Eduardo Scarpetta
Lo scarfalietto

ATTO TERZO

SCENA TERZA   Anselmo, Amalia e detto, poi Usciere e Gaetano.

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SCENA TERZA

 

Anselmo, Amalia e detto, poi Usciere e Gaetano.

 

ANSELMO: Signò, ve raccomanno la calma. Llà sta vostro marito, sedetevi qua. (Siede al tavolo.)

AMALIA: è venuto lo nfame! (Siede vicino al tavolo d’Anselmo.)

ANTONIO: (D. Felì, vi conviene di salutarla).

FELICE: (A chi?).

ANTONIO: (A vostra moglie).

FELICE: (E io ve faccio pazzo, caro avvocato! Chella m’ha fatto passà chello poco).

ANTONIO: (E voi salutandola fate vedere che essa è la birbante. Capite).

FELICE: (Ah! Già, dite bene... Allora la saluto?).

ANTONIO: (Sicuro).

FELICE (s’alza): Eh! Questo è il mondo. (Naturalmente si dirige verso la ruota, in fondo, passeggiando piano piano.)

ANTONIO: (D. Felì?... D. Felì... Addò jate? E quanno?).

FELICE: (No, io nce lo faccio pe coppa, capite?).

ANTONIO: (Eh! Pe coppa all’asteco!).

FELICE (arrivato vicino a Amalia si toglie il cappello): Oh! Signora. (Amalia cambia di posizione alla sedia, si siede volgendogli le spalle.) M’avite fatto chesta figura. (Ad Antonio poi siede.)

ANTONIO: (Bravo, bravo, n’aggio avuto tanto piacere).

FELICE: (E io no). Sangue de Bacco!... Ma è forte , chella have tuorto, e pure la sostenuta.

AMALIA (rimettendosi come prima): ( che assassino!... Have pure lo coraggio de me salutà).

FELICE: Quando uno saluta bisogna rispondere.

ANTONIO: (Stateve zitto, non parlate con lei).

FELICE: Io non parlo cu essa, l’aggio cu na persona che stammatina l’ho salutata, e non m’ha risposto. Si lo sapeva, seh, la salutava!

AMALIA: Io nun tengo ciente facce comme tiene tu!

ANSELMO: Signò, vuje nun avita tanta chiacchiere, nun parlate cu isso.

AMALIA: Io nun parlo cu isso, l’aggio cu na persona che sta diventando ridicolo bastantamente!

FELICE: Oh! Ridicolo poi...

ANTONIO (ridendo): Bravo, bravo, bravo...

FELICE: E chisto ca se recrea!

ANTONIO: (D. Felì, ha detto solo ridicolo? Io avrei voluto che v’avesse detto delle altre cose).

FELICE: (E già, si me deva na seggia ncapo).

ANTONIO: (Nun ve n’incarricate, poi vedete che accusa che fo io).

FELICE: (Eh, accusa tre tre, e la napolitana a coppa!).

MICHELE (a Rosella): ( vide che se vattene ccà ncoppa).

ROSELLA: (E a chesto va a fenì).

USCIERE (uscendo): Favorisca signore, da questa parte. (Introduce Gaetano e via. Gaetano indosserà una scemis col bavero alzato. Sarà pallido. Entra piano piano col cappello in mano, e guardando intorno.)

FELICE: Uh! D. Gaetano. (Andandogli incontro:) D. Gaetano mio. Eh, dice che non veniva D. Gaetano lo galantomo sempe galantomo è. Quanto è bello D. Gaetano! D. Gaetà, ricordatevi, porco, e baccalaiolo!

GAETANO: Seh, penzo justo a vuje! Tengo ato pe la capa D. Felì. Mia moglie me la causa di separazione capite?

FELICE: E a me che me ne preme.

GAETANO: E haje da vedè che me ne preme a me de te!

FELICE: No, dico, che ogge non me preme, forse dimane...

