Eduardo Scarpetta
'Nu Frongillo cecato

ATTO SECONDO

SCENA SETTIMA   Federico, e detto, poi Marietta, indi Timoteo, Alessio, Angelarosa, e Giuseppina.

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SCENA SETTIMA

 

Federico, e detto, poi Marietta, indi Timoteo, Alessio, Angelarosa, e Giuseppina.

 

FEDERICO: La verità, me sostufato de campà, che vita seccante è la mia!

FELICE: Papà?

FEDERICO: (M’aggio abbuscato no figlio). Chi siete?

FELICE: (Non è papà!).

FEDERICO: Chi siete?

FELICE: Felice Sciosciammocca figlio di...

FEDERICO: Basta, basta, ho capito, il promesso sposo della signorina Giuseppina.

FELICE: A servirla.

FEDERICO: (Te voglio ammaccà n’uocchio!). Bravo, ci ho tanto piacere. Eh, così doveva succedere... pure, se nel vostro petto vi fosse un cuore sensibile, un cuore capace di... ma che vana lusinga... volete che uno si sacrifichi per la felicità del suo simile... no... che importa che un uomo soffra, che muoia... l’essenziale è di ottenere lo scopo... tutto si sacrifica al proprio interesse... tutto!... ecco la società... ma che società... ma che società... consorzio di egoisti, consorzio di bruti!... (Via.)

FELICE (dopo pausa) : E chillo che , società, consorzio, bruti, io saccio chesto.

MARIETTA: V’aggio annunziato che site venuto...

FELICE: (Ah! chesta è chella de primma).

MARIETTA: che uommene che se trovano ncoppa a la faccia de la terra... vi che munno puorco.

FELICE: (Va trova co chi l’have).

MARIETTA (si avvicina a Felice): Co quà core site venuto ccà, vuje avite mise lo ffuoco, l’arroina, lo precipizio dinta a sta casa.

FELICE: Addò, io mo me ne vaco.

MARIETTA: Ma lo Cielo, lo Cielo se ne pagarrà, birbante assassino!... ppuh! pe la faccia vosta! (Via pel fondo.)

FELICE: Pe la faccia de mammeta! Chesta è na casa de pazze, io aggio sbagliato, avarraggio da j a lo piano de coppa.

TIMOTEO (di dentro): Dove sta, dove sta Felice, quella perla d’Oriente?

FELICE: lloco.

ALESSIO (uscendo per primo): Felice, figlio mio, sì venuto?

FELICE: Papà, mannaggia all’arma de lo diavolo! Vuje sapite che io non nce veco, e non me venite ascì ncontro.

ALESSIO: Agge pacienza figlio mio.

FELICE: Io m’aggio appiccecato co duje perzune, chi songo?

ALESSIO: Io saccio chi songo, tu ancora haje d’arrivà e già te sì appiccecato co duje perzune.

TIMOTEO: Eccolo ccà (uscendo con Angelarosa e Giuseppina:) Vasa la mano a D.a Angelarosa.

FELICE (scambiando Timoteo per Angelarosa): Vi bacio la signora.

TIMOTEO: Ah!

ALESSIO: (Tu che faje, chillo è Zieto! Eccola ccà D.a Angelarosa e sua figlia).

FELICE: Signora, signorina. (Scambiandole.)

ANGELAROSA: Io signora, mia figlia signorina.

FELICE: Vuje avite ditto a la signora che io soscherzoso faccio dei calamburrì.

TIMOTEO: Già, fa lo capotammurro.

ANGELAROSA: Sediamo.

ALESSIO: Ecco qua le sedie. (Prende le sedie e tutti seggono.)

TIMOTEO: Giuseppì, come ti sembra mio nipote?

GIUSEPPINA: Eh! (Comme è bello, me pare nu turzo de carcioffola.)

TIMOTEO: E tu Felì, comme trovi la mia figliastra?

FELICE: Ah! La trovo bella, un bel pezzo di figliola. (Io non la veco.) (Ad Alessio.)

ALESSIO: (Non importa).

FELICE: Bionda.

ALESSIO: Castagna.

