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Gaspare Invrea (alias Remigio Zena)
La bocca del lupo

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XXVII

 

Con tanti altri pensieri per la testa, alla vigilia del matrimonio di Marinetta, e Angela entrata all'ospedale colla prospettiva di non uscirne piú, della sua causa in appello la Bricicca se n'era scordata completamente, credendo che fosse passata sotto gamba e i giudici non ci pensassero piú nemmeno essi; ma i giudici hanno buona memoria, tanto piú se si tratta di chiudere all'oscuro, non i ladri veri di professione, ma una povera infelice che non ha rubato niente a nessuno. L'avviso di presentarsi il giorno tale all'ora tale pel nuovo dibattimento, le capitò a piombo sulle corna la mattina stessa che il parroco di Santa Dorotea, il suo parroco, gliel'aveva lavate e insaponate a causa del Gabitto, predicandole che secondo le informazioni avute da Manassola, per finire di rompere il collo a sua figlia lei era riuscita a pescare nella confraternita dei cattivi soggetti il numero uno!

Lasciamo stare le informazioni, ché si sa da dove vengono — dai maligni e dagli invidiosi — lei, prima di tutto non aveva pescato niente, poi, quando le carte e le fedi per poter dire di sí erano in regola, chi gli domandava al parroco di intromettersi negli affari degli altri e di venir fuori col numero uno o col numero cento per denigrare il prossimo? lo sposava lui, il Gabitto? Invece delle paternali, che le aveva sempre pronte perché non gli costavano un fico secco, avrebbe fatto meglio a dispensare ai bisognosi della parrocchia qualche cavurrino! — E tornando al processo, il signor avvocato Raibetta non se ne lavò le mani, promise la sua assistenza e tutto il suo impegno, ma forse per cominciare a prepararla, buone speranze alla Bricicca non volle dargliene nessuna.

Diede un impiego a Pollino, questo non si può negare, un discreto impiego nel suo scagno, mezzo di servitore e mezzo di commissionario, fra i certi e gli incerti da guadagnare circa settanta franchi al mese, e per l'anno nuovo gli trovò pure un posto di custode in un circolo, senz'altra occupazione che di aprire la porta tutte le sere fino a un'ora dopo mezzanotte ai soci e alle amiche dei soci. Dal giorno che lo conobbe come promesso di Marinetta, lo pigliò sotto il suo patrocinio, e lo stesso si deve dire del signor Costante, che anche lui, appena tornato a Genova dagli stabili che diceva di avere nel Monferrato, se lo mise nel tabernacolo della sua protezione, con quell'aria solita d'uomo d'importanza ch'era il suo forte. Per godere di queste simpatie cosí in un momento, senza costo di spesa, il Gabitto avrà avuto dei meriti speciali, e alla Bricicca le sembrava una cosa naturalissima, ma Pellegra vedeva troppo bene dove si andava a battere; se non ci vedeva lei, chi doveva vederci? Il merito speciale dell'amico era quello di essere stoffa d'orbetto di prima qualità: orbetto vero o finto, per disgrazia o per malizia, questo è un altro paio di maniche.

Intanto nella Pece Greca, quantunque il signor Costante non ci mettesse piú i piedi per le sue buone ragioni, tutti sapevano che dello sposalizio di Marinetta lui si era nominato da sé direttore generale, dopo essersi in questa circostanza riconciliato finalmente colla Rapallina. Che interesse potesse averci a pigliarsi sempre dei fastidi nuovi per Marinetta, compreso quello d'anticiparle delle somme, oramai, dopo aver visto tanti maneggi, non ci voleva piú nessuna bacchetta magica per indovinarlo, e il Castigamatti una domenica era uscito fuori con una pappardella indirizzata alla Bricicca, domandandole se andava anche lei a installarsi con sua figlia in via Fieschi, nella casa che il Costante aveva fissato per gli sposi, e promettendo di dire un giorno o l'altro da chi erano venuti i denari per pagare la mobiglia nuova. Qualche persona che aveva le braccia lunghe e impegno di coprire gli altarini, colle buone o colle cattive gli tappò presto la bocca al Castigamatti, ma bisognava sentire le ciarle del vicinato, massime che salse piccanti tirava giù la Bardiglia in bottega e fuori a chi le voleva e a chi non le voleva, e quello che a tutti fece piú specie fu di vedere tanto la Bricicca come Pollino Gabitto — il Pollino Gabitto colle arie che si dava! — fare gli indiani, invece di andarle a rompere la faccia.

