Eduardo Scarpetta
È buscìa o verità

ATTO PRIMO

SCENA SECONDA   Felice e detto.

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SCENA SECONDA

 

Felice e detto.

 

FELICE (con grossa veste da camera e berretto simile si presenta in iscena): Chi è? Chi me ?... (A Giulio:) Sapete chi mi vuole?

GIULIO: Io, se non vi dispiace.

FELICE: Voi? Ah! Voi mi avete mandato l’imbasciata per il servo?... Abbiate pazienza se vi ho fatto aspettare un poco soverchio e se mi presento in questo modo. Dunque voi siete la persona che desiderate parlarmi? E quella bestia di domestico mi ha detto che eravate vecchio... Che gran bugiardo che è quello Asdrubale... Vecchio, ma dove sta questo vecchio?... Io voleva dire... Scusate sapete... perdonate... così mi fece pure l’altro giorno; venne un amico mio strettissimo, che io stimo moltissimo, e quell’asino di servitore gli disse che io non stava in casa; mi fece indisporre, parola d’onore; io poi che sono un uomo alla buona, precisamente come la buon’anima di papà, non mi piacciono queste cose! Dire che non ci sono, mentre sono in casa, fare aspettare una persona tanto tempo non è uso mio, come non usava nemmeno papà, ed io ho preso tutto il suo naturale, tutto perfettamente; e questa veste da camera sapete perché mi va così larga? Perché era di papà ed io dopo la sua morte non me ne sono incaricato farla stringere, o pure di farmene un’altra nuova, quello che portava papà debbo portare anche io. Basta, lasciamo questo discorso, sedete, vi prego. (Prende due sedie e seggono.) Dunque posso sapere con chi ho l’onore di parlare?

GIULIO: Ecco qua, vi dirò, io mi chiamo Luigi Porretto, e vengo appunto per...

FELICE Luigi Porretto? Porretto, ma io conosco questo cognome, sissignore: vostro fratello è tanto amico mio...

GIULIO: Mio fratello! (Chisto che dice... Aggio capito, Asdrubale m’ha ditto che è soleto a buscie, asseconnammolo.) Ah, conoscete mio fratello?

FELICE: Sissignore, eh, vi pare, siamo stati amici intimi... Seguitate, seguitate.

GIULIO: Dunque, avendo saputo che oggi deve arrivare in questa casa il signor D. Bartolomeo Migliaccio, mi sono portato qui onde conoscerlo e proporgli un affare di negozio.

FELICE: Ah, sissignore, e non tarderà molto a venire insieme alla figlia, mia promessa sposa.

GIULIO Ah! Voi sposate la figlia?

FELICE: Sissignore, tutto è combinato. Questo fu un matrimonio che propose la buon’anima di papà a D. Bartolomeo, che erano amici scorporatissimi, e mentre l’anno scorso si stava combinando il matrimonio, papà fu colto da una malattia che in due mesi lo trasportò nei più. Allora si disse, questo matrimonio si farà dopo il lutto, e così è stato; ma però questa volta D. Bartolomeo, il mio prossimo suocero, pare che avesse tutta l’intenzione di non combinare niente.

GIULIO: Come?

FELICE: E già, perché mi fa delle cose che non mi dovrebbe fare io mi ci son preso collera, parola mia d’onore.

GIULIO: Ma che vi ha fatto?

FELICE: Dovete sapere che io quando era piccolo teneva il vizio di dire qualche bugia, vizio che tengono tutt’i ragazzi fino allo sviluppo. Adesso regolarmente me l’ho levato in tutto e per tutto, parola mia d’onore. Ebbene indovinate che lettera ricevo iera sera da D. Bartolomeo? Ah, per fortuna la tengo qui... Sentite un poco. (Apre la lettera e legge:) “Carissimo Feliciello. Domani 18 luglio senza meno saremo da te io e Amalia onde combinare definitivamente il tutto. Bada però che se ti trovo ancora tanto bugiardo come lo sei stato sempre, e che ora mi avevi assicurato di non esserlo più, io non ne faccio più niente del matrimonio e me ne torno subito al paese. Bada e ricordati, che te l’ho avvisato”.

GIULIO: (Che sento!).

FELICE: Che? Che vi pare? è lettera che si manda questa?... M’infuriai talmente ieri sera quando lessi questa lettera che diedi un pugno ad Asdrubale, quando me la portò, tanto forte che gli feci uscire sangue dal naso, e gli feci una faccia gonfia di questa maniera; poi gli cercai scusa: poveretto, che colpa aveva lui? Ma intanto in quel momento...

GIULIO: (Non è overo, io nce aggio parlato e steva buono... Ah! Che io stongo a cavallo, chisto smamma cheste vongole!).

FELICE: Che state dicendo?

GIULIO: Ah! Dico che si regolò malamente a scrivere chesta lettera.

FELICE: Sicuro, malamentissimo... Ma io quando viene glielo dirò... gliel’ho da dire a forza! Vedete che lettera.

GIULIO: Ma non serve poi pigliarsi tanta collera: D. Bartolomeo l’avrà ditto pe pazzià, sentite a me, non ci badate...

FELICE: Credete così?

GIULIO: Ma sì, credo fermamente che sto...

FELICE: E mi consigliate di non dirgli niente quando viene?

GIULIO: Chisto sarrìa lo parere mio...

FELICE: Sì me persuade... (Stringendogli la mano.) Grazie tante, accetto il vostro parere e poi sempre padre all’innamorata mia è, non mi conviene di far vedere che mi son preso collera Don... (Alzandosi.) D. Luigi, voi permettete un momento quando mi vado a mettere la giamberga ed esco... (Via.)

GIULIO: Facite lo commodo vuosto, io v’aspetto ccà. Ah! Cielo mio, te ringrazio, tutto va pe lo vierzo mio. Si veramente D. Bartolomeo l’ha scritto chella lettera, io me pozzo chiammà cchiù che fortunato. Chillo dinto a niente ha smammato no cuofeno de pallune...

 


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