FELICE: Già castagna.

TIMOTEO: Cioè un biondo che da a castagna...

FELICE: E nuce janche, castagne grosse de lo prevete, oh! Cicere e nemmiccole che cicere! (Dando la voce.)

ANGELAROSA: Avite data la voce de li castagne. (Ridendo.)

FELICE: Avete riso, avete riso?...

ALESSIO: Avete pasta minuta, avete pasta minuta.

TIMOTEO: Guarda come gli sta bene quel vezzo, lo neo.

FELICE: Già, come gli sta bene quel neo, lo tiene sopra al naso.

TIMOTEO: Sul mento.

FELICE: Già sul mento.

TIMOTEO: E come se stacchene belle chilli pelille ncoppa a lo neo.

FELICE: Come se stacchene belle chilli pelille ncoppa a lo neo. (Io non veco a essa, vedeva li pelille). Signora mia, io scherzo sempre.

ANGELAROSA: Bravo!

FELICE: Ma pecché non s’apre chella fenesta.

ANGELAROSA: Sta aperta.

FELICE: Ah, sta aperta? Che volete, quando uno viene dalla strada col sole, sembra di stare sempre all’oscuro.

ANGELAROSA: è giusto. Ora, veniamo a noi caro D. Felice, voi scuserete, se io sarò severa, ma trattandosi della felicità dell’unica figlia, io sono obbligata di mettere le convenienze da parte, e farò valere i miei diritti.

ALESSIO: Se capisce.

TIMOTEO: Se capisce.

FELICE: Si capisce.

GIUSEPPINA: (Come sobelle tutte e tre!).

ANGELAROSA: Alzatevi D. Felì.

FELICE: Eccomi qua. (Si alza.)

ANGELAROSA Piazzatevi così, col viso verso la luce, e non redite?... no, non fate il volto serio?... non ve curvate?... E me pare che tenite na mazza ncuorpo!

FELICE: (Comme m’aggio da mettere). (Si piazza regolarmente.)

ANGELAROSA: Così, fermo! Taglia media, figura svelta, piedi e mani regolari, naso giusto, volto ovale...

FELICE: (Ma che aggio da j a lo soldato?)

ANGELAROSA: Occhi, occhi. (Si fissa.)

FELICE: (Nfaccia all’uocchie vene lo mbruoglio).

ALESSIO: (Spaparanze lluocchie!), (Felice esegue.)

ANGELAROSA: Giuseppì, non te pare che tene lluocchie ncrespatielle?

GIUSEPPINA: Sì, sì, mammà.

FELICE: Ma che ncrespatielle, quella è grazia che io ci .

ANGELAROSA: D. Felì, fusseve miope?

FELICE: Sicuro.

ANGELAROSA: Sicuro! Ah, site miope? Allora...

FELICE: Nonsignore.

ANGELAROSA: Voi avete detto sicuro.

FELICE: Ho detto sicuro, perché intendeva dire: sicuro, chesto nce mancava a essere miope.

ANGELAROSA: Ah! Va bene. Ma noi abbiamo mezzo di sperimentarvi. Giuseppì, volimme sperimentà?

GIUSEPPINA: Come volite.

ANGELAROSA: D. Felì, stateve llà, non ve movite, vuje venite dalla parte mia. (Tutti eseguono.) D. Felì, quanta dite sono queste? (Mostra tre, Ales. tossisce.)

FELICE: Tre dita.

ANGELAROSA: Va bene.

FELICE (gridando): Tre dita.

TIMOTEO: Ha ntiso.

FELICE: (Aggio ncarrato).

ANGELAROSA: D. Felì, quanta dita sono queste? (Mostra uno. Alessio non si muove.)

FELICE: Uno dito... (Non si muove.)

ANGELAROSA: D. Felì, quanta dite sono queste? (Mostra 5 Alessio fa due starnuti.)

FELICE: Cinque dita!... (due starnute).

ANGELAROSA: Bravo, D. Felice. D. Felì m’avita data na nasata?

FELICE: E io ve l’ho detto, io scherzo sempre. (Chella da llà bascio vene a piglià pede ccà).

