Eduardo Scarpetta
La Bohéme

ATTO PRIMO

SCENA QUINTA   Totonno poi Gennaro, Carmela, Luigi e detti.

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SCENA QUINTA

 

Totonno poi Gennaro, Carmela, Luigi e detti.

 

TOTONNO: Il signor D. Gennaro Pesiello e la sua signora.

SAVERIO: Eccoli qua... avanti, avanti, dove stanno. (Li introduce.) Rispettabilissima signora, che onore.

CARMELA: Oh! L’onore è nostro per carità.

SAVERIO: Gennaro bello, che piacere, come stai?

GENNARO (che è uscito sotto il braccio di Luigi): Eh! Non c’è male.

SAVERIO: A tosse te porta bene? T’è passata?

GENNARO: Meglio meglio, sta giornata sostato proprio buono. (Tossisce.)

SAVERIO: Accomodatevi, accomodatevi. (Totonno le sedie e via.)

FELICE: Poveretto tene nu poco e catarro.

CARMELA: No, è una tosse di lunga portata, è cronaca.

FELICE: Io me credeva ch’era articolo de fondo. E non ci fate nessun rimedio?

GENNARO: Eccome... vi pare... prendo tre decotti la notte e uno a prima matina, uno a mezzo giorno e uno a sera.

FELICE: Vale a dire che tenete sempre la caffettiera pronta?

GENNARO: Quando viaggio poi mi porto la bottiglia col calmante, quando mi viene la tosse ne prendo un sorso, mi tanto bene, eccola qua. (La mostra.) E chi è quel signore? (A Felice.)

SAVERIO: È il nostro segretario.

FELICE: Felice Sciosciammocca a servirvi.

GENNARO: Favorirmi sempre.

CARMELA: Ah! bravo, voi siete il segreter?

FELICE: No, songo lo cummò.

CARMELA: In francese si dice segretere.

GENNARO: Savè io ti presento il signor Luigi Cricco maestro di musica, che lazione di pianoforte a nostra figlia Emilia.

SAVERIO: Bravissimo.

LUIGI: Tanto piacere.

SAVERIO: Peppeniè bacia la mano a D. Gennaro, a la signora, stivi tanto allegro c’avevena venì e rimasto comme a nu turzo. (Peppeniello esegue.)

GENNARO: Grazie. S’è fatto grosso, io me lo ricordo piccerillo assai.

CARMELA: Ha fatto na bella sviluppata, adesso si può dire che è maschio.

FELICE: Ma signora, sempre maschio è stato!

CARMELA: Lo so, ma io me lo ricordo quando era allattante.

FELICE: che è crapetto.

GENNARO: E si a fernesce cu chella lengua, ma comme avimma scumparì afforza?

CARMELA: Uh! Nun accummincià ca io voglio parlà!

GENNARO: E si te staje zitta faje meglio, pecché dice nu sacco e ciucciarie, e io nun voglio ridere la gente.

SAVERIO: Gennà, Gennà e va buono, te venì la tosse.

FELICE: Pigliateve nu surzo de bevanda. (Gennaro beve.)

GENNARO: Io starei bene, quanno m’attacco li nierve me lo ffà. Dunque Peppeniello si è fatto proprio gruosso, ma che d’è nun parle, nun dice niente, e che significa?

FELICE: Ecco ccà ve dico io pecché nun parla. Suo zio l’aveva detto che con voi sarebbe venuta pure la ragazza, vostra figlia, e lui stava tutto contento, cantava, zumpava, abballava, adesso che vi ha visti venire senza di lei si è messo di cattivo umore.

SAVERIO: Perfettamente.

PEPPENIELLO: Non è vero.

SAVERIO: Eh! Non è vero... se mette scuorno lo ! (Puozze sculà.)

GENNARO: Ah! Perciò stai così. Caro Peppeniello, Emilietta non conveniva di portarla. Simme venute nuje sule per vederti, interrogarti, stabilire tutto e se è na cosa che se combinà, allora vi facciamo fare l’incontro e la conoscenza.

SAVERIO: È regolare!

GENNARO: Vi pare giusto.

SAVERIO: Proprio così.

GENNARO: Sapete, mia figlia è na ragazza tutta cuore, subito prende una passione, dimme na cosa Peppeniè, tu haje piacere de te nzurà?

PEPPENIELLO: Io... ecco qua... Don Gennà... io...

SAVERIO: Ma Gennà agge pacienza, che dimmanne socheste, uno dice nfaccia a nu giuvinotto: te vuò nzurà!

CARMELA: so’ io che dico ciucciarie. (Tutti ridono.)

FELICE: D. Gennà scusate, queste non sodomande che si fanno.

SAVERIO: Ma sicuro che have piacere.

LUIGI: Permettete che dicessi due parole. Secondo me, non mi pare questo il momento di domandare questo a quel giovine, fate che veda prima la ragazza, che la ragazza veda lui, e poi potete sapere qualche cosa di preciso. Egli ora non vi potrà rispondere; ho piacere d’ammogliarmi ma non so se mi fa piacere sposare vostra figlia.

GENNARO: Ah! Sicuro!

SAVERIO: Nu mumento, scusate Signor Cricco, primma di tutto vi faccio osservare che questi non sono affari che vi riguardano, e poi non c’è bisogno di vedere la ragazza, l’ho vista io, la conosco io e basta, troppo onore per lui.

GENNARO: Oh! L’onore è nostro.

LUIGI: Va bene. (Primma e perdere Emilia me faccio na curtellata nganna.)

GENNARO: Noi abbiamo stabilito in questo modo. Dimane partite cu nuje, venite a casa, e se l’uno e l’altro si simpatizzano subito si combina il matrimonio.

SAVERIO: Perfettamente.

GENNARO: La coppia a me mi pare che non potrebbe essere più bella. Tutt’e duje giovene, tutte e duje aggraziate, tutt’e due ricchi.

FELICE: (E staje frisco).

GENNARO: Io quell’unica figlia tengo, e lle do 200 mila ducate di dote, alla mia morte poi avrà il resto.

SAVERIO: Cento anni di salute.

GENNARO: D. Peppeniello deve tenere presso a poco lo stesso?

FELICE: Più, più, voi scherzate.

GENNARO: Il padre, felice memoria tre anni fa mi diceva che l’aveva fatto una discreta fortuna.

FELICE: Diceva lui discreta per non far sapere i fatti suoi, ma D. Peppeniello sta bene, ci sono solamente cinque palazzi di casa.

GENNARO: Cinque, io sapeva sei.

FELICE: Sì, erano sei ma uno ne cadde con l’ultimo terremoto.

GENNARO: Ci fu il terremoto qua?

FELICE: E come non lo sapete, qua ci fu un terremoto terribile, caddero più di 150 palazzi, poi tiene masserie, mutui. Saccio io comme stanno cumbinati chilli lla.

GENNARO: Va, va bene, non voglio sapere niente più.

 


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