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Gaspare Invrea (alias Remigio Zena) La bocca del lupo IntraText CT - Lettura del testo |
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XV
Una bella mattinata dolce, un mare d'olio turchino, pareva che capitan Ramò se li fosse fatti prestare apposta pel varo dell'Emilia. Bandiere, bandiere da tutte le parti, alle finestre delle case che guardano la marina, sui barchi in costruzione, sui pali piantati nella sabbia, bandiere italiane colla croce di Savoia, bandiere inglesi colla croce rossa di San Giorgio, americane, spagnuole, portoghesi, norvegine, bandiere a mille colori e tutte d'un colore, a fiamma, a pennello, a gagliardetto, a stendardo, con figure di santi e madonne, iniziali e cifre d'armatori, nomi di bastimenti, insomma un'allegria d'arcobaleno che sventolava in aria sotto il sole e faceva traballare la vista. Sulla spiaggia e sui balconi e sui terrazzi un mondo di gente, in mare un mondo di barchette. Manco a dirsi, tutta pavesata anch'essa per ogni verso, da poppa e da prua fino alla punta degli alberi, la chiglia dentro i vasi e tenuta su appena appena dai puntelli necessari, l'Emilia mia era un gaudio vederla sullo scalo nel mezzo del cantiere, bianca latte come una sposa, col violone sotto il bompresso e lo specchio di poppa pieni d'intagli d'oro, svelta, fiammante, che non si sarebbe mai finito di guardarla. Per salire a bordo c'era un grande scalandrone di tavole posticcie, ma i marinai e i ragazzi facevano piú presto degli invitati arrampicandosi su per le biscagline appese di qua e di là al bastingaggio, e di ragazzi ne piovevano tanti in coperta, che Mascabado, il nostromo, le bestemmie non sapeva piú dove andarle a pescare e si sentiva far male il braccio a forza di distribuire scappellotti e gettare berretti in aria giù dal bordo. Se non si cacciavano indietro quei figli d'accidenti, la funzione si faceva per essi, e le signore e le signorine e le signorone, che ce n'era d'ogni specie e non soffrivano l'odore di catrame fresco, potevano montarsene a riva sul trinchetto e sulla maestra! A momenti, se venivano ancora degli invitati, in coffa o sui pennoni bisognava che ci andassero davvero, ché in coperta, a poppa massimamente, non c'era piú posto e tutta la prua l'occupavano quei della banda, in attesa di suonare la marcia reale all'arrivo di don Bosco e del sindaco. Capitan Ramò, vestito di nero dalla testa ai piedi, con un cilindro arruffato che se lo levava tutti i minuti per asciugarsi il sudore, sbuffava, correndo su e giù come se avesse perso la borsa, dava ordini e contrordini a Mascabado, ai musicanti, ai maestri d'ascia, gridando forte senza rispetti umani. Impacciato fra tante persone che venivano a congratularsi e a tempestarlo di domande senza sugo e non capivano che di complimenti lui non se ne intendeva e poi quello non era il momento adattato, mezzo faceto e mezzo brusco diceva alle signore qualcuna delle sue burlette o qualche complimento agrodolce, ma cogli uomini tagliava corto, lasciandoli in asso sul piú bello, all'usanza inglese. I salamelecchi toccava a suo figlio di farli; dove s'era nascosto quel lunario male stampato e perché non si muoveva? Chi sta bene non si muove. Camillo se ne stava con Marinetta, venuta insieme alla signora Ramò e alle sue figlie in pompa magna, e aveva altro da pensare che ai salamelecchi. Di che cosa parlassero, piano per non farsi scorgere, non c'è bisogno di dirlo, ma si capisce pure che Marinetta li sapeva a memoria quei discorsi e certo non s'era messo un vestito nuovo di percallo a quadretti bianchi e rossi, e non era venuta sull'Emilia per restare laggiú in fondo tutto il tempo della festa a sentire la cantilena solita e a ribattere sempre le stessissime cose. Domando io: che colpa ne aveva lei, se il Pollino Gabitto, col suo istrumento sotto il braccio, passeggiava a bordo in aria di fanfarone, sbirciandola da lontano? un musicante come gli altri, venuto coi musicanti; ebbene, Camillo moriva di gelosia e di rabbia, fermo nell'idea che vi fosse un appuntamento, e non bastandogli di soffrire lui, metteva Marinetta sulla graticola. Per poco che durasse, andava a succedere una scena, o almeno quei che erano vicini si accorgevano della lite. Fortunatamente, la marcia reale annunziò l'arrivo di don