ANGELAROSA: Sediamo. (Felice siede sopra allo zio Timoteo.) Che avite fatto v’avite assettato nzino a Timoteo?

FELICE: Signò, se io resto ccà vuje avite voglia de ridere.

ANGELAROSA: Alla seconda prova.

ALESSIO: (Uh! e io sta prova non l’aveva preveduta!)

ANGELAROSA: Giuseppina il libro che...

GIUSEPPINA (lo prende sullo scrittoio): Eccolo ccà mammà. (Glielo .)

ALESSIO: Che volite ?

ANGELAROSA: Lo voglio leggere una delle poesie di Parzanese «La buona sera».

ALESSIO: (Uh! mamma mia!) Felì, la signora te leggere?

FELICE: (Stateve bene). (Si alza per andare.)

FELICE: Addò vaje?

FELICE: Vorrei bere.

TIMOTEO: Va bene, chiamammo a Marietta.

ALESSIO: Te leggere la poesia di Parzanese.

FELICE: (Addò, manco pe la fine de lo mese).

ALESSIO: La bonasera.

FELICE: (La bonasera! La saccio a mente, la saccio a mente).

ALESSIO: (Oh! chesta è na fortuna!).

TIMOTEO: Ma lascia j, chesto non l’haje fatto co nisciuno.

ANGELAROSA: Statte zitto, lasseme a me.

FELICE (prende il libro e legge): «Buonasera».

TIMOTEO: Felice sera.

FELICE: (Vedite se chisto è momento de piazzà, ccà stammo co la morte ncoppa a la noce de lo cuollo). (Legge:) «Buonasera».

TIMOTEO: Santa sera.

FELICE: (A la faccia de soreta! zio e buono lo perdo de rispetto, io non saccio si me la ricordo e chillo pazzea).

ALESSIO: Timò, me pare na criatura.

TIMOTEO: Pare brutto che uno saluta, e n’auto non risponne.

FELICE: Che ncentra, chillo è lo titolo de la poesia.

TIMOTEO: Io po’ che ne saccio, io faccio lo miedeco.

FELICE: E già, chillo fa lo fravecatore. (Legge:)

«Buonasera! di ora in ora

La giornata se ne va’

Verrà l’altra e l’altra ancora

Come questa se ne andrà».

Guardate, io posso leggere a qualunque distanza. (Allontana di molto illibro dagli occhi.)

«Dopo un giorno faticoso

Viene l’ora del riposo

Chi fatica, aspetta e spera

Buonasera».

TIMOTEO: Felicissima santa notte.

FELICE: (Dalle ). (Legge:)

«Tutto passa, gioie e guai

Odii e amori, se ne vanno.

Per noi poven cecati...».

ANGELAROSA: Uh! Avete detto cecati... (Lazzi.)

FELICE: «Per noi poveri operai

«Tanti stenti passeranno

Verrà l’ora benedetta

L’aspettiam come si aspetta

Un mattin di primavera.

Buonasera!».

ANGELAROSA: Bravissimo! (Si alzano.) (Felice posa il libro sulpetto di D.a Angelarosa.) (Lazzi.)

FELICE: Lo libro addò l’aggio posato?

ALESSIO: Niente, l’haje posato ncoppa a la scanzia.

ANGELAROSA: Dunque l’esame è riuscito.

ALESSIO: Si deve fare nient’altro?

ANGELAROSA: Nonsignone.

ALESSIO: Allora pozzo j a piglià lo braccialetto e li sciucquaglie ( vaco da D.a Ersilia). Felì, statte attiento. Permettete. (Timò, dance n’uocchio). (Via.)

ANGELAROSA Giuseppina, D. Felice è riuscito all’esame, e sarà vostro sposo.

GIUSEPPINA: (E staje fresca tu e isso).

ANGELAROSA: Da questo momento, potete considerarvi come uno della famiglia, dopo pranzo usciremo per la passeggiata, e voi darete il braccio alla vostra promessa. A proposito, e la modista che avimmo lasciata dinto a sta cammera, addò sta? (Chiamando.) Mariella?

 


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