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Felice, D. Carlo, e detti nascosti.
CARLO (da direttore d’orchestra): Sentite, ma voi siete curioso, sapete: voi credete che sia una cosa facile: astipateve li strumente e ghiatevenne, come lo possiamo fare questo?
FELICE: Ma perché?
CARLO: Come perché, me vulita fà ncuità co la Marchesa, io songo lo Direttore, chella co me se la piglia.
FELICE: Ma quando io vi spago, e vi pago bene...
CARLO: Ma è sempre una brutt’azione che commetto, io sono un galantuomo, voi per chi mi avete preso?
FELICE: Ma scusate, voi quanto avete combinato con la Marchesa?
CARLO: Dieci lire a persona fino a mezza notte.
FELICE: Che miseria! E quanti siete?
FELICE: E io ve ne dò 200 basta che ve ne jate mò.
CARLO: Ma non è possibile, caro signore, noi che figura facciamo, e poi, perché ce ne volete mandare? Abbiamo sonato male forse?
FELICE: Nonsignore, quello è uno scherzo che vogliamo fare con lo sposo.
CARLO: Ah, ho capito, ma noi non lo possiamo fare.
CARLO: Non è quistione di denari, è quistione d’amor proprio!
FELICE: Vi dà 500, lire 650, 50 lire pedono...
CARLO: 50 lire pedono?... Ma gl’invitati poi che diranno?
FELICE: Non nce sta manco na gatta, non è venuto nisciuno.
CARLO: Ah, non nce sta nisciuno?... Li denare addù stanno?
FELICE (aprendo il portafoglio e cacciando il danaro): Eccoli qua.
CARLO (li prende): Non nce penzammo cchiù. (Al trillace.) Belli figliù, jammoncenne!... (Escono dal trllace 12 comparse con strumenti sotto.) Va bene, siete contento?... Buonanotte e divertitevi. (Via per le scale le 12 comparse lo seguono.)
FELICE: E chesto pure è fatto. (Ciccillo e Rusinella ridono.) Ah, state lloco? Bravo!