Eduardo Scarpetta
'Nu brutto difetto

ATTO PRIMO

SCENA SESTA   Enrico e detti, indi Arturo, poi Alfredo.

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SCENA SESTA

 

Enrico e detti, indi Arturo, poi Alfredo.

 

ENRICO (parla di fretta): Ah! Carissimo zio come state? state bene? Mi pare che vi vedo bene, anzi più grasso. Bravo, da sei mesi che non vi vedo, vi siete fatto più bello.

GIANNATTASIO: Caro Enrico, benvenuto.

ENRICO: Sì, caro zio, non appena ricevetti la vostra lettera che mi annunziava il matrimonio di mia cugina, subito mi presentai al mio Colonnello per chiedergli una piccola licenza che me l’accordò, mi misi in viaggio e son venuto proprio il giorno in cui sposa la mia cuginetta. Brava Lisetta, in verità ti trovo molto bella, molto simpatica. Maestro carissimo, vi saluto. Ah! Ma voi vi siete fatto più brutto. E questo signore? (Si seggono.)

GIANNATTASIO: è il promesso sposo di Lisetta.

ENRICO: Ah! Mi piacete, siete un bel giovane. Ed io credo che resterete contento di mia cugina. Eh! Si vede, è un giovane svelto pieno di brio. Bravo mio zio, ha saputo scegliere. Sapete in questo caso la beltà dello sposo è difficile, ma pur tuttavia non c’è che dire, è molto elegante, simpatico abbastanza, volete farmi la gentilezza di dirmi come vi chiamate?...

FELICE: Felice!...

ENRICO: Sciosciammocca? Sì, ora mi ricordo. Dunque si va quest’oggi al Municipio? Che piacere venire proprio in questo giorno... Voi, caro zio, vorreste sapere perché sono venuto ora? Adesso ve lo spiego. Sono arrivato in Napoli da tre ore solamente e son venuto qui direttamente perché uno che manca da un paese da tanto tempo, appena che arriva, non fa un passo che non trova un amico. Ah! Come stai? Dove sei stato? Dove vai? Dove ti trovi col reggimento? ecc. ecc. Poi si va a fare qualche visita particolare e non si parla d’altro, che delle cose avvenute in tutto il tempo che non ci siamo veduti. E una parola l’uno, una parola l’altro, passa il tempo. Ecco perché sono in ritardo da tre ore!...

GIANNATTASIO: Dunque oggi...

ENRICO: Oggi? Oggi vi darò il piacere di restare a pranzo con voi. Ma che zio eccellente, che zio eccellente! Ho detto: mangerò con voi, subito ha risposto di sì, bravo! anche sciampagne? Caro zio, questa sera ne vuoteremo diverse bottiglie. Certamente vi saranno anche i dolci? Ebbene per far contento mio zio e la cara cuginetta mangeremo pure i dolci.

FELICE: (Mallarma de zieto, me pare na teroccela!).

ENRICO: A proposito, sapete che io non sono venuto solo, è venuta con me una brava persona, un sottotenente mio ottimo amico. Certamente, zio mio, non vorrei farlo calare, perché lo zio così vuole e bisogna obbedirlo. (Va alla finestra:) Arturo, Arturo, vieni, vieni di fretta. Adesso vedrete miei cari che bel giovane, e un mio svisceratissimo amico, e ci vogliamo molto bene, ed io specialmente lo stimo, perché ne ha tutte le buone qualità; sta comodo di famiglia, possiede molte rendite e non vuole quando vede un amico staccarsene da vicino. E a me poi, non mi ha visto da tanto tempo. (Entra Arturo.)

ARTURO: Signori vi saluto.