Forse per suggerimento della Rapallina. o del signor Costante oppure di tutti e due, il Gabitto avrà pensato che rompere la faccia alla Bardiglia non serviva a niente, le cose dette erano dette e non c'era rimedio, e la Bricicca per conto suo, giusto in quei giorni, aveva da digerire un boccone ancora piú amaro, ossia la nuova sentenza: in appello, tale quale la stessa sentenza del Tribunale: due mesi di carcere e duemila5 franchi di multa! E, questa volta, addio speranze; la minestra era cotta ed erano i carabinieri che da un momento all'altro sarebbero venuti a fargliela mangiare! Da una parte, se non fosse stato il caso di strapparsi quei venticinque o trenta cappelli che le restavano, le veniva da ridere: condannarla lei a pagare al governo duemila franchi, voleva dire che i giudici e il governo avevano del tempo da perdere. Ma qui di ridere non era il caso! scontando in prigione tre franchi al giorno, prima d'arrivare a impattarsi dei duemila ci metteva cento anni e il sole poteva calcolare di non vederlo mai piú!

E perché anche questa volta, al dibattimento, non lo tirasse in ballo, il signor Costante era venuto a prometterle per lo meno le montagne della luna, assicurandola che tra lui e l'avvocato Raibetta, appena entrata in prigione, avrebbero tanto fatto da ottenerle la grazia dal re, e se per caso impossibile, la grazia non si fosse ottenuta subito, allora i denari della multa qualcheduno li avrebbe pagati. Chi era questo qualcheduno? lui forse, il signor Costante? il signor Costante, piú bugiardo d'un cavadenti, ch'era sempre stato la sua rovina in cielo, in terra e in ogni luogo, e sotto il manto di volerla soccorrere l'aveva sempre spremuta come un limone? In tutto il mondo altre persone da fidarsi o da contarci sopra, essa non ne aveva, ridotta al punto in cui era ridotta, e adesso, dopo essersi inghiottita la condanna senza fiatare, non le restava che di vedere se almeno una volta in vita sua quel sensale di fumo imbottigliato si scordava d'essere un impostore. Dell'avvocato, inutile parlarne: aveva troppe occupazioni; si era degnato di venire al dibattimento, ma colla scusa d'aver perso la notte in viaggio tornando da Roma, aveva detto appena quattro parole senza sale e senz'olio, cosí per comparsa e nient'altro, e se era riuscita la Bricicca a intercedere dal procuratore del re d'assistere sua figlia moribonda, prima d'entrare in Sant'Andrea, ci era riuscita a forza di passi e di suppliche, ché l'avvocato neppure in questo aveva voluto darle una mano.

Erano stati i primi freddi che dopo tanti alti e bassi, ad Angela le avevano dato il tracollo, oppure la notizia del matrimonio di Giacomino, celebrato l'ultima domenica d'ottobre con una grande funzione in chiesa e una scampagnata solenne al santuario della Guardia in Polcevera? Al procuratore del re la Bricicca gli aveva detto per intenerirlo che sua figlia era moribonda, e gli aveva detto la verità sacrosanta, ché oramai era questione piú di settimane che di mesi e piú di giorni che di settimane, e quella povera vittima, ridotta al punto che a metterle una lanternetta dietro le spalle si sarebbe vista la luce attraverso il corpo, si era lasciata portare all'ospedale di Pammatone senza aver piú la forza né la voce per dire di no. Era la volontà del Signore, bisognava morire, morire a ventidue anni, dopo aver creduto un momento di toccare il cielo col dito e invece, non contando le altre tribolazioni, aver dovuto sopportare la vergogna e lo spasimo del tradimento, che chi non l'ha provato non sa cosa sia, dopo aver pregato tanto, e versato tante lagrime! era venuta l'ora, bisognava morire e ci voleva pazienza!

