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Gaspare Invrea (alias Remigio Zena)
La bocca del lupo

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  • III
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III

 

Il giorno, ch'era un sabato, della prima rappresentazione, Marinetta pareva che avesse degli spilli sotto i piedi e l'argento vivo addosso. Su e giù per le scale, dalle donne del vicinato, dalla Rapallina, nelle botteghe della Pece Greca, a farsi promettere che la sera tutti sarebbero andati a vederla. Tornava a casa un momento, poi subito fuori, poi di nuovo in casa, e metti acqua al fuoco per lavarsi tutta da capo a piedi, e cerca il sapone, e versa in testa, sulle braccia, sullo stomaco delle tonnellate di cipria. Alla prova generale le avevano raccomandato la cipria specialmente, non perché non fosse bianca abbastanza, ma per coprire le lenticchie che aveva sulla pelle, anzi miss Flora, una delle cavallerizze, le aveva regalato il fondo d'un vasetto d'una certa pasta strana, tutta odorosa e bianca come il latte, che invece di distendersela sella faccia, veniva voglia di mangiarla.

Che ora era? non voleva mica arrivare in ritardo e buscarsi una ramanzina dal direttore! Sua madre e sua sorella la servivano di tutto punto, ma intanto avevano il cuore grosso e piú desiderio di piangere che di ridere. Dopo aver creduto per un pezzo che i parenti, come s'era detto, avrebbero avuto il biglietto gratis, nossignore, per quella sera biglietti gratis non ce n'erano, si faceva la beneficiata di miss Ella e chi non poteva pagare doveva starsene a casa.

Bel modo di trattare, quello! promettere e farsi fresco delle promesse! era una ragione, la beneficiata, per ingannare i parenti? e se i parenti si fossero mangiati essi pure la parola, e i figliuoli se li fossero tenuti a casa, non sarebbe stata una vendetta giusta e giustissima? La Bricicca non aveva torto di parlare cosí, lei che giusto in grazia di questa beneficiata, era rimasta al verde, completamente al verde, e le toccava quella sera far crocette: gli ultimi tre franchi che possedeva e che a rigore, per due posti in platea le avrebbero bastato, Marinetta glieli aveva sgraffignati, colla scusa d'un gran mazzo di camelie col suo nastro di seta, che le ragazze della pantomima s'erano messe insieme per regalare a miss Ella; denari bene spesi, che sarebbe stato meglio comprarne tanta regolizia, almeno per sentirci il gusto, ma dalla prima all'ultima, grandi e piccole, le sue compagne si erano tutte sottoscritte, e che figura ci avrebbe fatto Marinetta, a tirarsi indietro? Se si fosse adattata, essa che ci aveva confidenza, a domandare alla Rapallina ancora un piccolo imprestito, nient'altro che il costo dei due biglietti d'entrata, la Rapallina, certamente, di no non avrebbe saputo dirglielo, invece col pretesto della vergogna, si era incaponita a non volerle più domandare un soldo, era andata in furia solo di sentirselo proporre, e non parliamone più.

Che delizia, appena accesi i fanali per le strade, di trottare giù per Ponticello verso le porte dell'Arco, sotto un diluvio d'acqua che veniva come Dio la mandava, in tre sotto un parapioggia solo! che gusto d'andare al teatro, colla certezza di restar fuori a vedere entrare gli altri! Arrivate alla porticina degli artisti, Marinetta si staccò subito, mostrò ad un gobbetto il suo scontrino di riconoscimento, e in un salto sparí senza salutare, lasciando sole in mezzo della piazzetta interna a guardarsi come due sceme, Angela e sua madre; fino allora un barlume di speranza d'essere introdotte di straforo da qualche anima misericordiosa, l'avevano conservato, ma la porticina si chiuse da sé, e rimaste all'oscuro, sempre sotto la pioggia, si rifugiarono nel vestibolo, coll'idea d'aspettare sino alla fine.

Presto detto: lí per lí non pensarono che lo spettacolo non sarebbe finito che a mezzanotte ben passata, e che c'erano cinque ore buone da battere i chiodi sulle lastre di marmo. — Il vestibolo era ancora deserto, illuminato malamente da una fiammetta, il caffè chiuso, nessuno dei portinai al suo posto. Piene di tristezza, si rannicchiarono in un canto, sedute sopra uno scalino, vicino al camerone dove tutto intorno erano appesi degli attaccapanni. Faceva freddo; colle vesti fracide che s'incollavano alle gambe, coi piedi a bagno, coperte da uno straccetto, stando ferme si sentivano intirizzire, e non si arrischiavano a muoversi per paura di essere mandate via dal guardaportone, ch'era venuto insaccato nella sua livrea e passeggiava fiero in lungo e in largo, tenendo dietro le reni il bastone col pomo d'argento.

