Eduardo Scarpetta
Lu café chantant

ATTO PRIMO

SCENA QUARTA   Aspremo, Luisella e detto.

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SCENA QUARTA

 

Aspremo, Luisella e detto.

 

ASPREMO: È permesso?

FELICE: Avanti, chi è?

ASPREMO (fuori): Trase, Luisè. Voi siete l’artista D. Felice Sciosciammocca?

FELICE: A servirla.

ASPREMO: Favorirmi sempre. Dovrei parlarvi di un affare che mi preme molto.

FELICE: Accomodatevi, prego.

ASPREMO: Grazie. Assèttate Luisè. (Seggono.) Io sono Aspremo Sessa, Usciere del Tribunale.

FELICE: (Ho capito tutto. È prossimo il sequestro).

ASPREMO: Abito al terzo piano, qui, a Rua Catalana, proprio di rimpetto a voi. Quattro anni fa, mia moglie, di felice memoria, morì e mi rimase quest’unica ragazza. A voi, dite chi siete, come vi chiamate e che cosa volete fare. (A Felice:) sentite.

LUISELLA (si alza): Io mi chiamo Luisella Sessa, figlia di Aspremo e della fu Marianna Sasso, tengo 17 anni, quattro mesi e cinque giorni, mi voglio imparare a recitare e voglio fare la prima donna! (Siede.)

FELICE: (Quanto è bella chesta!). Bravo! Spiritosa.

ASPREMO: Che ne volete sapere, questa ha fatto restare a bocche aperte le conversazioni intere. Fanatica per la recita, quando passa per davanti a qualche teatro è capace de sta fermata più di un’ora vicino al cartello. Quando era viva la madre, quella povera Marianna, io la portava sempre a vedere l’opera, e essa, quand’era la mattina, si ricordava tutto e faceva tutte le parti. Non vi dico poi riguardo a canzonette, appena esce na canzone se la mpara. due mesi che mme stà luvanna la capa; papà, io voglio recità, papà io voglio la prima donna, papà, io mme voglio mettere ncoppa a lo teatro. Sul principio veramente mi sono opposto, ma poi, vedendo la sua inclinazione, aggio ditto: neh, chi mme dice a me che chesta non diventa una cosa grossa.

FELICE: Oh, questo è certo.

ASPREMO: A voi che ve ne sembra?

FELICE: Eh, la figura è buona.

ASPREMO: (Aspettate, ve voglio vedé come risponde). Ma sai che per fare la prima donna ci vuole spirito?

LUISELLA (alzandosi): Di spirito ne tengo una carretta. Il dramma posso fare e la farsetta. E sia la prima donna o la servetta.

FELICE: Bene! Fa pure dei versi. Verseggia.

ASPREMO: Che ne volete sapé, vedrete, vedrete. Fatemi il piacere datele na lezione, provatela, l’ a voi, voi siete un artista conosciuto, e che quando volete, potete tutto. Chesta insomma ha d’ascì da sotto a buje.

FELICE: (E già, io comme fosse na voccola).

ASPREMO: Ve ne sarò tanto tanto obbligato. Luisè, ringrazia D. Felice.

LUISELLA: Grazie. (Si alza e va alla finestra.)

ASPREMO: Vi assicuro ch’è na cosa rara. La volontà la tiene, insomma, . Luisè, e assettate, che vaje facenno.

LUISELLA: Che volite papà, io nun mme fido de stà sempe a nu pizzo.

FELICE: Lasciatela stare, non fa niente. (A Luisella:) Non ve n’incarricate, fate come se foste in casa vostra. A me mme fa piacere che è svelta, non le dite niente.

ASPREMO: Grazie tanto, quanto siete buono. Io ve la posso portare la mattina e me la vengo a prendere alle 5, perché, capite, io sono occupato al tribunale, faccio na vita de cane, se voi le volete nu poco de mangià, ce lo date, e senza offesa, vi darò tanto al giorno... no, voglio pagà, scusate, na cosa è la lezione e na cosa è lo mmangià. Se poi non volete avere questo incomodo, alle 5 viene a mangiare con me.

FELICE: Vedete... non è mai per incomodo, ma siccome non lo faccio a nessuno... io non tengo pensione.

ASPREMO: Va bene, allora mangia con me. E quando le volete la prima lezione?

FELICE: Pure adesso... le na parte, essa se la passa nu poco, e po’ me la fa sentì. (Va a prendere una parte.)

