Eduardo Scarpetta
Tre pecore viziose

ATTO TERZO

SCENA SECONDA   Beatrice, Biase e dette, poi Camillo, Fortunato e Felice.

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SCENA SECONDA

 

Beatrice, Biase e dette, poi Camillo, Fortunato e Felice.

 

BEATRICE (esce con Biase. Scena a concerto).

ROSINA: (è accumminciata la mimica!). (Accomoda, nel mezzo, tavolino e sedie. Beatrice, Virginia e Concettella seggono intorno al tavolino, poi Biase esce pel fondo a sinistra e torna con Camillo, Fortunato e Felice che seggono di fronte a Beatrice. Biase resta in piedi sul fondo.)

BEATRICE: Eccoci qua, voi di fronte a me e io di fronte a voi. Quanto sarei contenta se ci fosse molta gente estranea, da poter sentire quello che io vi dico e quello che voi mi rispondete! Lo currivo mio è che nun ce sta nisciuno!... Ma non niente. Mi basterà Biase, il servitore, al quale io prego di rendere pubblico questo fatto. Mentre io parlo, non vi azzardate a rispondermi, altrimenti piglio lo calamaro e ve lo mengo nfaccia!... Che bello onore che vi siete fatto! Ma dove andrete a mettere la faccia? In quale parte del mondo potrete vivere, dopo quello che avete fatto ieri sera? Io non ho il coraggio di guardarvi! Arrossisco io per voi! Tremo io per voi! (A Virginia e Concettella:) Volete sapere che cosa hanno fatto questi tre che ci sono di fronte? (A Concettella:) Tu non puoi sentirlo! (Vedendo che Concettella non vuole andar via e cerca di parlare.) Pss! Zitta! (Fa segno a Biase di accompagnarla alla prima a sinistra; i due eseguono. Concettella via, Biase chiude la porta e torna al suo posto.) Niente di meno sono andati in casa di certe modiste a fare l’amore!

VIRGINIA: Che?! Ah!

BEATRICE: Pss! Zitta! A fare l’amore! Non ci sarebbe pena bastante per questi tre... questi tre... sti tre puorce! D. Camillo, invece di badare agli interessi miei, agli affari della sorella, di quella donna che lle fa jenchere la panza ogni giorno, se ne va facenno lo nnammuratiello! E forse, per lui, non sarebbe tanto grave la colpa, perché non è ammogliato. D. Felice che dovrebbe essere riconoscente a questa zia, la quale gli ha levata la famma da la vocca, l’ha vestito, gli ha dato a mangiare fino a ieri, D. Felice, che dovrebbe pensare che ha una moglie e che, facendo delle mancanze, diritto alla moglie di fare altrettanto, è quindi una rovina, un precipizio!... Invece di pensare a tutto questo, D. Felice se ne va dalla modista! E pure... e pure si potrebbe dire: è giovane, ha potuto mancare, non aveva esperienza... Ma D. Fortunato, mio marito, oh, quanto è pesante la sua colpa! Quanto è terribile la sua mancanza! Per poterlo punire, non basta la galera, non bastano i lavori forzati! Soltanto la morte sarebbe castigo degno da potergli dare! Ma sta morte chi nce la ? Se lo faccio sapere ai tribunali, se ne fanno una risata... A chi debbo ricorrere?... Chi mi farà giustizia? Ebbene, me la farò io stessa! O vi discolpate e mi dite perché stavate in quella casa, a quell’ora, oppure uscirete dalla mia casa e andrete cercando l’elemosina!... Parlate uno alla volta.

FORTUNATO (alzandosi): O Beatrice...

BIASE (cantando): O Beatrice, tu sei degna di stare in cornice...

BEATRICE: Silenzio!

FORTUNATO: O Beatrice mia, tu sai come ti ho trattata, per anne e anne e anne...

BIASE (c.s.): E quanno è bello lo paparascianno...

BEATRICE: Silenzio, dico!

FORTUNATO: (Nuje stammo cu chisti guaje, e chillo mette lo paparascianno mmiezo!). Tu sai come ti ho trattata per anni e anni, sai che non sono stato mai capace di tradirti... Non come hai potuto solamente immaginare che io, in quella casa, mi trovavo per fare l’amore.

BEATRICE: E allora, perché ci siete andato?

FORTUNATO: te lo dico... Ieri al giorno, come tu sai, stavo andando dall’avvocato, per quella causa che tieni pendente... Mentre camminavo, al largo della Carità, vidi D. Felice, qui presente, che correva, correva e se mpizzava dinto a la Pignasecca. Allora io dissi fra me: Come? È ghiuto a trovà lo compare malato, che sta a Costantinopoli, e invece va dinto a la Pignasecca? Ccà mbruglio ce sta sotto! Voglio vedé addò va! Me mettette appriesso e vedette che traseva nel palazzo numero diciannove. Infatti, dopo pochi momenti che isso era trasuto, trasette pure io, per coglierlo in flagrante! Mi pare che, come zio, come vostro marito e come uomo probo, non ho fatto che il mio dovere! (Siede.)

FELICE: (Uh, puozze muri de subbeto!).

VIRGINIA: T’aggia sceppà tutt’a faccia!

BEATRICE: Silenzio! E voi, signor D. Camillo, perché vi trovavate in quella casa? (Camillo si alza.)

FELICE: (D. Camillo, aiutateme voi! Quello mi ha rovinato!).