Per far qualche cosa, Angela si mise a studiare il manifesto di quella sera con un gran Cendrillon scritto grosso come una casa, e il cartellone generale della compagnia equestre, coi nomi di miss Ella, di Orazio Filippuzzi e dei clo... clo... una parola bisbetica, stampata in tedesco, che non si sapeva come leggere. Intanto la Bricicca borbottava a più non posso: ci mettevano tanto tempo prima di cominciare? e la gente perché non veniva? Sarebbe stata bella che non fosse capitato nessuno, dopo il gonfiamento che quei signori avevano fatto. Quasi, quasi, anzi senza il quasi, ne avrebbe avuto piacere, perché imparassero a loro spese a trattare i poveri e a non metterseli sotto i tacchi. Poveri poveri! per essi tutto buono, anche le legnate!

Ma il piacere di non veder arrivar nessuno, la Bricicca non l'ebbe: si aperse il caffè, si accesero i becchi del gaz, e la gente cominciò a venire, prima tutte persone basse, che s'infilavano presto dentro per scegliersi i posti migliori, poi a poco a poco persone d'alto bordo, signori col cilindro, ufficiali, comitive di giovinotti allegri; la buca dei biglietti era presa d'assalto, l'atrio pieno di uomini e di fumo. Le signore e le signorine, imbacuccate nei loro scialli, colla punta del naso che usciva fuori, rossa pel freddo, passavano in fretta tra la folla e sparivano subito.

Chi sarà stata quella signora bionda, tutta fasciata in un mantello bianco ricamato, a braccetto d'un ufficiale? e quell'altra cosí grassa? il freddo non lo sentiva certo, con quella pelliccia sulle spalle e tanta carne addosso; una nobile di sicuro. Potersi ficcare in una delle sue maniche e entrare cosí, alla barba dei portinai! — E arrivava sempre gente, tutti col portamonete aperto, come tanti milionari.

Ecco la Rapallina, vestita di seta, accompagnata dal cicisbeo, il parrucchiere del Pontetto; ci voleva un bel coraggio, per una donna maritata, mostrarsi in pubblico coll'amico. Ecco la Bardiglia insieme a una baraonda di amiche, zie, cugine e nipoti, venute tutte per battere le mani alla Linda, e passavano facendo un fracasso dell'altro mondo, come se fossero state esse le padrone assolute del teatro. Il meglio per la Bricicca era di nascondersi bene dietro le gambe delle persone, farsi piccole piccole, lei e Angela, per non lasciarsi vedere cosí povere e derelitte. — Ah! anche Pellegra veniva al teatro? e colle figlie e coi ragazzi, che parevano un presepio. Per non pagare i debiti raccontava sempre miserie da torcere il cuore, fame e sete in compagnia tutti i giorni dell'anno, ma per venire a divertirsi e spendere un subisso, i denari aveva saputo trovarli! Non c'era nessuno come lei per tirarne giù alla signora della Misericordia, che aiutava solo le intriganti ciarlone, e le bisognose vere se le toglieva dai piedi con dei buoni consigli! — Minestra che non si mangia, quella dei buoni consigli! — E Angela perché stava zitta? non si sentiva rivoltare lo stomaco dalla rabbia?

Angela rispondeva di sí, ma pensava ad altro; si era visto passare vicino il garzone del calzolaio di via Assarotti, Giacomo, che l'aveva salutata; un bravo figliuolo, piuttosto timido e tutto cuore. Se essa avesse avuto il coraggio di dirgli perché stava lí nascosta in un angolo con sua madre, lui i biglietti li avrebbe presi sul momento senza neppure voler essere ringraziato, prima per il suo buon cuore, poi perché la vedeva di buon occhio e gliel'aveva fatto capire molte volte, ma sul punto di chiamarlo, il coraggio l'era mancato. Come si fa a non avere vergogna, d'essere poveri? quando una persona vi guarda volentieri e anche voi ci discorrete insieme piú volentieri che con un altro, ebbene, non si può, piuttosto vi lascereste tagliare il collo.

Una scampanellata che non finiva piú, mise la folla in movimento, tutti si precipitarono verso la porta della platea, e in un minuto il vestibolo restò di nuovo deserto, allagato dall'acqua degli ombrelli, seminato di cicche. Finalmente si cominciava. — Le due donne non si mossero dal loro canto, per esse c'era clausura, e quasi subito intesero un gran fracasso di musica, poi cic, ciac, dei colpi di frusta che parevano schioppettate, e la voce di una donna: hop, hop! mentre gli applausi facevano venir giú il teatro. Chi le avrebbe tenute? si alzarono e vollero avvicinarsi alzando un poco la tendina della porta per vedere qualche cosa almeno da una fessura, ma l'orso insaccato nella livrea, col bastone sotto l'ascella e il cilindro storto in capo, da un'ora le teneva d'occhio, come se fossero venute per rubare. Toccò la Bricicca sulla spalla: o dentro o fuori; se avevano i biglietti, padrone di accomodarsi, se non li avevano, padrone di filar via. L'avevano preso per loro salotto di conversazione l'atrio del teatro, oppure speravano di farla franca e ficcarsi dentro collo scappellotto?