Bosco, tutti si agitarono, si fece un gran movimento verso lo sbocco dello scalandrone e Marinetta fu svelta a ficcarsi in mezzo alla folla prima che l'altro avesse avuto il tempo di trattenerla. Pigliata a braccetto la seconda delle figlie Ramò, ché l'Emilia, come madrina del bastimento, era coi pezzi grossi, poté respirare e godersi lo spettacolo, sicura che fino a funzione finita sarebbe rimasta in pace, libera da quel benedetto ragazzo, una vera mosca di Milano senza fargli torto. Dal suo posto, mentre la marcia reale seguitava allegramente, vedeva benissimo capitan Ramò, il sindaco e gli altri invitati d'importanza; sprofondarsi in riverenze davanti a don Bosco, che accompagnato dall'arciprete e dal suo segretario, un pretino secco e colore di cuoio sporco, veniva adagio verso poppa, tenendo il tricorno appoggiato allo stomaco, salutando col capo a destra e a sinistra. Non era per criticare, ma lei, nei panni dell'armatore, avrebbe chiamato un altro sacerdote a benedire il bastimento, invece di don Bosco! Nei preti, si sa, non è la bellezza quella che si deve cercare, però l'occhio vuole la sua parte, e questo famoso reverendo sembrava uno di quelli che portano in giro casseruole e padelle: occhi piccoli piccoli, una faccia tagliata coll'accetta, era tutto lí quello che dicevano un gran santo e l'amico intimo del papa? altro che riceverlo colla musica! ma neppure sentire una sua messa, bassa, neppure fargli smorzare le candele in sacristia! — Era in vena Marinetta, e avrebbe seguitato ancora, mettendo nell'imbroglio la sua amica che non sapeva troppo se doveva ridere o scandalizzarsi, quando all'improvviso un lampo le tagliò la parola: gli occhi piccoli piccoli del reverendo s'erano fissati nei suoi come se egli avesse inteso, a malgrado della distanza, che si parlava di lui con tanta disinvoltura, s'erano fissati nei suoi, lungamente e pieni di fiamma, le penetravano l'anima acuti come punte di spillo. Paura o vergogna, dovette voltarsi e guardare da un'altra parte. Intanto la musica era cessata, cinque o sei preti in cotta circondavano don Bosco, gli avevano messo sulle spalle il piviale bianco e dato l'asperges. Silenzio generale come in chiesa, gli uomini tutti col cappello in mano, le signore cosí compunte da non farsi nemmeno piú fresco col ventaglio. — Dominus vobiscum. — Et cum spiritu tuo. — Oremus. E tra un subisso d'Oremus, d'antifone e di salmi cantati, il bastimento fu benedetto di sopra e di sotto, per lungo e per largo, benedetto di dentro e di fuori, nello scafo, nell'alberatura, negli attrezzi, tanto che se il diavolo, per combinazione, avesse avuto la fantasia di nascondersi a bordo, una goccia d'acquasanta addosso gli sarebbe piovuta di sicuro, in qualunque buco si fosse cacciato. Capitan Ramò, stanco che la funzione andasse cosí per le lunghe, impaziente di vedere l'Emilia galleggiare trionfante nell'acqua, perché un varo ha sempre i suoi rischi e i suoi pericoli e l'armatore è sulle spine fino all'ultimo momento, masticava antifone lui pure, ma non in latino; fu a un pelo d'uscire dalla grazia di Dio quando dopo la benedizione e tornato a poppa, don Bosco, senza levarsi il piviale, improvvisò un discorso. Dell'altro tempo da perdere, adesso! cascava il mondo se non c'era la predica che coronasse l'opera? Aveva una voglia matta di farla lui la predica, contro i predicatori che non hanno niente da dire e rompono i santissimi a chi deve contare i minuti! Che non ci fosse niente da dire ne era persuaso capitan Ramò, ma don Bosco se parlava ci aveva il suo perché, altrimenti sarebbe stato zitto; e fece un bellissimo discorso, alla buona, quasi in famiglia, senza i soliti gesti e i soliti chiaroscuri: quella nave superba, frutto di tante fatiche, in procinto di essere gettata ai pericoli dell'oceano, gli suggeriva il pensiero dell'anima nostra, uscita dalle mani di Dio e gettata nel gran mare della vita. In balía dei flutti, chi la salverà dai venti e dalle tempeste, dai venti formidabili che scatena l'inferno, dalle tempeste terribili delle passioni? Un valente capitano, pronto e vigilante, un forte equipaggio guidano la nave vittoriosa a salvamento, ora il capitano dell'anima dev'essere il santo timor di Dio, sempre vivo, sempre presente in ogni circostanza, e le buone opere sono i marinai che aiutano