CAMILLO: Ieri al giorno io calai per andare dal notaio e portargli quella carta che gli serviva per quell’affare. Mentre stavo camminando per Toledo, mi venne di faccia un amico mio e mi disse queste parole: No, veramente tua figlia ha fatto un bel matrimonio!... E perché, risposi io... Sai D. Felice, tuo genero, dove è entrato poco primma? Dove è entrato? Nel palazzo numero diciannove alla Pignasecca, ed è entrato in casa di una modista che sta . E per tanto l’ho visto, perché mi trovavo calando dal terzo piano... Allora, senza perdere tempo, corsi in quella casa per sorprenderlo... Mi pare che, come padre della moglie, come tuo fratello, ho creduto di fare il mio dovere! (Siede.)

FELICE: (E chisto uno è Chiavone e n’ato è Pilone!).

VIRGINIA: Birbante, assassino!

BEATRICE: Psss! Silenzio! E voi, D. Felice, come potete discolparvi?

FELICE (si alza): (Mannaggia all’arma de li mamme voste!). Commosso... commosso fino al dito pezzillo, dalle deposizioni fatte da questo micco e da questo rangotango, rispondo con la nervatura tutta in oscillificazione, e non dico che la verità! (Sputa in faccia ai due.)

CAMILLO: Lo vedite, nce ha sputato nfaccia!

FELICE: Eh, e chesto che è? Chesto è niente!

BEATRICE: Silenzio, dico!

FELICE: Fin dall’età di tredici anni mi è produta sempre la capa e, sempre che ho visto una guagliona bbona, me songo allummato e me ne sono andato de capa. Tutti gli uomini hanno un vizio: chi bevitore di vino, chi giocatore accanito, chi celebre fumatore... Il mio vizio è stato chillo de correre appriesso a li femmene! Il bevitore di vino beve, si ubriaca, cade e si sciacca. Il giorno dopo giuramento di non bere più... Dopo un paio di giorni passa per una cantina, la guarda, la torna a guardare, vorrebbe fuggire, ma non lo può! Quell’odore di vino, quella freschezza lo attrae, lo magnetizza, e quel poveruomo, senza nemmeno saperlo, se trova assettato a nu scanno, cu nu litro mmano... Questo successe a me; per correre appriesso alle donne, trovai mia moglie, la presente, mi ubriacai di amore, la volli sposare, e così caddi e mi sciaccai. Dopo sposato, feci giuramento di non guardare nfaccia a nessuna donna, e stette cujeto per molto tempo. Ma che volete, un giorno vidi una modista. Era bbona, bbona dinto a l’arma de la mamma! Quella sua camminatura, quella sua corporatura, facevano incantare! La guardai, la tornai a guardare, e, al pari della cantina, quegli occhi, quella freschezza, quell’odore de carne fresca mi magnetizzarono, mi affascinarono e macchinalmente le jette appriesso... Il giorno dopo, senza nemmeno saperlo, me trovaje assettato dinto a la casa soja!... Ieri questa tale mi invitò a cenare con lei... Sì, è vero, io andai in quella casa, ma quale fu la mia sorpresa? Quella di trovare questi due vecchi peccatori nella stessa abitazione: uno amante di una certa Mariuccia e l’altro di una certa Rosina. Si venne a un accordo, si fece alleanza e, mentre tutto era pronto per la cena, vuje venisteve e nce rumpisteve llova mmano! Ciò che loro hanno asserito sono calunnie e bricconate! Quello che ho detto io, è la pura verità, ve lo giuro sul mio onore! Verba ligant homines, tautorum cornua funes!

FORTUNATO E CAMILLO: Non è vero! Non è vero!

BEATRICE: Silenzio! A chi credere adesso?

FELICE: A me! A me!

FORTUNATO E CAMILLO: A noi! A noi!

BEATRICE: Silenzio! Fortunato, potete provare la vostra innocenza?

FORTUNATO: Sissignore! Domandate all’avvocato e vedrete che quello vi dirà che io, ieri non ce stette.

FELICE: E già, pecché jettè !

BEATRICE: E che prova è questa? Anzi, questo più vi accusa! Io voglio sapere se potete provare che non siete andato a fare l’amore!

FORTUNATO: E questo come lo posso provare? Col tempo...

FELICE: . . .E colla paglia se stanno ammaturanno certi nespole!

FORTUNATO: ...Col tempo il Cielo tutto mette in chiaro.

BIASE: E voi, D. Camillo, avete prove?

CAMILLO: Avite voglia! Io vi posso portare...

FELICE: I peperoni in aceto!

CAMILLO: E che ne chella de li puparuole in aceto?

FELICE: E chesto può purtà!

CAMILLO: Io vi posso portare quell’amico mio che vide entrare D. Felice dentro.

BEATRICE: Anche questa non è una prova. D. Felice, e voi?

FELICE: Io tengo due prove fortissime, e li tteneno loro stesse ncuollo! D. Camillo uscì co la camicia stirata e quando andò in casa della bella, siccome stava sudato per correre, si levò la camicia stirata e se mise una di tela che aveva portato con lui... Eccola qua! (La fa vedere.) Mio zio, D. Fortunato, poi, aveva portato alla bella nu mellone de pane co la prova. Per tagliarlo a fette, sbagliò e si tagliò un dito. (A Fortunato:) Caccia lo dito, caccia lo dito! La la pupatella, la la pupatella!

CAMILLO: La camicia io...

FORTUNATO: Il dito me lo sono tagliato...

BEATRICE: Basta, basta! (Si alza.) Chiamate Concettella! (Biase esegue.)

FELICE: (De che morte avimma muri?).

 


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