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NICOLA (d.d. gridando): Ma sissignore, ve dico ch’è partito mò proprio.
ENRICO (d.d. parlando in francese): Ne pà, ne pà. Questo non poterlo credere, impossibile che sia partito, voi mentire per Dio, perché volete dire questa bugia. Io non credo... io aspettare qua fino stasera.
ACHILLE: Vedete che altra combinazione.
FELICE: Io aggio fatto dicere ch’ero partito, ma chillo nun s’ha creduto.
NICOLA (fuori): Signò, chillo lo francese nun se ne vò j, ha ditto che nun è overo che site partito.
FELICE: E che me lo viene a dicere a ffà? D. Achì, parlatece vuje!
ACHILLE: A me? E tu si pazzo! Bastantamente chello che aggio passato pe causa toja. Chillo sente che nun pò avè a Ninetta, e se la piglia cu me. (Soggetto.)
FELICE: Oh, ma alla fine stu francese fosse nu lione, mò nce parle io! D. Achi, Nicò, mettiteve vicino a la porta e nun ve muvite, stammece attiento a tutte li movimenti che fa!
ACHILLE: Nun te ne incarricà, si se move le chiavo sta statuetta ncapo. (Da un mobile in fondo prende una statuetta di bronzo.)
FELICE (prende un candeliere): E io l’adderizzo lo canneliere ncapo. (Indica la fronte.)
NICOLA (prendendo il bastone che ha portato Michele): Io cu na mazzata de chesta lo sciacco.
FELICE: Fallo trasì. (Nicola via, p.t.:) Nun facimmo a vedé che ce mettimmo paura.
FELICE: Isso have tuorto. Quanno vuleva turnà pecché m’ha scritto chella lettera?
NICOLA: Favorite. (Va a piazzarsi vicino a Felice col bastone nascosto dietro.)
ENRICO: Perché dire a me che voi essere partito? Perché questa bugia?
FELICE: È stato un ordine che avevo dato per tutti. Certamente io sto in casa mia, e sono libero di non ricevere nessuno.
ACHILLE: Credo che sia cosa regolare!
ENRICO: Chi essere quella signora?
ACHILLE: (Quella signora, e che m’ha pigliato pe femmena?).
FELICE: Il mio amico, Achille Scorza, maestro di scherma.
ENRICO: Scorza? Ah, molto piacere. E signora Ninetta non essere qui?
ACHILLE: Sì, è andata a messa.
ENRICO: Voi ricevuto mia lettera?
FELICE: Sissignore, e sono addoloratissimo dell’accaduto.
ENRICO: Ah, tutto aggiustato. Io venuto per dirvi che in Francia quando una persona manca sua parola, manca obbligo stabilito, paga penale.
FELICE: Ah, sì, e anche in Italia. (È meglio che pagammo na cosa.)
ENRICO: Molto bene. Sei mila franchi credete sia somma regolare?
FELICE: Sei mila franchi? Ma scusate...
FELICE: Ma...
ENRICO: Dieci mila?
ACHILLE: (Accetta si no chisto arriva a 20 mila!).
FELICE: Va bene, accetto per 6 mila.
ENRICO: Per 6 mila? Oh, voi essere molto gentile, molto galantuomo. Mersì! (Dal portafogli prende una carta e scrive, poi.) Vuolà, uno chèque a voi girato.
ENRICO: Sì, sulla Banca Commerciale. Io mancato parola data e pagare voi. (Dà la carta a Felice.) L’inglese Boiveld che io ferito al fronte, non ho fatto querela, né pretendere danni, perché io sposare sua figlia, io allora subito accettare.
FELICE: Ho capito, e vi siete ammogliato?
ACHILLE: Eh, scusate, 6 mila lire di penale so’ poche.
FELICE: E si capisce, caro signore.
ENRICO: Ma voi avete accettato.
FELICE: E già, ho accettato. (Pe bia vosta, aggio perzo 4 mila lire a mano a mano!) Non ne parliamo più (Chiamando:) Ninè, Ninè, viene ccà siente na cosa curiosa.