Eduardo Scarpetta
Lo scarfalietto

ATTO PRIMO

SCENA OTTAVA   Rosella e detti, poi’Amalia, indi Michele e Gennarino.

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SCENA OTTAVA

 

Rosella e detti, poi’Amalia, indi Michele e Gennarino.

 

ROSELLA: Comandate?

FELICE: Andate a dire a mia moglie, che se sta comoda, se le fa piacere, venisse un momento qua, che le debbo dire una cosa.

ROSELLA: Va bene. (A Gaet.:) Permettete. (Via prima a s., lazzi di Gaet. poi torna.)

GAETANO: Speriamo che se fa capace.

FELICE: Mio caro signore, io per me, ci ho tutta la buona intenzione speriamo che lei dicesse che sì.

GAETANO: vediamo, na parola voi, na parola io...

ROSELLA: Ecco ccà la signorina. (Via pel fondo.)

AMALIA (sempre con modi gentilissimi): Eccomi qua marito mio.

FELICE: Cara Amalia.

GAETANO: Rispettabilissima Signora. (Lazzi nel salutare.)

AMALIA: Signore. (Salutando.)

FELICE: Moglie mia, il Signore qua, è venuto per fittarsi la casa al primo piano.

AMALIA: Con piacere, e avete fatto l’affitto?

FELICE: No, non ancora, sai che io non faccio niente senza il tuo consenso.

AMALIA: Il mio consenso!? E a che serve? Il padrone sei tu marito mio.

FELICE: No, moglie mia, la casa è roba tua, e tu ne devi disporre.

AMALIA: Ma che dici... il padrone sei tu, e quello che fai tu, sta tutto bene.

FELICE: Ma no, sei tu la padrona.

AMALIA: No, sei tu marito mio.

FELICE: No, sei tu...

AMALIA: Ma no, sei tu...

GAETANO: (Chiste quante sofarenelle!).

FELICE: Dunque, ce la vogliamo dare?

AMALIA: Si tu nce la vuò , dancella.

FELICE: No, si nce la vuò da tu, nce la damme.

AMALIA: Se vuoi tu, per me io non nce la do.

FELICE: E io manco.

GAETANO: Sapete, voi non me la date per senza niente, io ve dongo 840 lire, n’annata anticipata.

FELICE: Ma non si parla per questo... mia moglie non sape ancora la casa pe chi serve, capite?

AMALIA (con ingenuità caricata): Ah! Non serve per lui?

FELICE: E no, percià ti ho chiamata. Il signore è ammogliato, abita con la moglie.

GAETANO: (Stateve zitto, nun facite sapè li fatte mieje!).

FELICE (seguitando): La casa serve per quella tale ballerina, Emma Carcioff. ( siente le botte!)

AMALIA (c.s.): Ah! E va bene... che male ci sta?

FELICE: Come!... Vuoi fittarla alla ballerina?

AMALIA: Voglio?... Ma io non voglio niente. Se tu credi, io socontenta, la tua volontà è pure la mia.

GAETANO: Brava. Vera moglie obbediente.

AMALIA: Moglie obbediente? (A Gaet. sotto voce:) (Ricordatevi sta parola!).

GAETANO: (E pecché me l’aggia ricordà?). D. Felice dipende da voi.

FELICE: Aspettate... (Me stracciaria tutte le panne da cuollo pe quanto è certa la morte!) Ma moglie mia cara cara, ma comme, tu stammatina eri tanto avversa a fittare la casa a la ballerina.., e ?

GAETANO: E s’è fatta capace, e me la .

AMALIA: Ma nonsignore... quando mai? è stato isso che non l’ha voluta maje affittà.

FELICE: Io?, Oh! (Per inveire, s’arresta, ridendo poi a denti stretti:) Ma moglie mia cara cara... non dire bugie, tu mezz’ora fa, quanno nce l’ha ditto la serva, n’atu poco facive correre la cavalleria!

AMALIA: Io!?... Ma tu sei pazzo!

FELICE (subito): Pazzo?! (A Gaetano sotto voce:) (Signore, ricordatevi che m’ha chiammato pazzo!). Già haje ragione e chiammarme pazzo, perché se non ero pazzo, nun m’avarria sposata na stravagante comme sei tu.

AMALIA: Stravagante? (A Gaet. c.s.:) (Signore, ricordatevi che m’ha chiammata stravagante!).

FELICE (gridando): Signore, è un anno che io sto nell’inferno, questa non è una donna, è una tigre!

AMALIA: Tigre?! (A Gaetano:) (Signore, ricordatevi che m’ha chiammata tigre!).

GAETANO: (E ccà nce nu quinterno de carta).

AMALIA: Vattenne, che tu non eri degno de spusarte a me.

FELICE: Io? Io ero un signore, tua madre era na purtusara. Signore (a Gaetano:) la madre pigliava 5 soldi a lo buco.

GAETANO: Chesto nun lo voglio sapè.

AMALIA: T’aggio ditto tanta vote, nun parlà de mammema. La famiglia mia ti ha nobilizzato!

FELICE: A me mi ha nobilizzato? Vattenne. (Dando una spinta a Gaetano: lazzi.) Io t’ho sposata senza cappello!

AMALIA: A me? Vattenne, baccalajuolo!

FELICE: Ah! (A Gaetano:) (Signore, ricordatevi che m’ha chiammato baccalajuolo!)

GAETANO: (Eh! Dalle sotto!).

FELICE: Vattenne, zantraglia!

AMALIA: Zantraglia?! (A Gaetano:) (Signore, ricordatevi che m’ha chiammata zantraglia!). (A questo punto viene dal fondo Michele con Gennaro, quest’ultimo, porta un cabaret con entro mezza granita d’orzata. Michele vedendo il contrasto, situa Gennaro in un angolo della scena, dicendogli con gesti d’aspettare, e va via pel fondo. Gennaro guarda i 3 maravigliato.) Signore, ma c’ato vulite sentere da stu puorco!

FELICE: Porco?! (A Gaetano:) (Signore ricordatevi che m’ha chiammato puorco!) (Poi tirandolo da parte:) Signore, come vi chiamate?

GAETANO (subito): ( me cagno lo nomme, m’avessa ncuità). Nicola Copierchio!

FELICE: Dove abitate?

GAETANO: Vico Mbiso n. 17. (Inceppato.)

FELICE: Benissimo. (Va a scrivere l’indirizzo sulla tavola in fondo.)

AMALIA (tirando da parte Gaetano): Signore, come vi chiamate?

GAETANO: Francesco Stoppa.

AMALIA: E abitate?

GAETANO: Strada S. Teresa n. 80.

FELICE (viene avanti): Signore, potete andarvene, che domani parleremo.

AMALIA: Signore, jatevenne , dimane parlammo.

GAETANO: Seh! State frische!... Chiste soduje pazze! (Via pel fondo correndo.)

AMALIA: M’haje chiammata zantraglia?

FELICE: Sì, zantraglia, zantraglia e mezza. (Dopo altre parole a soggetto dei due, Amalia un forte schiaffo a Felice e via prima a s. Pausa. Felice tenendosi la mano alla guancia, si volta e vede Gennaro, quindi correndogli vicino l’afferra pel braccio e lo porta avanti.) Haje visto? (Mostrando la guancia.)

GENNARINO: Eh! Aggio visto.

FELICE: E ghiammoncenne, jesce. (Trascinandolo in fondo.)

GENNARINO: Io aggia j a la puteca, io aggia j a la puteca! (Gridando, viano pel fondo.)

 

(Cala la tela.)

 

Fine dell’atto primo

 

 


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