Eduardo Scarpetta
Duje Chiaparielle

ATTO SECONDO

SCENA PRIMA   Candida, Ciccio, Felice, Michele, Luisella, che finiscono di prendere il caffè, e Peppino.

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SCENA PRIMA

 

Candida, Ciccio, Felice, Michele, Luisella, che finiscono di prendere il caffè, e Peppino.

 

MICHELE: Ma come, voi dite veramente, avete inteso una voce che veniva dal Cielo?

LUISELLA: Oh, ve l’assicuro io, na voce che faceva paura.

FELICE: Io sono rimasto atterrito.

CICCIO: Io sto tremmanno ancora.

MICHELE: E di chi era sta voce?

CICCIO: Mia moglie dice ch’era l’angelo della verità.

MICHELE: L’angelo della verità? E comme l’è venuto ncapo de venì dinto a sta casa?

CICCIO: E chi lo ssape, forse sapenno che dinto a sta casa non se dicene buscie.

MICHELE: Ah, sicuro, questo è vero. (Ride.)

CANDIDA: Signorì, vi prego di non scherzare su queste cose, parliamo d’altro.

MICHELE: Io non scherzo affatto, signora, ho risposto a D. Ciccio. Del resto non c’è da meravigliarsi poi tanto. Quando avete in casa un angelo qual è vostra figlia, non mi sembra affatto strano che comparisca un altro angelo per farle compagnia.

CICCIO: Oh, siete troppo gentile.

LUISELLA: Troppo cortese.

MICHELE: Ma no, è la verità. Io v’assicuro che non ho visto mai una donna tanto bella, tanto graziosa come siete voi.

LUISELLA: Ma no, Sono gli occhi vostri. (Peppino prende le tazze le mette nel gabarè e via pel fondo.)

FELICE: (Eppure va a fenì, che io sciacco a Chiappariello).

CICCIO: D. Felì, jate a piglià na butteglia de Cognac.

FELICE: Subito. Amico mio, accetti una presa di Cognac?

MICHELE: Con piacere.

FELICE: (Te raccomanno, non tanto lo farenella cu muglierema). (Via a sinistra.)

CANDIDA: Io Cognac non ne voglio. Permettete, me ne vaco dinto a la cammera mia.

MICHELE: Fate il vostro comodo, signora.

CANDIDA: (Stanotte nun aggio durmuto, me credeva che veneva l’angelo, e me diceva chi è sta Concetta Pastafina, ma invece non s’è visto. Tengo nu suonno che moro.) (Via a sinistra. Ciccio prende un giornale e si mette a leggere.)

LUISELLA (a Michele): (V’aggia dicere na cosa).

MICHELE: (Parlate).

LUISELLA: (Ajssera dinto a lo relogio de Felice, truvaje nu ritratto de na figliola).

MICHELE: (Vuje che dicite!).

LUISELLA: (Già, na figliola che io non conosco, ha da essere la nnammurata).

MICHELE: (E che ne facisteve?).

LUISELLA: (Lo facette piezzo , e dinto a lo relogio, lo stesso pizzo, nce mettette nu ritratto de mammà).

MICHELE: (Bravissimo! Nun ve n’incarricate, voi secondatemi sempre, e vedite che soddisfazione ve faccio avé). Dunque D. , farete fare subito questo viaggio a vostra figlia? (S’alza, e cambiando posto siede vicino a Luisella.)

CICCIO: Sì, lo mese che trase tengo n’affare di coralli a Milano. L’ati vote nce è ghiuto D. Felice, mio genero, ma , siccomme tene n’impiego che non se movere, nce vaco io personalmente, e me porto pure a essa.

LUISELLA: Bravo papà.

MICHELE: Ma sì, caro D. Ciccio, fatela divertire un poco, povera donna, sta sempre qui a Torre del Greco chiusa dinto a na casa.

CICCIO: Oh, ma essa non se ne lagna affatto. Oramai è abituata a questa vita, che si deve fare, il marito è occupatissimo, io tengo gli affari miei, chi volete che la facesse divertì?

MICHELE: Ma è un peccato però, un vero peccato. Ma già, dev’essere così, le cose belle stanno sempre nascoste. Un tesoro, un gran tesoro, le vote sta a nu pizzo chiuso, a lo scuro che nisciuno lo sape.

CICCIO (ride): Ah, ah, bellissimo il paragone!

LUISELLA: Me pare che sia troppo veramente.

MICHELE: Ma no che troppo, è sempre niente a confronto di quello che meritate. (Entra Felice con gabarè con 5 bicchienni e bottiglia di Cognac, si ferma accanto alla porta.) Voi siete qualche cosa più d’un tesoro! (Bacia la mano.)

 


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