medici e le medicine sono cose eccellenti per gli infermi che hanno da
guarire, ma per quelli che vedono la morte ballare nelle maniche del
confessore, non servono a niente; l'assistenza dei suoi, l'attaccamento alla
terra e alla gioventú, la speranza di star meglio, e diciamo pure, la memoria
di tutto quello che si è sofferto senza colpa, per l'iniquità degli uomini,
quando si arriva sulle porte dell'eternità non servono che a far perdere il
tempo oramai Angela, rassegnata, voleva essere tutta del Signore, conosceva il
suo stato e alle cose di questo mondo non voleva piú pensarci. Lo sentiva bene
che per lei non c'era piú rimedio, lo capiva dalla sua gran debolezza, dagli
sbocchi di sangue continui e dal dolore fisso che aveva dalla parte del cuore
come se il cuore glielo stritolassero in mezzo a due ruote di ferro, lo capiva
dalla faccia delle monache piene di compassione e da quella del medico, che due
volte al giorno veniva a visitarla, e senza parlare, dopo averle picchiato per
mezz'ora sullo stomaco e sulla schiena, e sullo stomaco e sulla schiena averci
tenuto l'orecchio per un'altra mezz'ora e averle messo un istrumento di vetro
sotto l'ascella, brontolava fra i denti e scrollava la testa. Una volta glielo
disse al medico: perché farle inghiottire tanto catrame e tante polveri, se non
ci credeva piú nemmeno lui?
Le monache, ora l'una ora
l'altra, le tenevano compagnia parlandole del paradiso, raccontandole tante
belle vite di santi, qualche volta veniva pure al suo letto la Madre Superiora
a suggerirle dei buoni pensieri di virtú e di pazienza e a farle coraggio, a
discorrere del celeste Sposo, l'unico che mantenga le sue promesse, l'unico che
ami di vero amore le sue creature e meriti veramente d'essere amato. In quanto
a coraggio, Angela ne aveva, e le stesse monache l'ammiravano, ringraziandone
Dio, nel vederla cosí forte e paziente, ma si sbagliava di grosso quando
credeva di aver rotto tutte le catene che ancora la legavano al mondo: senza
accorgersene, ogni tanto la sua anima invece di volare verso il cielo, si
perdeva in un laberinto, lasciava lo Sposo celeste per un fantasma che le
passava davanti agli occhi a braccetto di una giovane carica d'ori, e nel
vedere quei due allegri e contenti, che si volevano bene, finiva per mettersi a
piangere. Fu giusto in una delle sue visite che la Madre Superiora per
combinazione le vide in dito l'anello di Giacomino: dopo essersi data tutta
quanta a Gesù, fino a sacrificargli volentieri la stessa vita, era ancora
attaccata alle miserie terrene, Angela!? possedere un anello non era peccato,
ma guardarselo con compiacenza e bagnarlo di lagrime, baciarlo anche di
nascosto, voleva dire non essere perfettamente unita a Gesú Crocifisso nelle
sue cinque sacratissime piaghe e mantenere nel fondo del cuore una passione
pericolosa, suggerita dal demonio.
Mettersi a combattere colla
Madre Superiora dell'ospedale e mettercisi avendo un piede nella fossa, era
roba da matti, eppure Angela si provò, ferma nell'idea di volersene andare
all'altro mondo coll'anello di Giacomino in dito, dal momento che per Giacomino
aveva tanto sofferto e moriva per causa sua: adesso non voleva piú darglielo
neppure se fosse venuto lui in persona a inginocchiarsi ai piedi del letto, e
se le Testette avessero avuto il coraggio di comparirle davanti, essa, cosí
com'era sul punto di rendere l'anima al creatore, avrebbe trovato tanta forza
per mandarle a nascondersi venti metri sotto terra! Non si perdonano, non si
perdonano certe azioni, è impossibile; il Signore che è giusto, che sapeva
tutto, le porte del paradiso gliele avrebbe aperte anche senza che essa avesse
perdonato. — Tra i colpi di tosse e la debolezza, stentava a parlare, parlava
piú cogli occhi che colla voce, ma era risoluta in questa fissazione diabolica;
che in paradiso doveva andarci lo stesso, anche senza perdonare, non volendo
sentire né esortazioni né argomenti, e la Madre Superiora, che di regalare
un'anima al diavolo, in ispecie quella d'una bravissima figliuola acciecata dal
puntiglio, non era nei suoi progetti, all'ultimo ne fece una delle sue, da
quella donna energica ch'era sempre stata: con una scusa mandò a chiamare le
Testette.
Quando le due sorelle Tribuno
videro Angela lunga e distesa in un letto d'ospedale, da capo a piedi distrutta
come un pane di butirro messo sul fuoco, colla faccia trasparente e tutta
occhi, i capelli incollati, le mani lunghe, pallide, abbandonate, quando la
videro e stentarono a riconoscerla, rimasero immobili, che parevano quelle due
statue colle braccia larghe nella cappella del Suffragio. Angela, coi suoi
occhi spalancati, che di nottetempo avrebbero illuminato una piazza tanto erano
accesi, le guardava fisse mostrando i denti, due righe di denti gialli, come se
ridesse in uno spasimo, ma non parlò perché la Madre Superiora venne subito a
sedersi alla testa del letto e, tirato fuori un libro grosso, con voce lenta e
spiccata cominciò a leggere una meditazione. Dire se la meditazione era fatta
piú per Angela o per le Testette, sarebbe difficile: ce n'era per tutte, per
l'inferma e per le sane, per quelle anime che credono di burlare il Signore
pregando e battendosi il petto, ma conservando affezioni carnali e peggio
ancora sentimenti d'odio e di vendette, e per quelle altre che dicendosi
cristiane, mettono tutto il loro studio a far del male al prossimo e non vivono
che per la maldicenza, la malignità e le cattive azioni. — Finito di leggere,
la Madre Superiora si alzò senza dir niente, prese dalla sua cintura un
crocifisso di legno nero coll'immagine di bronzo e lo diede ad Angela, che lo
tenesse dritto nelle mani davanti agli occhi, poi, inginocchiatasi sul marmo,
recitò a memoria una preghiera.
