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EMILIA (di dentro): Raffaele, Raffaele?
ERRICO (di dentro): Custode, custode?
RAFFAELE: Chi è? Sta ccà, che volite?
ERRICO (fuori): Come! Che voglio? Ccà sta tutte cose a lo scuro. Quanno s’appiccia?
EMILIA: È proprio un’indecenza.
RAFFAELE: E ch’aggio da fà io, che vulite da me?
ERRICO: Comme! Che voglio da te?... L’elettricista addò sta?
SAVERIO: L’elettricista sta al suo posto, ma non pò appiccià ancora, deve avere l’ordine da me.
ERRICO: Oh, scusate, signor sindaco, io non sapeva che stavate qua. Emilia, qua c’è il sindaco.
EMILIA: Oh, buona sera, signor sindaco.
EMILIA: Vi preghiamo, dunque, di dare quest’ordine. Come si fa?
SAVERIO: Bisogna pazientare un poco, signora prima donna. Siccome si sta facendo un accomodo all’angolo de la strada, così si è dovuto togliere la corrente al palcoscenico.
ERRICO: Ma speriamo che si sbrigassero presto. Fra mezz’ora deve incominciare lo spettacolo.
EMILIA: Ma nei camerini neanche c’è la luce?
EMILIA: Oh! E come si fa? Io mi debbo vestire.
ERRICO: Io mi debbo mettere la maglia.
EMILIA: Vuol dire che lo spettacolo incomincerà più tardi.
SAVERIO: O pure non si fa addirittura.
EMILIA: Non si fa? Voi che dite, signor sindaco? Sarebbe una rovina.
ERRICO: Il teatro è tutto venduto. Quel povero D. Felice, ha camminato quattro giorni con la pianta, per far segnare i palchi, le poltrone...
SAVERIO: Già! la serata a suo beneficio.
ERRICO: No, signor sindaco, è a beneficio di tutta la compagnia. Abbiamo detto che è serata sua per non fare una cattiva figura, capite?
SAVERIO: Ho capito, ho capito.
EMILIA: A lui, si sa, gli spetterà qualche cosa di più, perché ha scritto il monologo per la nipote di D. Peppino, e perché l’idea fu sua di farla recitare.
EMILIA: E poi per questa recita ha lavorato molto, bisogna dire la verità, è un buon uomo.
SAVERIO: E anche la sorella, è una buonissima donna.
SAVERIO: E adda volé bene assai a tutta la compagnia, perché quando veniste, me facette tante raccomandazioni.
EMILIA: Sì, sì, lo sappiamo... Che buon’amica!
SAVERIO: (Rafè, io me ne vaco dinto a lo palco. Appena vene Donna Concettina, la sora de lo suggeritore, me chiamme).
RAFFAELE: (Va bene, Eccellenza).
SAVERIO: Segretà, venite co me.
LUIGI: Subito. (Segue Saverio nel palco di proscenio.)
EMILIA: Ma, Rafè, famme lo piacere, damme na cannela almeno, io incomincio a truccarmi.
RAFFAELE: Non posso, cara signora, nce vò l’ordine de lo sinneco.
EMILIA: Ma queste sono cose nuove, sapete! Da dieci anni che faccio l’arte, non mi è successo mai quello che mi sta succedendo in questo paese.
ERRICO: Emì, non mporta, tenimmo n’auto poco de pacienzia! Io non nce voleva venì dinto a sta compagnia... Chillo cancaro de D. Peppino, me volette scritturà afforza. Seh! E mò che nce ne jammo nuje stanno cchiù frische. Una coppia come la nostra, D. Peppino non la trova.
EMILIA: A proposito, Errì, io stasera pe la Francesca da Rimini, me mette chella da Spagnuola de velluto verde.
ERRICO: E perché?
EMILIA: Guè, pecché? E non lo ssaje che la veste de la Francesca sta mpignata?
ERRICO: Ah, già! Sta nzieme co lo soprabito mio... Non te n’incarricà, chiste non nce attaccano idea, non ne capiscene niente, e pò, chille stasera venene pe Gemma, la nepote de D. Peppino.
EMILIA: Io pe me ritengo che è no rischio a fà recità stasera a chella guagliona — La malatia che tene è brutta... Ultimamente avette chill’attacco!... Tutte quante nce credeveme ch’era morta. Sentiste lu miedeco che dicette? Questa ragazza si deve curare seriamente, e non deve avere nessuna emozione.
ERRICO: E se capisce!... Se tratta de lo core... Sperammo che ghiesse tutte buone, accussì dimane nce ne jamme, e fenimmo de suffrì.