Meglio cento volte che nella soffitta della Pece Greca aperta a tutti i venti e a tutte le acque, sopra un letto sgangherato e coi lenzuoli ridotti che parevano un ricamo di Parigi; in definitiva, passato quel primo stringimento di cuore che viene a tutti, Angela poteva consolarsi davvero d'essere all'ospedale, dove almeno le monache e le infermiere e i padri cappuccini l'avrebbero assistita fino all'ultimo, dove medicine e buoni brodi sostanziosi non le sarebbero mai mancati e i medici neppure, mentre a casa era quasi tutto il giorno lasciata sola in compagnia della sua tosse che la strangolava, il medico veniva sí e no quando non aveva nient'altro da fare, e tante volte non solo il brodo ma anche un sorso d'acqua calda bisognava sospirarlo per mattinate intiere. La verità è una sola: i buoni brodi, i medici e le medicine sono cose eccellenti per gli infermi che hanno da guarire, ma per quelli che vedono la morte ballare nelle maniche del confessore, non servono a niente; l'assistenza dei suoi, l'attaccamento alla terra e alla gioventú, la speranza di star meglio, e diciamo pure, la memoria di tutto quello che si è sofferto senza colpa, per l'iniquità degli uomini, quando si arriva sulle porte dell'eternità non servono che a far perdere il tempo oramai Angela, rassegnata, voleva essere tutta del Signore, conosceva il suo stato e alle cose di questo mondo non voleva piú pensarci. Lo sentiva bene che per lei non c'era piú rimedio, lo capiva dalla sua gran debolezza, dagli sbocchi di sangue continui e dal dolore fisso che aveva dalla parte del cuore come se il cuore glielo stritolassero in mezzo a due ruote di ferro, lo capiva dalla faccia delle monache piene di compassione e da quella del medico, che due volte al giorno veniva a visitarla, e senza parlare, dopo averle picchiato per mezz'ora sullo stomaco e sulla schiena, e sullo stomaco e sulla schiena averci tenuto l'orecchio per un'altra mezz'ora e averle messo un istrumento di vetro sotto l'ascella, brontolava fra i denti e scrollava la testa. Una volta glielo disse al medico: perché farle inghiottire tanto catrame e tante polveri, se non ci credeva piú nemmeno lui?

Le monache, ora l'una ora l'altra, le tenevano compagnia parlandole del paradiso, raccontandole tante belle vite di santi, qualche volta veniva pure al suo letto la Madre Superiora a suggerirle dei buoni pensieri di virtú e di pazienza e a farle coraggio, a discorrere del celeste Sposo, l'unico che mantenga le sue promesse, l'unico che ami di vero amore le sue creature e meriti veramente d'essere amato. In quanto a coraggio, Angela ne aveva, e le stesse monache l'ammiravano, ringraziandone Dio, nel vederla cosí forte e paziente, ma si sbagliava di grosso quando credeva di aver rotto tutte le catene che ancora la legavano al mondo: senza accorgersene, ogni tanto la sua anima invece di volare verso il cielo, si perdeva in un laberinto, lasciava lo Sposo celeste per un fantasma che le passava davanti agli occhi a braccetto di una giovane carica d'ori, e nel vedere quei due allegri e contenti, che si volevano bene, finiva per mettersi a piangere. Fu giusto in una delle sue visite che la Madre Superiora per combinazione le vide in dito l'anello di Giacomino: dopo essersi data tutta quanta a Gesù, fino a sacrificargli volentieri la stessa vita, era ancora attaccata alle miserie terrene, Angela!? possedere un anello non era peccato, ma guardarselo con compiacenza e bagnarlo di lagrime, baciarlo anche di nascosto, voleva dire non essere perfettamente unita a Gesú Crocifisso nelle sue cinque sacratissime piaghe e mantenere nel fondo del cuore una passione pericolosa, suggerita dal demonio.