potentemente la difficile traversata di questo mondo. E in quella guisa che a un bastimento occorrono tanti diversi attrezzi, senza dei quali riuscirebbe impossibile il navigare, cosí è necessario che a bordo dell'anima nostra ci sia la bussola della fede, l'àncora della speranza, la bandiera della carità, l'albero della fortezza, la vela della prudenza, il timone dell'obbedienza, e provvisti di un cosí ricco patrimonio, spinti dal vento propizio che è la divina grazia, rischiarati dai fari luminosi che sono i sacramenti, giungeremo felicemente al porto dell'eterna salute. Come dico, un discorso bellissimo che a ricordarselo tutto ci vorrebbe una memoria di ferro non solo, ma anche molta istruzione per poterlo ripetere tale quale, coi suoi testi latini a posto, coi suoi bravi esempi di famosi capitani marittimi, come sarebbe il nostro gran Colombo, per dirne uno, che all'amore della scienza univano lo zelo di spandere la religione cattolica nei paesi ancora sconosciuti. A questo proposito, sull'ultimo, don Bosco aggiunse che l'Emilia mia in partenza per l'America, gli rammentava con giubilo e insieme con tristezza, che appunto in America, nelle barbare foreste della Patagonia, egli ci aveva dei diletti figli, occupati a spargere tra i selvaggi il seme dell'Evangelio; magnanimi sacerdoti e vergini intrepide, partiti per loro spontanea elezione, divisi forse per sempre dai congiunti, a tanta distanza dalla madre patria, da questa bella Italia, che forse non avrebbero mai piú riveduto! Vivevano laggiú, in mezzo a stenti e a privazioni indicibili, poveri e laceri, in preda a crudeli infermità, spesso visitati dalle bestie feroci e dai serpenti, sprovvisti talvolta perfino del pane quotidiano, ma felici nella loro miseria, contenti di soffrire e anche di dar la vita per la missione apostolica a cui s'erano dedicati. Chi mai avrebbe voluto rifiutarsi di implorare per essi dalla divina Provvidenza tutte quelle grazie spirituali e temporali di cui tanto abbisognavano? Preghiere, preghiere soltanto per quei derelitti, martiri della loro carità, e l'Onnipotente non sarebbe stato sordo alle suppliche dei fedeli, e aperti i tesori della sua infinita misericordia, avrebbe spedito un angelo dal cielo in soccorso dei suoi missionari! Pei tempi che corrono, la gente prima d'intenerirsi ci pensa due volte, ma il predicatore queste poche parole le disse cosí bene, con voce cosí calda e cosí piena di passione, che gli invitati si commossero tutti e le signore si sentirono i brividi nelle ossa, all'idea delle bestie feroci e dei serpenti. Finita la predica, mentre andavano in giro i rinfreschi, ci fu qualcheduno che propose di fare una colletta pei poveri preti e le povere monache della Patagonia, e si sarebbe fatta sul tamburo, se il segretario di don Bosco, quel pretino secco, color di cuoio sporco, che gli correva dietro come la sua ombra, non avesse invece suggerito una piccola sottoscrizione per evitare la seccatura di tirar fuori i denari lí per lí, ché poi a suo tempo o lui o altre persone avrebbero pensato a riscuotere le offerte. Giustissimo: si mandò a prendere carta, penna, calamaio, e tra l'intenerimento e la paura di scomparire, firmarono tutti, capitan Ramò in cima di lista, che quella cavata di sangue non se l'aspettava davvero; col banco sull'abbrivo, giusto lui aveva avuto il tempo e la voglia d'intenerirsi, e taroccava fra i denti contro don Bosco, i missionari di don Bosco, la Patagonia di don Bosco e sua moglie matta per don Bosco, che gliel'aveva cacciato nei piedi! Mancava poco a mezzogiorno, serviti i rinfreschi, le conversazioni minacciavano di voler durare fino a notte, gli operai erano impazienti e assolutamente l'Emilia si doveva buttarla in mare. Signori illustrissimi, capitan Ramò era dispiacentissimo d'interrompere la seduta, ma era mercanzia reale, i complimenti li lasciava da banda, per cui chi voleva profittare dello scalandrone prima che fosse abbattuto, bisognava che avesse la compiacenza di muoversi; era l'ora, abbasso si cominciava a mettere in moto gli argani e a levare i puntelli. — A levare i puntelli!? non ci sarebbe mancato altro! Don Bosco che aveva ricominciato da capo a discorrere dei suoi preti d'America, le signore che l'ascoltavano a bocca aperta, gli invitati maschi che per rinfrescarsi facevano