ENRICO: Vieni qua Arturo, ti presento mio zio Giannattasio Borbone, e qua anche Felice Sciosciammocca, prossimo sposo di mia cugina Lisetta qui presente. Vi è anche il signor Alessio Pertusillo, maestro insigne, un uomo raro e d’oro. Caro Arturo, questa mattina devi farmi il piacere di pranzare con noi, mio zio così vuole. Lo so, dovevo venire io da te, ma non importa, verrò domani; oggi devi restare con noi, non dire di no perché lo zio potrebbe offendersi ed io non voglio dargli dispiaceri.

ARTURO: Farò come tu vuoi. E Alfredo che sta vicino al caffè?...

ENRICO: Ah, sì, è vero, hai ragione, mi ero dimenticato. Caro zio, voi permettete che io fo salire un altro amico... sì? Va bene. (Alla finestra.) Alfredo, Alfredo, vieni presto. Questo è anche un sottotenente, amico mio, e prossimo a divenire tenente, molto simpatico e rispettato al reggimento per le sue ottime qualità, non è vero Arturo?

ARTURO: Ah! sì!...

GIANNATTASIO: (Mamma mia! Chisto m’ha stunato!).

FELICE: (Che afflizione!).

ENRICO: Ah! Eccolo che viene! (Entra Alfredo.)

ALFREDO (sotto l’uscio): Signori!

ENRICO: Ah! Caro Alfredo, vieni qua, senza cerimonie, fa come qui fosse casa tua. Signori, vi presento Alfredo Capone, sottotenente di fanteria del 910 reggimento, 50 Battaglione.

ALFREDO: Signorina. (Le bacia la mano.) Ho l’onore di fare la vostra conoscenza.

FELICE: (Guè, chillo comme fa lo farenella!).

ENRICO: Questa mattina miei cari, mia cugina sposa il signor D. Felice Sciosciammocca, perciò avremo l’onore di pranzare con gli sposi, vogliamo proprio divertirci e mantenerci allegri tutti, affinché terranno a memoria il giorno del loro matrimonio. Non è vero caro zio?

GIANNATTASIO: Sì, sì, qua c’è pure lo giardino, se volete ristorarvi un poco.

ENRICO: Sì? E dov’è caro zio?

GIANNATTASIO: Venite, io vado a preparà lo sciampagne. D. Felì, D. Alè, venite.

ALESSIO: Jammo. (Ca si sto n’atu poco, io crepo!).

GIANNATTASIO: Venite, lo sciampagne v’aspetta. (Via con Alessio.)

FELICE: (Cielo mio fannellj!).

ENRICO: Sì, andiamo cari miei. D. Felì permettete. Cara cugina noi andiamo a bere. Amici alò. In riga! Avanti, maich!... ( Viano tutti e tre.)

LISETTA: D. Felì permettete io me vaco a vestl. (Via.)

FELICE: Chillo vu chella terocciola m’ha nzurduto! mannaggia l’arma de zieto, io nun ce sento cchiù!

TOTONNO: Avete visto come vi trattano? Se ne soghiute abbascio a lo giardino senza dive niente. Io ve lo dicette, non ve nzurate e vuje tuosto ve vuliste nzurà pe forza. Pensateci buono primma, almeno doppo nun ve ne pentite.

FELICE: Totò questi soaffari che non ti appartengono!

TOTONNO: Era per bene vostro, perché vuje sapite chillu brutto difetto ca tenite, nun appena sentite strille o nu rummore, non site cchiù buono de niente. Perciò penzatece bene.

FELICE: Nun te ne ncarricà. Totò vattenne, Totò!

TOTONNO: Stateve bene. ( t’acconcio, ce sta n’ata lettera pe te!). (Via.)

FELICE: Totonno me pare che ha nu poco de ragione. Io tengo chillu brutto difetto ca nun me fa cumbinà niente. Speriamo che Lisetta non se n’accorgesse si no comme faccio? Lisetta quanno m’è mugliera, me ne voglio vedé bene! Ah!... sta venenno, è lo tiempo di dirle quatte parole. A te Felì, coraggio!

 


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