Eduardo Scarpetta
La Bohéme

ATTO SECONDO

SCENA SECONDA   Achille, Cameriere e detti.

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SCENA SECONDA

 

Achille, Cameriere e detti.

 

ACHILLE (viso pallidissimo, gracile, portato a braccetto dal cameriere): Piano, piano, abbi pazienza, perché mi sento molto male, difficilmente potrò resistere.

ERRICO: Mamma mia, nu muorto!...

ACHILLE: Signori, scusatemi, di grazia, c’è tempo per incominciare il quarto atto?

TEMISTOCLE: Pochi minuti.

ACHILLE: Ah! Bravo, grazie. Ho 39 gradi di febbre, ma ho letto nel giornale che il maestro Puccini domani parte e questa sera dirige per l’ultima volta, perciò sono corso senza badare a nulla.

BARONE: Ma voi vi rovinate, con una febbre così alta non si esce.

ACHILLE: Lo so, lo so, posso pure morire e che ? Basta che sento un’altra volta l’ultima atto sono contento. Quante chiamate sono state questa sera?

TEMISTOCLE: Fino adesso 23.

ACHILLE: E bravo! Onore al merito! Viva Puccini! Viva Puccini! Permettete, vado nella mia poltrona. (Via.)

ERRICO: Buon divertimento!

BARONE: Oh! Che bellu tipo! (Ridono.)

TEMISTOCLE: Questo significa essere grande maestro, far commuovere i moribondi... i morti?

BARONE: Io devo dirvi la verità D. Errì; sono ritornato questa sera a S. Carlo per due ragioni principali, prima perché l’opera mi piace e la sentirei sempre, e poi per vedere una giovane fioriaia che è proprio na simpaticona.

ERRICO: Ah! E dove sta?

BARONE: Non so, verso le 9 l’ho vista un momento nella folla e poi è scomparsa, ma che occhi, che grazia, l’altra sera non sapevo più che dirle pe farla venì a cena con me, fu impossibile. Ho saputo però che si chiama Ninetta e abita nell’istesso palazzo del soprano, quella che la parte di Musetta, e mi hanno detto che va spesso in casa sua.

ERRICO: E perché?

BARONE: E chi lo sa, io se stasera non la vedo domani mi presento sotto a lo palazzo e aspetto che scende.

ERRICO: Benissimo!

BARONE: D. Errì, scusate, andiamo a vedere se la possiamo trovare.

ERRICO: Con piacere.

BARONE: Andiamo. (Viano.)

TEMISTOCLE: Ma che avete stasera? Eh! Capisco, per noi altri maestri, questi applausi; questi onori, da una parte ci fanno piacere, perché ammiriamo l’ingegno, ma dall’altra nce fanno stà nu poco nguttuse, ma non c’è che fare.

LUIGI: Amico mio si sapisseve che nce stà dinto a stu core... altro che applausi, altro che onori! (Campanello elettrico, molti signori entrano chi in palco in poltrona.) Incomincia l’ultimo atto, jatevello a sentì.

TEMISTOCLE: E voi?

LUIGI: Io resto ccà.

TEMISTOCLE: E resto pure io, vi pare, ma ch’è stato, v’è successo qualcosa?

LUIGI: Maestro, voglio mettervi a parte d’un segreto, ma vi prego...

TEMISTOCLE: Oh! pare.

LUIGI: Dovete sapere che io amo immensamente la figlia di D. Gennaro, quella che deve sposare il nipote di D. Saverio!

TEMISTOCLE: Il mio allievo?

LUIGI: Perfettamente. Siccome io le faccio lezione di piano accumminciajeme co la parulella, co la pazziella, e nce simme nfucate talmente che è impossibile e ce lassà. La mamma e lo pate nun sanno niente. Quanto tutto nzieme chillu cancaro e D. Saverio vene a Napule, parla cu D. Gennaro e me cumbina chistu sorte e piattino.

TEMISTOCLE: Ma voi perché non la chiedeste al padre prima che ci avesse parlato D. Saverio?

LUIGI: Perché ero certo d’avé na negatura. Ve pare, chelle so’ tanto ricchi, teneno chellunica figlia, ma la deveno a me, nu misero maestro de musica, che campa cu 7 o 8 lezioni che tengo. Vi assicuro amico mio che pe sta cosa io non cammino più, non dormo più.

TEMISTOCLE: Non vi perdete di coraggio, io se posso aiutarvi lo farò con tutto il cuore.

LUIGI: Sentite, Maestro, vuje dimane venite cu me a casa de D. Gennaro, diremo che volete fare da maestro concertatore, e con questa scusa cercheremo di trovare un mezzo per scombinare questo matrimonio.

TEMISTOCLE: Io farò del tutto purché ci riusciremo.

LUIGI: Oh! Grazie, grazie, amicone mio!

TEMISTOCLE: Jammo a sentì stultimo atto, non ci perdiamo il finale che è un capolavoro.

LUIGI: Andiamo. (Via per la platea.)

 


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