bravamente colezione con biscottini bagnati nel Marsala, pigliarono il due di coppe senza aspettare il secondo avviso, mentre in furia e in fretta i marinai gettavano nelle ceste bicchieri e bottiglie e i ragazzi si abbaruffavano sui biscotti avanzati. Come sia successo che una ventina di minuti dopo, quando dello scalandrone non esisteva neminanco piú una tavola e da bordo non c'era piú mezzo di poter scendere, come sia successo che il Gabitto sbucò a prua da un boccaporto e dietro a lui Marinetta, rossa infuocata, coi capelli in rivoluzione e la veletta di traverso, è una cosa che potrebbero dirla solamente essi. Appena terminata la predica, da lontano Camillo aveva fatto segno a Marinetta di non muoversi, che le avrebbe portato lui la limonata e le paste, poi ipotecato per un pezzo da don Bosco, nella confusione non l'aveva piú vista, e venuto il momento d'andar via tutti, era sceso uno dei primi, sicuro di trovarla abbasso sulla spiaggia; in mezzo a tanta gente, affannato, con un palmo di lingua fuori, la cercherebbe ancora adesso, se suo padre che dirigeva l'operazione, non l'avesse preso al volo per mandarlo sotto il dritto di prua, a stare bene attento al segnale e ripetere il fischio della partenza. Dunque, ora che la frittata era fatta e il bastimento era rimasto quasi vuoto senza che essi se ne fossero accorti stando sotto coperta a discorrere al fresco, Pollino e Marinetta dovevano per forza lasciarsi varare, ché in quanto a scendere oramai era inutile pensarci. Pollino, marinaio consumato, se ne rideva, avvezzo fin da piccolo ad andar sull'abbrivo per suo piacere, ma invece Marinetta, con tutto che avesse sempre mostrato d'essere una figliuola piena di coraggio, tremava e sudava freddo, e non volendo sentir ragioni, pretendeva e supplicava che in un modo o in un altro la calassero giù, con grande meraviglia di Mascabado, persuaso sul serio che si fosse nascosta pel gusto d'una sdrucciarola in mare. Le veniva la tremarella, adesso? doveva pensarci prima: adesso, ridere o piangere, s'era messa in gabbia da lei e ci voleva pazienza, ci voleva! Del resto, agguantarsi bene a un cavo, star ferma e niente paura; venuto il momento buono, le sarebbe sembrato di scivolare sulla seta. Abbasso, gli argani manovravano in mezzo a un gran silenzio d'aspettativa, interrotto come a tempo di musica dal grido dei maestri d'ascia che li facevano girare, un grido lungo, malinconico, e di quando in quando dalla voce isolata, fortissima, di capitan Ramò. L'Emilia non si muoveva ancora. Un'eternità! Seguendo il consiglio del nostromo, Marinetta s'era agguantata a un cavo, lo teneva stretto colle due mani e si appoggiava col corpo alla batteria per esser piú ferma; e a Paolino che la canzonava della sua paura, non rispondeva niente, anzi sembrava infastidita di sentirselo ai fianchi, da rossa ch'era prima, diventata piú bianca d'una camicia. Per curiosità, alzatasi in punta di piedi, si affacciò qualche momento tra le griselle dell'albero di maestra, vide sotto di sé nel cantiere tutta quella popolazione silenziosa, attenta al lavoro degli operai senza perderli d'occhio, senza respirare, vide da ogni parte, seminati nella folla, dei mazzetti d'ombrellini scintillanti al sole e allegri nei loro colori come le bandiere che sventolavano in aria, ma non vide altro, perché appena affacciata, si tirò subito indietro e nascose la testa, sembrandole che dalla spiaggia tutti quanti non guardassero piú che lei sola. — Signore benedetto! era inchiodata l'Emilia, che non partiva, mai? —Spaccone e fanfarone secondo il suo solito, Pollino Gabitto s'era messo a cavallo sul bastingaggio, col sigaro in bocca, fiero di farsi vedere lassù da tutto il paese, come se fosse lui colle sue palle di fumo quello che varava il barco; marinai e ragazzi stavano tutti a riva, sulle sartie, sui pennoni, fino sulle crocette, sconquassando l'attrezzatura a forza di scuoterla da cima a fondo per cintare l'abbrivo. Intanto gli argani manovravano, manovravano sempre e l'Emilia non si muoveva. A un tratto, Maria Santissima! un grido: si muove! cento gridi, mille gridi: si muove! si muove! pareva che subissasse l'universo. Marinetta sentí su per le gambe un gran freddo e venirle al cuore. Affacciatasi un'altra volta, vide tutta quella massa di gente che urlava alzando in aria le