Eduardo Scarpetta
Lo scarfalietto

ATTO TERZO

SCENA QUARTA   Usciere, Emma e detti, poi Gennarino.

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SCENA QUARTA

 

Usciere, Emma e detti, poi Gennarino.

 

USCIERE (introducendo Emma): Favorisca, signora, s’accomodi.

EMMA: Grazie. (Siede vicino ad A malia, dopo aver salutato tutti senza parlare.)

GAETANO: (Uh! Emmuccia!). (Con molta passione.)

FELICE: ( more D. Gaetano!).

GAETANO (alzandosi): Avvocà, un’altra preghiera.

ANTONIO: Dite. (S’alza e viene avanti.)

GAETANO (sotto voce): (Questa qua, è quella tale giovine, alla quale io aveva scritta la lettera che mia moglie trovò).

ANTONIO: (Ah! questa qua?).

GAETANO: (Sissignore).

ANTONIO: (Bravissimo!). Te voglio accuncià io te voglio.

GAETANO: (Comme ve pare?).

ANTONIO: (Eh! molto simpatica!). (Ritornano ai loro posti.) Signorina Emma, chi lo doveva dire che dovevamo vederci qui, in tribunale.

EMMA: Eh! Non c’è che fare, pazienza. Ecco, che cosa significa fidarsi troppo degli uomini.

ANTONIO: Degli uomini, va bene, ma voi adesso vi siete fidata dei mandrilli! (Ridendo.)

FELICE: D. Gaetà, l’ha con voi!... Uno quanno sente mandrillo, subito s’accorge che siete voi!

GAETANO: E quanno uno sente rangotango, subito capisce che siete voi!... Avvocà, e comme ve vene ncapo?

ANTONIO: Ma scusate, abbiate pazienza, io non come una donna si può innamorare di voi.

GAETANO: Eh! Ncasate la mano! (Felice ride.)

EMMA: Egli disse che voleva sposarmi, ed io, a questa lusinga, non guardai né l’uomo, né l’amante, il mandrillo, ma il marito.

ANTONIO: Il marito?... Ma guardaste il marito di una signora!

EMMA (forte ed alzandosi): Voi siete un imbecille!

ANTONIO: Ah! A me imbecille?! (S’alza e viene avanti.)

EMMA: Sì, a voi. (Gridando.)

FELICE: Pss... non gridate. (Mettendosi in mezzo ai due, gridano contemporaneamente tutti e tre.)

USCIERE: Pss... signori... signori... vi prego, un poco di silenzio... lo presidente se sta cagnanno la cammisa.

FELICE: Chisto è n’ora che se la sta cagnanno!

ANTONIO: Va bene, questa parola me la pagherete.

EMMA: Ve la pagherò come vi pagano tutte le vostre parole. (Usciere via e poi torna.)

ANTONIO: Voi siete una donna, e non mi conviene mettermi con voi mandatemi qualche vostra persona e ce la vedremo. (Gaetano si sarà fermato col cappello in mano guardando Emma con molta passione.)

EMMA: E va bene, vi manderò mio fratello.

ANTONIO: Benissimo! (Ritorna al suo posto.)

FELICE (ad Emma): Va bene, pure la sorella. (Poi ad Antonio:) Avvocà, vuje invece de penzà a la causa mia... (Poi vedendo Gaetano si mette vicino a lui togliendosi il cappello.) Signurì... fate bene a nu povero cecato... aggio perzo lo meglio de la vita mia!... La vista de l’uocchie!

GAETANO: Ma voi siete n’affare serio... sapete?

FELICE: E vuje me parite nu pezzente, che cerca la lemmosena!

GAETANO: Che pezzente... io sto guardanno a chella... Io saccio quella quando se nfoca quanto è terribile! (Siedono tutti.)

USCIERE (introducendo Gennarino): Trase, trase, levete lo cappiello.

FELICE: Lo cafettiere. (Alzandosi.)

GAETANO: A primma matina!

USCIERE: Assettate llà dereto. (Indica dietro la ruota.)

FELICE: Un momento, Usciè, perdonate... (A Gennarino:) Gennarì viene ccà, assettate vicino a me. (Lo piglia per la mano.)

USCIERE: Nonsignore, scusate, questo non può stare qua.

FELICE: Perché non può stare? Quello è testimone a carico...

ANSELMO: No, no, a discarico.

FELICE (a l’usciere): E dunque lasciatelo discaricare. (Gennarino siede vicino a Gaetano.)

USCIERE: E se ne va abbascio la dugana a scaricà, qua non può stare. (Lo piglia per mano per farlo alzare.)

FELICE: Ma nonsignore, Usciè, quella è persona mia.

USCIERE: Ma scusate, chillo sta cumbinato de chella manera...

FELICE: E che vuoi dire? Mo lo testimone lo faccimmo venì in frak e cravatta bianca! Comme se trova, viene, sarebbe bella! Gennarì, assettate, nun te n’incaricà.

ANTONIO: Va bene, Usciè, lasciatelo stare. (Tutti siedono.)

GAETANO (pausa, guardando Gennarino e Felice): Oh! Ma insomma vuje che tenite ncapo, che stu lazzarone io vulite fa stà vicino a me?

FELICE: Lazzarone?!... D. Gaetà e che d’è sta parola? Sapisseve vuje chello che sape chisto.

GAETANO: Pecché è istruito, è istruito?

FELICE: Istruito? Chillo sape lo fatto de io schiaffo.

GAETANO: che sape, teh!

FELICE (appoggiandosi con Gennarino sulle gambe di Gaetano): Gennarì, tu haje da dicere co lo schiaffo fuje tanto forte, ca me nturzaje tutta la faccia.

GENNARINO: Va buono.

GAETANO: Oh! ma vulisseve na colonnetta, na scanzia, nu cuscino... pe sapè almeno. (Poi a, Gennarino gridando:) E scostati... tu puzzi di cipolla che appesti!

USCIERE: Pss... pss... Signori miei, nu poco de silenzio. Vi ho pregato ca lo presidente se sta cagnanno...

FELICE: La cammisa.

GAETANO (pausa, s’alza e s’avvicina a l’usciere, mostrando Gennarino): Puzza di cipolla! (Siede.)

USCIERE: Levete da lloco.

FELICE: Oh! Usciè, ma me pare che sia na mancanza de rispetto proprio a me. Vi ho detto ch’è persona mia, e qua deve stare.

USCIERE: Ma quello puzza di cipolla!

FELICE: E che vuol dire che puzza di cipolla, il signore questo ha fatto colezione. D. Gaetà, ma ched’è sta cosa? Puzza de cipolla, e non puzza de cipolla... ve voltate da questa parte, e non la sentite. me disgustate nu testimone pecché puzza de cipolla!... Questo ha potuto, e questo ha fatto colezione! (A Gennarino:) Signore puzzate! (Siede. A destra lunga suonata di canipanello.)

USCIERE (annunziando): La Corte! (Tutti si alzano.)

GENNARINO (a Gaetano): Neh!... Io pure m’aggia sosere?

GAETANO: Susete, assettete, a chi l’assigne!... (Gennarino s’alza.)

 


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