Eduardo Scarpetta
'Nu turco napulitano

ATTO PRIMO

SCENA PRIMA   D. Peppino seduto al contuar, D. Michele seduto allo scrittoio che scrive Luigi, Salvatore e Gennarino mettono le ceste a posto — poi Giulietta.

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SCENA PRIMA

 

D. Peppino seduto al contuar, D. Michele seduto allo scrittoio che scrive Luigi, Salvatore e Gennarino mettono le ceste a posto — poi Giulietta.

 

PEPPINO (a Gennarino che esce dalla prima a sinistra): Gennarino, il principale che sta facendo?

GENNARINO: Sta accuncianno cierti sacchi dinto a lo deposito.

PEPPINO: Benissimo! A noi dunque, sottovoce.

LUIGI: D. Peppì, io aggio che .

MICHELE: Io non pozzo perdere tiempo.

SALVATORE: Io aggio da j a stazione.

PEPPINO: è affare di un momento. Andiamo, cacciate le carte.

LUIGI: (Vuje vedite che guajo che avimmo passato co chisto). (Tutti cacciano dei pezzetti di carte di musica. Peppino caccia dal petto una bacchetta ed una carta di musica.) Avanti, sottovoce. (Si situa in mezzo, tutti cantano egli porta la battuta.)

TUTTI: Oh che giorno d’allegria. Che delizia, che goder. Per gli sposi, questo sia. Un principio di piacer.

PEPPINO (con falsetto) : Oh che piacere.

LUIGI: Ched’è?

PEPPINO: è il soprano che risponde, non ho potuto ancora trovare il soprano, che peccato. (Canta:) Oh! Che piacer! A voi.

TUTTI: Viva, viva la sposina pien di grazia e di beltà...

PEPPINO: Basta. Che fate?

PEPPINO (con falsetto): è una stella mattutina.

TUTTI: è una rosa in verità

In ve...rità

In ve...rità...

MICHELE (guarda a dritta): Zitto, la signora. (Tutti vanno ai loro posti.)

GIULIETTA: Ched’è stiveve cantanno?

MICHELE: Nonsignore, eccellenza, eccellenza, era na pazzia.

LUIGI: è stato D. Peppino che...

GIULIETTA: No, ma seguitate, seguitate pecché me facite piacere, io amo il canto, amo la musica, amo l’arte!...

PEPPINO: Oh, signora, che possiate essere benedetta, amate la musica, allora vuol dire che avete cuore, avete sangue nelle vene, il nostro principale invece, odia la musica, e nemico della poesia.

GIULIETTA: Ma caro D. Peppino, il vostro principale, disgraziatamente, mio marito, non è un uomo, e un animale qualunque!... Che stiveve cantanno?

PEPPINO: è un coro che ho composto io, da cantarlo in occasione del matrimonio della vostra figliastra, non voglia il Cielo che il principale sapesse che ho fatto questo, sarebbe capace di licenziarmi, mentre vi assicuro signora, che m’è riuscito un capolavoro.

GIULIETTA: Ma come! Voi sapete la musica? Siete capace di scrivere un coro?

PEPPINO: Capace di scrivere un , ma signora, voi che dite! Io ho scritto delle opere colossali!

GIULIETTA: E come va poi...

PEPPINO: Non sono stato compreso, o pure diciamo, non ho avuto fortuna!... Informatevi signora, informatevi a Napoli chi era il maestro Giuseppe Rosso, ho scritto molto e ho guadagnato poco, non ho avuto incoraggiamento. Per poter tirare avanti la vita, faccio da cassiere in questo negozio... io!... io che sognava la musica, l’arte... essere obbligato a star , e segnare una partita di fichi secche, o una spedizione di aringhe ovate, oh, credetemi, è troppo dolore... ma quando tengo un poco di tempo, faccio dei versi, ci adatto la musica... che volete, è l’arte che me lo impone, faccio il cassiere per vivere, ma io sono nato artista, guardate la mia testa, guardate i miei capelli, o signora. (Si leva il berretto e fa scendere i suoi lunghi capelli sulle spalle.)

GIULIETTA: Uh! Vuje teniveve tutte sti capille?

PEPPINO: Non li ho mai tagliati.

GIULIETTA: ( che bella cosa!).

PEPPINO: Non vi pare una testa artistica?

GIULIETTA: Sicuro!

PEPPINO: Sono stato disgraziato anche col cognome, se invece di Rosso, mi fossi chiamato Verde, sarei stato un secondo Giuseppe Verdi.

GIULIETTA: Differenza di colore.

PEPPINO: Perfettamente.

GIULIETTA: E quel coro lo cantate domani sera?

PEPPINO: Sissignore, ma ho bisogno ancora di concerti, c’è Luigi e Salvatore che stonano come due cani!

LUIGI: Vuje che bulite da nuje, quanno maje avimmo cantate, e si lo principale se n’addone, sapite che nce ncuitammo?

PEPPINO: Adesso non abbiamo più paura, siamo protetti della signora.

GIULIETTA: No, scusate D. Peppì, io non voglio mischiarmi in mezzo a queste cose, quello è un uomo terribile, non voglia maje lo Cielo e sentesse che li giuvene de lo magazzino soprotette da me, mamma mia, succedarrìa no chiasso! Figurateve che tanto de la gelosia, non me pozzo manco affaccià a la fenesta, quanno voglio ascì no poco aggio d’ascì co isso.

PEPPINO: Su questo poi hai ragione.

GIULIETTA: Ma che ragione, scusate questo si chiama rendere infelice una donna. Io capisco che uno essere geluso, ma arrivà a chillo punto poi no! Chillo l’autriere, arapette la gabbia e ne facette fuì lo canario.

PEPPINO: E pecché?

GIULIETTA: Pecché dicette che io lo voleva troppo bene, e isso non poteva soffrì sta cosa.

PEPPINO: Oh! oh! Questa è bella.

GIULIETTA: Che ne vulite sapé, chillo è n’affare serio. (Papà, pecché era ricco me lo volette spusà pe forza, e aggio passato chisto guajo). si me trova ccà bascio, sapite che se afferrà?...

SALVATORE: Signò, sta venenno lo principale.

GIULIETTA: Non dicite che steva ccà. (Via a destra, tutti si mettono al posto, Peppino si mette il berretto.)

 


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