braccia e battendo le mani, gli uomini agitando i cappelli, le donne sventolando i fazzoletti, e al primo momento le sembrò che l'Emilia fosse sempre ferma al suo posto, ma ecco che la folla mano mano passò adagio verso poppavia, ecco di poppavia passare il barco piú vicino nel cantiere, poi le case in riga sulla spiaggia, poi il campanile dell'Assunta, la torre dei Piccamiglio, Monte Moro... Si andava davvero! e senza scosse, sempre piú in fretta, proprio sulla seta. Si andava; una confusione di gridi, di musica e di battimani, un avvallamento improvviso come se si spalancasse la terra sotto i piedi, e con la puzza di catrame e di pece greca, venne sin da poppa una nuvola di fumo, grandissima, e avviluppò tutto quanto il bastimento, da non vedere piú niente. Cose da ridere, eppure chi non le ha provate non può figurarsele. Quando il fumo si diradò e l'Emilia in pieno mare correva ancora come una freccia, e la spiaggia era laggiú, nera di popolo, senza che si potessero piú distinguere le persone, Marinetta non capiva bene dove fosse, aggrappandosi sempre forte ai cavi, sentendosi alla bocca dello stomaco uno stringimento che non la lasciava respirare. Se le avessero dato da intendere che era affondata sott'acqua e poi era venuta a galla., lei se lo sarebbe creduto, e se le avessero detto che il bastimento non era ancora partito, se lo sarebbe creduto egualmente, perché tra la paura e la confusione, il suo cervello era uscito per un momento fuori di cassa. Saltò giú Pollino in coperta: ebbene? un varo magnifico, una partenza coi fiocchi; c'era da tremar tanto, prima, e da disperarsi tanto? era morta? se l'avevano mangiata i pesci in un boccone? adesso almeno, passati tutti i rischi, ché già rischi non ce n'erano stati neppure per ombra, sapeva anche lei cosa voleva dire andare sull'abbrivo. Scommettiamo che non si sarebbe fatta pregare per ricominciare da capo. Scommettiamo? Questo no: tornando a poco a poco a mettersi in carreggiata, e trovato il filo, ripensando ai casi suoi, lei non avrebbe voluto ricominciare niente affatto per centomila ragioni, pentita, e pentitissima d'essersi distaccata, dopo la predica, dalla sorella di Camillo e d'aver acconsentito a scendere con Pollino sotto coperta, dove credeva di restarci un minuto e invece, giù nella stiva, al fresco, aveva finito per restarci due minuti e anche tre e anche quattro, e mettiamo pure cinque. In generale, di pentirsi dopo fatto uno sproposito, era la sua abitudine, ma questa volta, all'infuori del pentimento c'era la rabbia, una rabbia che non sapeva, come sfogare contro il Gabitto, altro che ostinandosi a non volergli rispondere. Si guardava le mani tutte incatramate dal cavo che aveva, tenuto stretto tanto tempo, e piú le fregava col fazzoletto, piú sporcava il fazzoletto e meno riusciva a pulire, guardava in lontananza sulla spiaggia il formicolamento della folla sotto i festoni di bandiere, guardava nell'acqua la scia a zigzag del bastimento e le barchette che si avvicinavano, e la bocca l'aveva cucita a doppia cucitura e gli occhi di Pollino li schivava, peggio che se fossero stati due tizzoni. Un capriccio come un altro, perché sappiamo tutti che non era lei quella che si lasciasse mettere paura dalle occhiate di nessuno, massime d'un giovinotto, e d'un giovinotto con cui era entrata in confidenza come con Pollino Gabitto. Nel passarle davanti, vedendola cosí diversa dal solito, Mascabado le domandò se si sentiva voglia di fare i gattini con quella faccia che aveva d'uffizio dei morti e di limone spremuto. Gloriosa e trionfante l'Emilia mia finalmente s'era fermata nel mezzo del golfo e aveva dato fondo, subito attorniata da tutti i gozzi e da tutte le barchette che si trovavano in mare. Si vedeva da bordo la gente a terra sparpagliarsi e imboccare i vicoli scuri che dalla marina mettevano nell'interno del paese, ora che lo spettacolo era finito e per diverse ore di seguito il sole l'aveva cotta abbastanza, un sole senza misericordia, piú da estate che da primavera; si sentivano nel cantiere i colpi dei calafati e dei maestri d'ascia, che dopo avere aiutato il varo, erano tornati sui loro barchi in costruzione, ma come diceva Pollino, quel giorno lo consideravano festa e lavoravano colle mani di velluto.
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