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ACHILLE (viso pallidissimo, gracile, portato a braccetto dal cameriere): Piano, piano, abbi pazienza, perché mi sento molto male, difficilmente potrò resistere.
ERRICO: Mamma mia, nu muorto!...
ACHILLE: Signori, scusatemi, di grazia, c’è tempo per incominciare il quarto atto?
TEMISTOCLE: Pochi minuti.
ACHILLE: Ah! Bravo, grazie. Ho 39 gradi di febbre, ma ho letto nel giornale che il maestro Puccini domani parte e questa sera dirige per l’ultima volta, perciò sono corso senza badare a nulla.
BARONE: Ma voi vi rovinate, con una febbre così alta non si esce.
ACHILLE: Lo so, lo so, posso pure morire e che fà? Basta che sento un’altra volta l’ultima atto sono contento. Quante chiamate sono state questa sera?
TEMISTOCLE: Fino adesso 23.
ACHILLE: E bravo! Onore al merito! Viva Puccini! Viva Puccini! Permettete, vado nella mia poltrona. (Via.)
BARONE: Oh! Che bellu tipo! (Ridono.)
TEMISTOCLE: Questo significa essere grande maestro, far commuovere i moribondi... i morti?
BARONE: Io pò devo dirvi la verità D. Errì; sono ritornato questa sera a S. Carlo per due ragioni principali, prima perché l’opera mi piace e la sentirei sempre, e poi per vedere una giovane fioriaia che è proprio na simpaticona.
BARONE: Non so, verso le 9 l’ho vista un momento nella folla e poi è scomparsa, ma che occhi, che grazia, l’altra sera non sapevo più che dirle pe farla venì a cena con me, fu impossibile. Ho saputo però che si chiama Ninetta e abita nell’istesso palazzo del soprano, quella che fà la parte di Musetta, e mi hanno detto che va spesso in casa sua.
ERRICO: E perché?
BARONE: E chi lo sa, io se stasera non la vedo domani mi presento sotto a lo palazzo e aspetto che scende.
BARONE: D. Errì, scusate, andiamo a vedere se la possiamo trovare.
TEMISTOCLE: Ma che avete stasera? Eh! Capisco, per noi altri maestri, questi applausi; questi onori, da una parte ci fanno piacere, perché ammiriamo l’ingegno, ma dall’altra pò nce fanno stà nu poco nguttuse, ma non c’è che fare.
LUIGI: Amico mio si sapisseve che nce stà dinto a stu core... altro che applausi, altro che onori! (Campanello elettrico, molti signori entrano chi in palco in poltrona.) Incomincia l’ultimo atto, jatevello a sentì.
TEMISTOCLE: E voi?
TEMISTOCLE: E resto pure io, vi pare, ma ch’è stato, v’è successo qualcosa?
LUIGI: Maestro, voglio mettervi a parte d’un segreto, ma vi prego...
TEMISTOCLE: Oh! Vì pare.
LUIGI: Dovete sapere che io amo immensamente la figlia di D. Gennaro, quella che deve sposare il nipote di D. Saverio!
TEMISTOCLE: Il mio allievo?
LUIGI: Perfettamente. Siccome io le faccio lezione di piano accumminciajeme co la parulella, co la pazziella, e pò nce simme nfucate talmente che è impossibile e ce lassà. La mamma e lo pate nun sanno niente. Quanto tutto nzieme chillu cancaro e D. Saverio vene a Napule, parla cu D. Gennaro e me cumbina chistu sorte e piattino.
TEMISTOCLE: Ma voi perché non la chiedeste al padre prima che ci avesse parlato D. Saverio?
LUIGI: Perché ero certo d’avé na negatura. Ve pare, chelle so’ tanto ricchi, teneno chell’unica figlia, ma la deveno a me, nu misero maestro de musica, che campa cu 7 o 8 lezioni che tengo. Vi assicuro amico mio che pe sta cosa io non cammino più, non dormo più.
TEMISTOCLE: Non vi perdete di coraggio, io se posso aiutarvi lo farò con tutto il cuore.
LUIGI: Sentite, Maestro, vuje dimane venite cu me a casa de D. Gennaro, diremo che volete fare da maestro concertatore, e con questa scusa cercheremo di trovare un mezzo per scombinare questo matrimonio.
TEMISTOCLE: Io farò del tutto purché ci riusciremo.
LUIGI: Oh! Grazie, grazie, amicone mio!
TEMISTOCLE: Jammo a sentì st’ultimo atto, non ci perdiamo il finale che è un capolavoro.
LUIGI: Andiamo. (Via per la platea.)