GAETANO: E a me me preme ogge e dimane.

FELICE: D. Gaetà, assettateve ccà, vicino a me.

GAETANO: (E quanto è seccante). (Siede vicino a Felice a s.)

FELICE: D. Gaetà vuje avita dicere che muglierema me chiamò porco e baccalaiolo.

GAETANO: Ma io tengo li guaje mieje.

FELICE: D. Gaetà... contentatemi, che io po... mi levo l’obbligazione. Ho preparato na cosa che... ve la manno la casa... na cosettina... che vi farà piacere... Dice, ma che cos’è!... Non lo so. (Ridendo.) Non si può dire! (Accomodandogli i capelli:) Vuje faciteme nu buono testimone.., che io poi... non me lo tengo. Vedrete che bella sorpresa... Dice, ma che cos’è? Non lo so!

GAETANO: (Chisto è miezo pazzo!). (Ad Antonio:) Avvocà c’è tempo assai?

ANTONIO: è un affare di pochi altri minuti.

GAETANO: A proposito, Sig. Avvocato, vi dovrei dire una cosa. (Alzandosi.)

ANTONIO: A me? Eccomi. (S’alza e viene avanti.)

GAETANO: Ecco qua... (Passando a destra con Antonio.)

FELICE: D. Gaetà, addò jate?

GAETANO: Debbo dire una cosa a l’avvocato.

FELICE: Ma uscite fuori?

GAETANO: Nonsignore qua.

FELICE: Lloco mmocca?

GAETANO: Che?

FELICE: Lloco mmocca?

GAETANO: Chi mmocca! Quà mmocca?

FELICE: Dico, non uscite fuori, ve state ccà?

GAETANO: Sissignore.

FELICE: Mmocca lloco?

GAETANO: Comme?

FELICE: Lloco mmocca, mmocca ccà?

GAETANO: Lloco mmocca mmocca lloco, mmocca ccà. Che modo de parlà tene chisto.

FELICE: Insomma non uscite fuori?

GAETANO: Nonsignore, sto qua.

FELICE: Ah! Mbè.

GAETANO: Avvocà, Sentite, vediamo d’accomodare staffare mio con mia moglie.

ANTONIO: Perché, di che si tratta? (Felice mettendosi in mezzo ai due per sentire.)

GAETANO (lo guarda un poco, e fa ancora qualche passo a destra): Dunque avvocà, ve stava pregando... (Felice c.s.) Oh! ma insomma che educazione è questa? Vulite sentì li fatte mieje a buoncunto.

FELICE: No, addò, io sto qua, sto passeggiando.

GAETANO: State passeggiando? (Impaziente.)

ANTONIO: D. Felì, abbiate pazienza, mi sta parlando di un affare serio.

FELICE: E fate. (Va a sedersi.)

GAETANO: Dunque, avvocà, ve steva pregando... Vedete d’accomodare staffare mio con mia moglie... Quella, sono 15 giorni che mi ha lasciato, e se n’è andata dai parenti suoi... se dividere assolutamente da me, me fa la causa.

ANTONIO: E perché?

GAETANO: Perché le capitò una lettera in mano che io avevo fatta a na giovine... capite?

ANTONIO (ridendo): E voi di questa età jate facenno lettere a fìgliole?

GAETANO: Che volete.., sono errori di prima gioventù.

ANTONIO: Di prima gioventù? (All’arma de la prima gioventù.)

FELICE: Avvocà, ma voi sapete che papà non vuole che s’ammogli?

ANTONIO: Lo padre? Tene lo padre?

FELICE: Sicuro.

GAETANO: Ma che d’è, ve maraviglia che io tengo a papà?

ANTONIO: D. Gaetà, nun nce fate ridere.

GAETANO: Ma voi sapete che tengo pure lo nonno!

ANTONIO: Lo nonno?! Oh! questo poi...