Le Testette s'inginocchiarono
esse pure. L'ora precisa adesso nessuno se la ricorda, ma doveva essere sul
calare del sole, e cosa certa è questa, che dai finestroni veniva una luce tra
il giallo e il grigio, una luce di novembre, che si fermava di fuori,
arrabbiata contro le nuvole che la soffocavano, e nella corsia cresceva a poco
a poco l'ombra tetra, come in una chiesa, verso sera, dopo la benedizione. Le
altre ammalate, quelle piú vicine al letto di Angela, guardavano attente,
cercando di udire nel gran silenzio le parole della Madre.
Era la preghiera per la Buona
Morte, che si legge in quasi tutti i libri di divozione e a recitarla si
guadagnano cento giorni d'indulgenza. Deve averla composta qualche santo celebre,
oppure una persona di molto talento, perché oltre far drizzare i capelli sulla
testa — e ce ne sarebbero tanti al giorno d'oggi che avrebbero bisogno d'un po'
di spaghetto — intenerisce il cuore anche dei piú ostinati, specialmente in
quel punto dove dice:
— Quando le mie labbra fredde e
tremanti pronuncieranno per l'ultima volta il vostro nome adorabile,
misericordioso Gesú, abbiate pietà di me.
— Quando i miei occhi offuscati
e stravolti dall'orrore della morte imminente, fisseranno in voi gli sguardi
languidi e moribondi, misericordioso Gesú, abbiate pietà di me.
— Quando le mie mani tremole e
intorpidite non potranno piú stringervi crocifisso, e mio malgrado lascerovvi
cadere sul letto del mio dolore, misericordioso Gesú, abbiate pietà di me.
E non solamente questi punti che
commuovono e mettendo freddo fanno venire le lagrime agli occhi, ma pure quelli
dove si parla dei fantasmi e dell'angelo delle tenebre che tentano di
spaventare il moribondo e ridurlo alla disperazione, degli ultimi sospiri del
cuore e dell'ultimo pianto, dei parenti ed amici affollati intorno al letto, e
si descrive il corpo rimasto ad un tratto senza vita, immobile e freddo sulle
lenzuola, e l'eterno Giudice accompagnato dai cori degli angeli e dei santi,
che viene sulle nuvole, in mezzo ai lampi, a pronunciare l'irrevocabile
sentenza. Diceva molto bene il Padre Ottaviano, felice memoria, uno dei
cappuccini dell'ospedale, che questa preghiera recitata come va recitata, con
vera compunzione, fa piú bile al demonio di quello che non gliene faccia una
predica solenne, per le anime che gli porta via miracolosamente. Infatti, mano
mano che la Superiora andava avanti, le Testette sentivano nel cuore il
tormento del rimorso, e Angela il desiderio di perdonare. Bisogna tener calcolo
dell'ora, della malinconia grandissima di trovarsi per amore o per forza in
quel luogo di tribolazione, dell'oscurità che cominciava a distendersi e pareva
che fosse popolata d'ombre, ma non si può negare che le parole della preghiera,
dette adagio nel silenzio generale, con voce chiara, certi momenti terribile da
stagnare il sangue nelle vene e certi altri piena di dolcezza come una musica
d'angeli, penetravano fino al fondo dell'anima, erano punte di spine, lame di
coltelli, goccie d'olio bollente, erano tutto quello che potete immaginare che
faccia soffrire, e nel tempo stesso rosolio, velluto, goccie di balsamo, tutto
quello che potete immaginare che faccia bene.
La Madre Superiora aveva finito
da un pezzo, si era alzata, e le sorelle Tribuno erano ancora in ginocchio, una
di qua, l'altra di là del letto, che piangevano singhiozzando, colla testa
sotterrata nelle coperte; dal fondo della corsia le infermiere venivano, con
tutta la loro calma, accendendo i primi lumi. Nessuno aveva ancora detto una
parola. Per accomodarle i guanciali, la Madre essendosi chinata sopra di lei,
Angela nel restituirle il crocifisso, le lasciò cadere in mano l'anello di
Giacomino, ma senza parlare perché si capisce che aveva un gruppo di pianto
alla gola. In quel momento l'infermiera accendeva il lume proprio di rimpetto.
La Madre Superiora disse: «sia lodato Gesú Cristo» le Testette risposero
«sempre sia lodato» e siccome finalmente si erano decise ad alzarsi, però
piangendo sempre, attraverso le lagrime videro Angela come trasfigurata nella
luce che le batteva addosso, con un cerchio di raggi intorno ai capelli
all'usanza dei santi in gloria, la videro quasi seduta sul letto, colle braccia
aperte verso di esse, in atto di perdonare.
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