La Bricicca si senti venir rossa come un papavero. Ah! avrebbe risposto per le rime e gli avrebbe insegnato la creanza a quel villano vestito da marchese di carnovale, se non fosse stata Angela, colle sue paure, a tirarla per la manica, supplicandola di non far scene, per amor di Dio! E scene non ce ne furono, ché la Bricicca era donna che l'educazione non aveva bisogno d'impararla da nessuno e sapeva portare rispetto al luogo dove si trovava; ma se avesse voluto farla una scena, la ragione sarebbe stata dalla parte sua e tutti gliel'avrebbero data. Anche quel — come si chiamava? — quel tracagnotto colla barba nera e il naso piatto, che parlava sempre colla lingua in mezzo ai denti, tsi tsi, e tutti i sabati si vedeva nella Pece Greca e dicevano che veniva a riscuotere dalla Bardiglia i denari del lotto clandestino, le diede ragione lí sulla faccia dell'orso, sostenendogli che l'atrio era pubblico come la piazza dell'Acquaverde, e la gente, purché non disturbasse, poteva starci a suo piacimento. Si vedeva che era un galantuomo, quel barbone; lui e la Bricicca si conoscevano solo di vista, eppure dopo averla difesa, si fermò a discorrere domandandole tante cose, ed anzi volle ad ogni costo invitarla con Angela nel caffè a prendere un poncino.

Lui dei cavalli e dei cavallerizzi non sapeva piú cosa farsene, sempre i medesimi giuochi, visti, rivisti, ed era venuto per la pantomima; se le donne volevano vederla esse pure, a momenti le avrebbe fatte entrare senza spendere un centesimo. Niente paura, ci pensava lui. Un uomo allegro e di mondo, si vedeva subito; nel caffè conosceva tutti, parlava con tutti, e sbirciando Angela, raccontava delle barzellette che la facevano ridere, quantunque essa di ridere ne avesse voglia come di succhiare dei chiodi fritti e più di una volta le toccasse chinare gli occhi, mortificata delle troppe libertà che quel signore si prendeva nel discorrere; avrebbe dovuto ricordarsi ch'era sabato e parlare di grasso era proibito. A sentirlo, cogli artisti principali della compagnia, ossia col signor Davide Guillaume, col signor Natale, con Magrini, con Pinta — tutti i nomi che la Bricicca e Angela li sapevano a memoria a forza di sentirli ripetere continuamente da Marinetta — ci aveva vissuto insieme, mangiato e dormito per degli anni, perché una volta si occupava anche lui di cavalli e ne faceva negozio, e le artiste, miss Ella, miss Ada, miss Ketty, le aveva viste nascere e crescere, e la loro vita e i loro miracoli non aveva bisogno che glieli venissero a raccontare, e nemmeno i difetti e le bellezze del loro corpo. Volendo, avrebbe avuto da scoprirne delle marachelle fino all'indomani mattina a mezzogiorno: miss Ketty, per esempio, che sul cartellone si faceva passare per americana, laggiú del Missipipí, l'aveva vista nascere, non per modo di dire, ma coi suoi propri occhi a Stradella, in una baracca di saltimbanchi, e per combinazione gli era capitato a lui di dover fare da levatrice e il Missipipí misurarlo quanto era largo e lungo; e quell'altra, miss Flora, volevano sapere perché in compagnia la chiamavano «la vergine delle sette trombe?».

Sul tardi, quando dopo i dieci minuti soliti di riposo, il pubblico rientrava in teatro, raccomandò alle donne faccia franca, e usciti insieme dal caffè, se le spinse davanti, facendole bravamente passare sotto gli occhi dei portinai, confuse nella folla. Esse si trovarono dentro quasi senza accorgersene, ma in fondo e schiacciate dalla calca contro il muro. Dov'era andato a perdersi il barbone, che non lo vedevano più? Gomiti nei fianchi, piedi sui calli, urtoni da tutte le parti, e per giunta sotto il colonnato, da dove si vedevano delle schiene e nient'altro, senza neppure il piccolo conforto di godere il teatro coi palchi e i lumi, figurarsi la pantomima dei ragazzi, che la facevano giù bassa, proprio nel mezzo! Sentirono la musica, le battute di mani, gli oh e gli ah dei vicini, anzi la Bricicca, fra le altre cose, senti un crac nel suo vestito, figlio unico di madre vedova, che le andò dritto al cuore.

In quel momento, al suono della marcia reale, compariva Vittorio Emanuele, un Vittorio Emanuelino, dicevano, piccolo piccolo, coi baffi più lunghi di lui, che veniva alla festa da ballo del principe insieme a Garibaldi, a Napoleone e all'imperatore dei turchi, marciava duro, fiero come un generale, e tutti per vederlo meglio, si alzavano Di punta di piedi, buttandosi addosso, rompendosi le coste. Bravi! c'era più altro da vedere? non ne avevano ancora abbastanza? Intanto il vestito era rovinato, e alla Bricicca Vittorio Emanuele non glielo pagava di sicuro.

 

 




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