ASPREMO: Grazie, quante obbligazioni.

LUISELLA: (Povero Giacomino, cu chisto sole stà fermato, io l’aggio ditto che appena se ne va papà sagliesse ccà ncoppa cu na scusa).

FELICE: Ecco qua, questa è una particina dinto a nu Dramma che ho scritto io, intitolato: Giorgetta. Tiene due scene al secondo Atto ma di molto effetto.

ASPREMO: Luisè, viene ccà, vide D. Felice che te .

FELICE (dando la parte a Luisa): Questa è una particina, imparatela a memoria, e poi me la farete sentire.

LUISELLA (prende la parte e la guarda): E che d’è, accossì poco? Io nne voleva cchiù assai.

FELICE: (L’ha pigliato pe casecavallo). Per ora imparatevi questo, in seguito poi vi darò delle parti più lunghe.

LUISELLA: Va bene. (Siede e legge.)

ASPREMO: Vi assicuro che ha pigliato lo terno. Quante obbligazioni! Aspettate. (Prende il portafoglio.) Questo quà è il mio indirizzo, qualunque cosa vi occorre, troverete sempre un servo devoto e affezionato.

FELICE: Grazie, troppo buono. (Mme credeva che mme deve quacche cosa de denaro...)

ASPREMO: Io ne ho piacere che essa se al teatro, prima, perché ci tiene una grande disposizione, e poi perché così si leverà dalla testa nu studentiello che lle appriesso, nu scarfaseggia qualunque. Io quando me ne accorsi lle fece na cancariata nummero uno, e essa sapite che mme rispunnette? Mparateme a recità e io lo lasso, ecco perché io ho avuto tanta premura. Nun tene madre, capite, io sono sempre occupato, e tremo pure dell’aria.

FELICE: Ho capito. Perciò la volete mettere sul teatro.

ASPREMO: Ecco. Bravo. Dunque, D. Felì, io alle 5 in punto sto qua. Ve la raccomando, fate come se fosse una vostra figlia.

FELICE: Non dubitate.

ASPREMO: Quanto siete buono. Aspettate. (Prende il portafoglio e legge una carta:) Da lo miedeco nce ghiuto, lo scarparo pure, li piezze de sapone l’aggio pigliato, li ttengo dinta a la sacca. Compare... Va bene. Sono i ricordi della giornata, capite. aggia j a truvà lo compare mio che sta malato, alle cinque sto qua.

FELICE: (Puozze sculà, mme l’ha fatto n’ata vota).

ASPREMO: Luisè, statte bona, papà a li 5 te vene a piglià... hai capito? Eh! Chella nun sente manco li cannunate. Permettete D. Felì, quante obbligazioni! (Via pel fondo a destra.)

FELICE: Ma quanno te muove vurria sapé... che bella lezione che aggio pigliato. L’avete letta una volta?

LUISELLA: Na vota? Io l’aggio letta cinche vote, la saccio già a mente.

FELICE: Possibile!

LUISELLA: Veramente. Volite sentì?

FELICE: Eh, lasciatemi sentì.

LUISELLA: Atto secondo, scena terza.

FELICE: Questo è inutile, questo non si dice.

LUISELLA: Ah, chesto non se dice?

FELICE: Nonsignore.

LUISELLA: Esce pallida e tremante.

FELICE: E questo neanche si dice.

LUISELLA: Manco se dice?

FELICE: Nossignore.

LUISELLA (scherzosa): Non la voglio.

FELICE: No, per carità, non è questa l’inflessione. Voi avete ragione, perché non sapete l’argomento. Ecco qua. Dovete sapere che Giorgetta è la più bella giovine di un paesello della Sicilia. Tutti restano ammaliati dai suoi begli occhi e dai suoi lunghi capelli d’oro. Giorgetta è povera, ma è onesta. Ama un contadino povero al par di lei. Un ricco signore vorrebbe farla sua ad ogni costo, e danaro e gioielli e ricchezze, tutto le offre, ed essa nulla accetta. Un giorno la fa condurre alla sua Villa, splendida, ricca come una reggia, fa trovare il notaio con due testimoni, che sarebbe la scena terza del secondo Atto, e le dice: Vedi, Giorgetta, se tu acconsenti all’amor mio questa villa è tua. Giorgetta, ferma e risoluta, risponde: Non la voglio!

LUISELLA: Ah, aggio capito.

FELICE: Ecco perché non è quella l’inflessione.

 


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