Eduardo Scarpetta
'Na figliola romantica

ATTO PRIMO

SCENA TERZA   Papele e detto, poi Dottore.

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SCENA TERZA

 

Papele e detto, poi Dottore.

 

CONTE: Papè...

PAPELE: Signò.

CONTE: So’ l’ommo lu cchiù disgraziato; me veco perzo proprio...

PAPELE: Pecché, signò, ch’è stato?

CONTE: Ch’è stato? E m’addimmanne? È stato, amico mio, che o songhe pazze l’aute, o che pazzo songh’io.

PAPELE: Signore mio la capa pur’io l’aggio perduta, o è chesto, o certamente muglierema è mpazzuta!

CONTE: Pecché?

PAPELE: M’ha ditto cose ogge, che fanno orrore! M’ha ditto: il matrimonio la tomba è dell’amore! Ch’è nu cuorpo senz’anema, un ente materiale, che il cuore umano è fragile, che l’anima è immortale. E ha ditto tanta cose dint’a nu quarto d’ora, che me songo stunato e nun capisco ancora. Stu fatto de muglierema a me nun pare vero...

CONTE: Papele mio carissimo, qui sotto c’è un mistero. Mugliereta lu stesso ha ditto pure a me.

PAPELE: Uh! Quanno?

CONTE: Poco primma, e pazza essa nun è. Figliema, press’a poco li stesse cose ha ditto.

PAPELE: Fosseme nuje li pazze?

CONTE Sicuro, statte zitto. Io credo n’auta cosa... chesta è na malatia mmiscata da muglierema pure a la figlia mia.

PAPELE: E pure a Cuncettella?

CONTE: Se sape, e socadute malate pecché troppe rumanze hanno liggiute.

PAPELE: Sicuro, chesto è overo, signò, accussì sarrà... Cuncetta tene libre nascuoste ’a ccà, e a llà. E pe paura ch’io li trovo e nce li ghietto, o se li tene chiuse o s’annasconne mpietto. La malatia si è chesta, nun è nu fatto serio, na bona mazziata è l’unico remmerio!

CONTE: Ma no, che stai dicenno. Io voglio interrogare, un celebro dottore. Li faccio visitare.

PAPELE: Ah, sì, facite buono, sultanto pe Cuncetta voglio aspettà nu poco... cumme ve pare?

CONTE: Aspetta quanto vuò tu.

PAPELE: E stu miedeco , quanno venarrà?

CONTE: Da jere l’avvisaje, e avarria stà ccà. Ma però, chisto fatto nisciuno ha da sapé.

PAPELE: Se capisce.

DOTTORE (di dentro): È permesso?

CONTE: Vide fore chi è. (Papele via e torna subito annunziando.)

PAPELE: Il Dottor Nuvoletti. (Dottore esce.)

CONTE: Avanti mio signore, avanti.

DOTTORE: Millegrazie. Ebbi da voi l’onore d’esser chiamato?

: Appunto. Papele una poltrona. (Papele esegue.)

DOTTORE: Ma no, qui c’è una sedia, trattatemi alla buona, il Conte Pomo?

CONTE: Io proprio.

DOTTORE: Piacere.

CONTE: Ma vi prego, sedete. (Seggono.)

DOTTORE: Di che trattasi?

CONTE: Eccomi, ora vi spiego. Papele?

PAPELE: Comandate.

CONTE: Me pare nu ntruglione... Prendi il cappello.

PAPELE: Subito. (Via.)

DOTTORE: Oh! Grazie.

CONTE: Ed il bastone. (Via.)

DOTTORE: (Che bello tipo è chisto). Grazioso...

PAPELE: Troppo buono.

CONTE: È distratto un pochino... ed io se lo perdono, è perché son dieci anni che trovasi con me. Posso Dottore offrirvi un poco di caffè? Del cioccolatte?

DOTTORE: Grazie...

CONTE: Ma sì, una tazzolina. Che cosa preferite? Biscotto o fresellina? Ma senza cerimonie, mi fate un gran favore...

DOTTORE: Ma grazie, troppo buono.

CONTE: Non posso aver l’onore?

DOTTORE: Son’io fortunatissimo, accetterò il caffè...

CONTE: Bravo, con dei biscotti?

DOTTORE: Come volete.

CONTE: A te; due tazze fatte apposta, e porta il maraschino. Buono...

DOTTORE: Oh! Lo credo.

CONTE: Spicciati.

PAPELE: Vi servirò a puntino. (Miedeco bello e giovene? E faccio visità Muglierema? Sicuro, nun aggio a che penzà.) (Via.)

CONTE: Eccoci a noi. Mi han detto che voi siete valente, che avete studio, scienza e pratica eccellente, che molti gravi mali avete scongiurati, uomini già spediti, da voi furon salvati, che di medicinali voi fate poco abuso, e che perciò vi chiamano...

DOTTORE:’O miedeco curiuso? Sì, sì, lo , mi onorano di questo soprannome, non chi è stato il primo, non e quando e come... Forse pel mio carattere, sempre di buon’umore.

CONTE: Ma sta cosa vi secca?

DOTTORE: Mi secca? Nonsignore! Me seccarrìa si fosse miedeco curiuso... Nel senso... curto... luongo... cu n’uocchio miezo nchiuso. Intendono curioso perché guarisco il male, senza la farmacia, con metodo speciale, però ci son malati che la medicina quando ci vuole, sempre, ci vado ogni mattina, ma poi ci sono quelli che basta una parola, un conforto, un consiglio, ricetta unica e sola.

CONTE: Quanto siete simpatico, che parlare modesto.

DOTTORE: Dunque, di che si tratta?

CONTE: Eccomi, fatto è questo: Quattro anni , rimasto vedovo, solo, amai un’altra bella donna, che in seguito sposai. La tolsi dal Collegio.

DOTTORE: Quanti anni avea, scusate?

CONTE: Venti anni.

DOTTORE: E voi?

CONTE: Cinquanta. Perché mi domandate questo?

DOTTORE: No, per sapere. L’amaste da impazzito?

CONTE: Uh!

DOTTORE: Amor di padre, immenso.

CONTE: Di padre e di marito.

DOTTORE: Capisco, beninteso.

 


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