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CARLO (esce agitato dalla sinistra passando a dritta).
ERMINIA: Signor Maggiore, mi permettete dirvi due parole?
ERMINIA: Io, come sapete, sono un’antica compagna di vostra moglie, e m’interesso dei fatti suoi come se fosse una mia sorella. Essa in questo momento mi ha tutto confessato, ed è pronta a fare lo stesso anche con voi, sempre però che giurate di perdonarla.
CARLO: L’ho promesso, e lo farò, io non ho mai mancato a la mia parola.
ERMINIA: Benissimo! Allora eccola quà, decisa a farvi tutta la confessione.
ELVIRA: Sì, pecché non ne pozzo cchiù. Sento che non potrei più vivere in questo modo. Chillo giovene tenore era amico di zizio, e mi perseguitava sempre col farmi delle dichiarazioni amorose...
ELVIRA: Ma io mai me so’ curato d’isso. Chella sera me venette a fa na visita, e pe forza volette che io l’avesse accompagnato un pezzo a pianoforte, io sul principio mi negai ma po’, vedennolo insistere, per potermene sbarazzare al più presto possibile, acconsentii... vuje arrivasteve a tiempo e isso spaventato se ne fujette. Questa è la verità... e credimi Cocco mio, non ho mai mancato al mio dovere di buona moglie e di giovane onesta.
ERMINIA: Ma che volite sentere cchiù, scusate?
CARLO: (Quamno me parla de chesta manera, quanno me dice Cocco mio, me sento saglì tutto lo sango da la parte de la capa). Questo che hai detto dunque, è la verità?
CARLO: E d’allora non l’hai visto cchiù?
CARLO: Allora io sono contento, e ti perdono! (L’abbraccia.) Anima mia.
ERMINIA: Ah! Finalmente!
CARLO: Ma perché non me l’hai detto prima?
ELVIRA: Perché me n’è mancato sempe lo coraggio.
CARLO: E m’haje fatto passà chesto ppoco, m’hai fatto soffrire in questo modo per lo spazio di sei mesi.
ERMINIA: Basta, avite fatto pace mò?
CARLO: Sì, pecché m’ha ditto la verità, si è finalmente confessata e l’ho assolta.
CARLO: A proposito di assoluzione. Sai che oggi si vociferava co tuo fratello Eugenio era stato assolto.
ELVIRA: Che me ne mporta a me. V’aggio ditto tanta vote che de frateme non ne voglio sentì parlà! Doppo d’avè sciupato cchiù de cientemila lire al gioco, all’ultimo steva facemmo pure n’omicidio e quella stupida di mia sorella, che preferisce vivere in casa di estranei, anziché in casa mia.
ELVIRA: Pecché pretendeva che io avesse fatto venì ccà pure Eugenio.
CARLO: Ah, mai! Mai!
OSCAR (dalla finestra): E così, Marchesa, signorina Erminia, che vò dire questa sparizione dalla sala, sapete che quando mancate voi due, finisce il brio, finisce ogni divertimento.
ELVIRA: Oh, per carità, siete troppo gentile Cavaliere. Siamo venute a fare quattro chiacchiere in questa camera, ma ritorneremo subito al nostro posto.
OSCAR: Bravissimo! E così, Maggiore, come andiamo coi nervi... Vi vedo un poco più calmo.
CARLO: Sì, in principio della serata, stavo nervosissimo, ma poi piano piano mi sono rimesso.
OSCAR: Bravo. Del resto poi non avevate ragione di essere di cattivo umore; quando si ha per moglie una donna come la Signora Marchesa non c’è più che sperare nella vita.
CARLO: Ah! Sicuro! (Quanto m’è antipatico sto farenella!)
OSCAR: Dico bene, signorina Erminia?
OSCAR: Io, per esempio, se fossi vostro marito, sarei l’uomo il più felice del mondo!
OSCAR: Sul mio onore. Voi siete nata appositamente per mettere la gioia nei cuori umani!