Mettersi a combattere colla Madre Superiora dell'ospedale e mettercisi avendo un piede nella fossa, era roba da matti, eppure Angela si provò, ferma nell'idea di volersene andare all'altro mondo coll'anello di Giacomino in dito, dal momento che per Giacomino aveva tanto sofferto e moriva per causa sua: adesso non voleva piú darglielo neppure se fosse venuto lui in persona a inginocchiarsi ai piedi del letto, e se le Testette avessero avuto il coraggio di comparirle davanti, essa, cosí com'era sul punto di rendere l'anima al creatore, avrebbe trovato tanta forza per mandarle a nascondersi venti metri sotto terra! Non si perdonano, non si perdonano certe azioni, è impossibile; il Signore che è giusto, che sapeva tutto, le porte del paradiso gliele avrebbe aperte anche senza che essa avesse perdonato. — Tra i colpi di tosse e la debolezza, stentava a parlare, parlava piú cogli occhi che colla voce, ma era risoluta in questa fissazione diabolica; che in paradiso doveva andarci lo stesso, anche senza perdonare, non volendo sentire né esortazioni né argomenti, e la Madre Superiora, che di regalare un'anima al diavolo, in ispecie quella d'una bravissima figliuola acciecata dal puntiglio, non era nei suoi progetti, all'ultimo ne fece una delle sue, da quella donna energica ch'era sempre stata: con una scusa mandò a chiamare le Testette.

Quando le due sorelle Tribuno videro Angela lunga e distesa in un letto d'ospedale, da capo a piedi distrutta come un pane di butirro messo sul fuoco, colla faccia trasparente e tutta occhi, i capelli incollati, le mani lunghe, pallide, abbandonate, quando la videro e stentarono a riconoscerla, rimasero immobili, che parevano quelle due statue colle braccia larghe nella cappella del Suffragio. Angela, coi suoi occhi spalancati, che di nottetempo avrebbero illuminato una piazza tanto erano accesi, le guardava fisse mostrando i denti, due righe di denti gialli, come se ridesse in uno spasimo, ma non parlò perché la Madre Superiora venne subito a sedersi alla testa del letto e, tirato fuori un libro grosso, con voce lenta e spiccata cominciò a leggere una meditazione. Dire se la meditazione era fatta piú per Angela o per le Testette, sarebbe difficile: ce n'era per tutte, per l'inferma e per le sane, per quelle anime che credono di burlare il Signore pregando e battendosi il petto, ma conservando affezioni carnali e peggio ancora sentimenti d'odio e di vendette, e per quelle altre che dicendosi cristiane, mettono tutto il loro studio a far del male al prossimo e non vivono che per la maldicenza, la malignità e le cattive azioni. — Finito di leggere, la Madre Superiora si alzò senza dir niente, prese dalla sua cintura un crocifisso di legno nero coll'immagine di bronzo e lo diede ad Angela, che lo tenesse dritto nelle mani davanti agli occhi, poi, inginocchiatasi sul marmo, recitò a memoria una preghiera.

Le Testette s'inginocchiarono esse pure. L'ora precisa adesso nessuno se la ricorda, ma doveva essere sul calare del sole, e cosa certa è questa, che dai finestroni veniva una luce tra il giallo e il grigio, una luce di novembre, che si fermava di fuori, arrabbiata contro le nuvole che la soffocavano, e nella corsia cresceva a poco a poco l'ombra tetra, come in una chiesa, verso sera, dopo la benedizione. Le altre ammalate, quelle piú vicine al letto di Angela, guardavano attente, cercando di udire nel gran silenzio le parole della Madre.

