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Carlo, Bettina, Totonno, Peppino e detto.
CARLO (seguendo Bettina): Ma io non capisco, tutto assieme nu giramento de testa, ma che ne soffrite forse?
BETTINA: Sicuro, me lo fa spesso.
BETTINA: Se permettete, mi ritiro nella mia stanza.
CARLO: Ma anzi, ve ne prego. Totonno accompagna la signorina, vedi tu se desidera qualche cosa.
TOTONNO: Subito.
CARLO: Vorrei accompagnarvi io stesso, ma tengo qui una persona che deve parlarmi necessariamente, se volete che nne lo manno, io nne lo manno.
BETTINA: Ma no, ma no, fate il vostro comodo, io non ho bisogno di niente. Permettete. (Entra a sinistra. Totonno la segue. Peppino fa per seguirla anche lui.)
CARLO: Pss... sapete, dove andate voi?
PEPPINO: Voleva vedere se la signorina desiderava qualche cosa...
CARLO: E che c’entrate voi. (Chella non l’ha voluto da me, lo vvoleva da isso!). Non ve ne incaricate, embè, io v’ho pregato che chelle sò pietanze mie...
PEPPINO: Ah, già... (Comme cancaro se trova ccà Bettina io nun lo ssaccio; e pure la mugliera de D. Felice.)
CARLO: Perdonate, siete voi che dovete parlarmi?
CARLO (a Peppino che guarda nella serratura della porta dove è entrata Bettina): Amico... embè, mò mme pare che siete scostumato mò...
PEPPINO: Abbiate pazienza, io sò nu poco curioso.
CARLO: E non dovete essere curioso, scusate. (Peppino si allontana. Ad Aspremo:) Dunque, prima di tutto, signore, ditemi chi siete.
ASPREMO: Ecco qua... questa sera vi sarà uno spettacolone al vostro caffè Chantà, mi hanno detto che sarà una rappresentazione varatissima.
ASPREMO: Ho saputo poi che c’è anche la coppia Berot.
CARLO: Berot, sissignore.
ASPREMO: Ah, sono bravissimi, io l’ho intesi a Roma, cantano con molta grazia. Lui è un giovanottino dilicato?
ASPREMO: E lei è una ragazza, pure dilicata, nu 16, 17 anni.
CARLO: Sissignore...
ASPREMO: Tiene un neo qua. (Mostra al mento destro.)
ASPREMO: (E chiste sò loro!). Bravo. E si chiamano Berot, è vero? Berot?
ASPREMO (ridendo): Sì, sì, l’ho intesi, l’ho intesi. Ora io vi voglio sapere, avete ricevuto una lettera da Attanasio?
ASPREMO: Come chi Attanasio... Attanasio, l’amico vostro... io insomma, stammatina mi sentivo un poco indisposto, e vi ho fatto scrivere per mezzo di Attanasio che non era certo di venire questa sera, ma poi, fortunatamente, mi sono inteso meglio e sono venuto.
CARLO: Ho capito, sangue de Bacco! Voi siete il fachiro Napoletano?
CARLO: Oh, che fortuna! Tanto piacere di fare la vostra conoscenza... meno male che la striscia non s’era messa ancora; voi siete il numero sei. Ma vi prego accomodatevi, posso offrirvi qualche cosa?
ASPREMO: Ma niente, niente, vi ringrazio.
CARLO (a Pepp.): Sapete, mme state facenno avutà l’uocchie! E assettateve nu poco. (Ad Aspr.:) Voi dice che siete superiore agli altri due fachiri.
CARLO: Dicono... così dev’essere, l’amico mio Attanasio vi ha visto lavorare, e questo mi diceva giorni fa, tu resterai a bocca aperta. Io vidi quello del Salone Margherita in Napoli, l’Egiziano, gia... e voi fate tale e quale a quello là?
ASPREMO: Tale e quale.
CARLO: E scusate, se sono imprudente, dentro a quella caccavella perché respirate, che ci stà?
ASPREMO: Ah! Là c’è una composizione chimica, cioè acido nitrico, acido solforico, canfora e pece greca; questa robba, mischiata caccia un fumo che entrando nel corpo dell’uomo lo rende invulnerabile e lo fa essere insensibile a qualunque puntura o taglio che sia.
CARLO: Ma è proprio così.
CARLO: Infatti, quello si faceva entrare uno spillone nella lingua, poi nella pancia.
ASPREMO: Io per esempio, faccio una novità. Mi taglio le orecchie, le faccio osservare al pubblico e poi me le metto un’altra volta!
CARLO: Oh, che bellezza! Dev’essere sorprendente! E il vetro ve lo mangiate?
ASPREMO: Me lo mangio? Faccio qualche cosa di più io col vetro. Lo squaglio e me lo bevo.
CARLO: Oh, chesto è forte po’, e non vi scottate la gola?
ASPREMO: Che scottare. Dopo di aver respirato nella caccavella la gola non è più gola, è un tubo qualunque.
CARLO: Ho capito. Ah, io sono certo che questa sera farete un vero chiasso.
ASPREMO: Oh, ritenete che il chiasso lo faccio, vedrete belle cose, voglio fà correre la guardia!
CARLO: E perché?
ASPREMO: Eh, quando lavoro io la prima sera così succede, perché il pubblico si spaventa.
CARLO: E si capisce. Ora, se non vi dispiace, andiamo a vedere se quella Signorina si sente meglio, sembra brutto di averla lasciata così.
ASPREMO: Oh, anzi, con piacere.
CARLO: E dal balcone che affaccia alla piazza vi farò vedere anche il caffè. La facciata è bellissima, però, poco prima con una pietra mi hanno rotto una palla della luce elettrica. (Si sono alzati.)
ASPREMO: Oh, che peccato! E quella coppia Berot non sapete dove hanno preso alloggio?
ASPREMO: Avevo tanto piacere di vederli.
CARLO: Li vedrete stasera in palcoscenico.
ASPREMO: Ah, già.
ASPREMO (entra a sin.): Grazie. (Pepp. fa per seguire Carlo, questi si volta e lo vede.)
CARLO: Vuje ccà nun potite trasì, comme ve l’aggia dicere, non saccio, siete bastantemente ineducato!
PEPPINO: Io voleva vedere la facciata del caffè.
CARLO: Scendete in mezzo alla piazza e la vedete... avete capito? (Entra e chiude.)
PEPPINO: Vuje vedite a me che mme succede! Chella m’è mugliera, tutte quante ponno trasì e io no! Sangue de Bacco! Chisto non è affare che po’ durà! Io revoto la casa, mò vedimmo. Essa m’ha da dicere comme se trova ccà!