FELICE: Ah! Sicuro, lo nonno lo saccio, l’ho visto na volta.

GAETANO Ah! Lo conoscete?

FELICE: Sicuro.

GAETANO (ad Antonio): Avete visto? E addò l’avete conosciuto? (A Felice.)

FELICE: Lo vidi na domenica matina, sopra a lo Museo.

GAETANO: Sì, llà va a passeggiare.

FELICE: No, stava dentro lo Museo, dinto a nu scaravartolo de creta... accussì. (Si stende sulla sedia come un morto.)

ANTONIO (ridendo): Ah! Ah! Ah!

GAETANO: E ch’è na mummia lo nonno mio?

FELICE (ridendo): Io scherzo.

GAETANO: E ma questi scherzi non mi piacciono... chi vi sta confidenza?

ANTONIO: Va bene, D. Gaetà, non ce fate caso... dunque?

GAETANO: Io ho giurato che non lo farò più!... Vedete d’accuncià sta cosa. Io vi manderò da lei, in casa dei parenti suoi.

FELICE: Avvocà, avete visto che bella testa tiene D. Gaetano?

ANTONIO: Ah! sicuro, in moda.

FELICE: Me pare nu purpo sotto e ncoppa!

ANTONIO: Ah! Ah! Ah! (Ridendo Gaetano fa gesti d’impazienza.) D. Gaetà, nun mporta.

GAETANO: Si vede ch’è mancanza d’educazione... Perché io sto parlanno d’affare serie con l’avvocato, e voi m’interrompete, e mi stuzzicate a dietro.

FELICE: Io vi stuzzico a dietro?

GAETANO: E se capisce, me state stuzzicanno, fino a che perdo la pazienza poi! Eh! me pare!... Perciò stia a suo posto signore, e si faccia i fatti suoi.

FELICE: Datele nfaccia! (Gaetano lo guarda.)

ANTONIO: D. Gaetà non mporta, nun ve pigliate collera.., dunque?

GAETANO: Io vi manderò da lei, in casa dei parenti suoi, voi ci parlerete, e le dite che io sono pentito, sono amaramente pentito, che non lo faccio più, mai più. (Con voce bassa.)

FELICE: Fate l’elemosina a nu povero padre di famiglia, non me lo posso lavorare...

GAETANO: Oh! Ma insomma, me volete parlà? aizo ncuollo e me ne vaco, e felicenotte!... Eh! Pecché ve ne state piglianno troppo ! Me state rumpenno, proprio comme se dice, l’ove dinto a lo panaro!... Vuje vulite rompere l’ove dinto a lo panaro mio!

FELICE: Io voglio rompere l’ove dinto a lo panaro vuosto?

GAETANO: E se sa!... Lo scherzo fino a nu certo punto, ma basta . (Pausa.) Perciò, stia al suo posto, e si faccia i fatti suoi. (Poi ad Antonio:) Dunque avvocà... Essa poi sfocò bastantemente, perché la sera me fece na mazziata numero uno.

ANTONIO (ridendo): Ve vattette?

GAETANO: Me vattette? Io sostato fino a l’altro giorno a letto. Tengo sta spalla che non la pozzo movere!... Ma vi prego, non dite niente a nessuno!

ANTONIO: Ah! Ah! Ah! Chesta è bella!

FELICE: Avvocà, ch’è stato?

ANTONIO: La mugliera lo vattette!

FELICE: Uh?... Ah! Ah! Ah!

GAETANO: Embè, avvocà. Io vi ho pregato de nun niente.

FELICE (ridendo): che esco fuori lo dico a tutti quanti.

GAETANO (ad Antonio): Avete visto? Io lo sapeva, chillo è la trummetta de la vicaria! lo sape Napole e li 36 casale.

ANTONIO: Va bene, vedrò io d’accomodare tutto.

GAETANO: Vi ringrazio anticipatamente. (Ritornano ai loro posti.)

 


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