Era la preghiera per la Buona Morte, che si legge in quasi tutti i libri di divozione e a recitarla si guadagnano cento giorni d'indulgenza. Deve averla composta qualche santo celebre, oppure una persona di molto talento, perché oltre far drizzare i capelli sulla testa — e ce ne sarebbero tanti al giorno d'oggi che avrebbero bisogno d'un po' di spaghetto — intenerisce il cuore anche dei piú ostinati, specialmente in quel punto dove dice:

— Quando le mie labbra fredde e tremanti pronuncieranno per l'ultima volta il vostro nome adorabile, misericordioso Gesú, abbiate pietà di me.

— Quando i miei occhi offuscati e stravolti dall'orrore della morte imminente, fisseranno in voi gli sguardi languidi e moribondi, misericordioso Gesú, abbiate pietà di me.

— Quando le mie mani tremole e intorpidite non potranno piú stringervi crocifisso, e mio malgrado lascerovvi cadere sul letto del mio dolore, misericordioso Gesú, abbiate pietà di me.

E non solamente questi punti che commuovono e mettendo freddo fanno venire le lagrime agli occhi, ma pure quelli dove si parla dei fantasmi e dell'angelo delle tenebre che tentano di spaventare il moribondo e ridurlo alla disperazione, degli ultimi sospiri del cuore e dell'ultimo pianto, dei parenti ed amici affollati intorno al letto, e si descrive il corpo rimasto ad un tratto senza vita, immobile e freddo sulle lenzuola, e l'eterno Giudice accompagnato dai cori degli angeli e dei santi, che viene sulle nuvole, in mezzo ai lampi, a pronunciare l'irrevocabile sentenza. Diceva molto bene il Padre Ottaviano, felice memoria, uno dei cappuccini dell'ospedale, che questa preghiera recitata come va recitata, con vera compunzione, fa piú bile al demonio di quello che non gliene faccia una predica solenne, per le anime che gli porta via miracolosamente. Infatti, mano mano che la Superiora andava avanti, le Testette sentivano nel cuore il tormento del rimorso, e Angela il desiderio di perdonare. Bisogna tener calcolo dell'ora, della malinconia grandissima di trovarsi per amore o per forza in quel luogo di tribolazione, dell'oscurità che cominciava a distendersi e pareva che fosse popolata d'ombre, ma non si può negare che le parole della preghiera, dette adagio nel silenzio generale, con voce chiara, certi momenti terribile da stagnare il sangue nelle vene e certi altri piena di dolcezza come una musica d'angeli, penetravano fino al fondo dell'anima, erano punte di spine, lame di coltelli, goccie d'olio bollente, erano tutto quello che potete immaginare che faccia soffrire, e nel tempo stesso rosolio, velluto, goccie di balsamo, tutto quello che potete immaginare che faccia bene.

La Madre Superiora aveva finito da un pezzo, si era alzata, e le sorelle Tribuno erano ancora in ginocchio, una di qua, l'altra di là del letto, che piangevano singhiozzando, colla testa sotterrata nelle coperte; dal fondo della corsia le infermiere venivano, con tutta la loro calma, accendendo i primi lumi. Nessuno aveva ancora detto una parola. Per accomodarle i guanciali, la Madre essendosi chinata sopra di lei, Angela nel restituirle il crocifisso, le lasciò cadere in mano l'anello di Giacomino, ma senza parlare perché si capisce che aveva un gruppo di pianto alla gola. In quel momento l'infermiera accendeva il lume proprio di rimpetto. La Madre Superiora disse: «sia lodato Gesú Cristo» le Testette risposero «sempre sia lodato» e siccome finalmente si erano decise ad alzarsi, però piangendo sempre, attraverso le lagrime videro Angela come trasfigurata nella luce che le batteva addosso, con un cerchio di raggi intorno ai capelli all'usanza dei santi in gloria, la videro quasi seduta sul letto, colle braccia aperte verso di esse, in atto di perdonare.

 

 




5 "duemile" nel testo. Effettuata la correzione dopo verifica con edizione Treves 1892 [nota edizione elettronica Manuzio]






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