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ATTO PRIMO
SCENA DECIMA Clementina e detti, poi Ciccillo, indi Eugenio e Luigi, poi Ciccillo ed Errico.
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Clementina e detti, poi Ciccillo, indi Eugenio e Luigi, poi Ciccillo ed Errico.
CLEMENTINA: Che vuò Felì?
CLEMENTINA: Uh, e che fa?
CLEMENTINA: Ah, la poltrona che me diciste?... (Fa per toccarlo.)
FELICE: Eh. (Gridando.) Nun lo tuccà, si no t’adduorme tu pure.
CLEMENTINA: E chi lo tocca.
FELICE: Llà nce sta la spiegazione, tu non l’hai letta? Chiunque tocca questo individuo s’addormenta, fossero pure 10 persone. Basta io aggia j a Caserta per un’operazione, starraggio llà fino a dimane, va me fà le valigie.
CLEMENTINA: Subito. E sceta a chillo pover’ommo... (Via a sinistra.)
FELICE: Pascà?... Pascà... Eh, mò fa notte... (Tocca il bottone. Pasquale si sveglia.)
FELICE: Hai dormito magnificamente.
PASQUALE (alzandosi): E pecché m’haje scetato, io me stevo sunnanno che ghievo ncarrozza cu na bella figliola.
CICCILLO (con 2 biglietti da visita): Signurì, fore nce stanno duje signure che ve vonno parlà, chisti so’ li bigliette de visita lloro.
FELICE (legge): E io nun li conosco? Bah... fallo trasì.
CICCILLO: Favorite signori. (Introduce e via.)
PASQUALE: Felì, io me ne vaco, ce vedimmo, dimane. (Statte attiento... Giulietta t’avessa da fà cchiù guaje...).
FELICE: (Mannaggia l’arma de la mamma!).
PASQUALE: Signori. (I 2 s’inchinano, via.)
FELICE: Con chi ho l’onore di parlare?
EUGENIO: Eugenio Roselli, architetto...
LUIGI: Cav. Luigi Cotognetti, avvocato.
EUGENIO: Grazie. (Siede, Luigi siede sulla poltrona estatica.) Noi veniamo per il fatto avvenuto stanotte sulla trattoria a Posillipo.
FELICE: E che fatto?... Io non me ricordo.
LUIGI (nervoso, parla forte): È inutile che negate, perché ci sono cento testimoni! Voi stavate ubbriaco... ma non al punto di dimenticare i fatti!
FELICE: Un po’ di calma. Discutiamo.
LUIGI: Ma che discutere. Io non discuto, io vengo a fare il mio dovere! Non ammetto chiacchiere! Scegliete due amici, e fateci mettere d’accordo.
FELICE: (Ma perché grida stu signore?).
EUGENIO: (È un po’ nervoso, capite?).
FELICE (a Luigi): Avete detto, due amici? Ma dunque si tratta di un duello?
FELICE: Ma scusate, con chi mi debbo battere?
EUGENIO: Ecco qua, signore, voi stanotte avete detto delle parole ingiuriose ad un nostro amico...
LUIGI: Cioè, vostro, perché io non lo cunosco, io stavo là cenando, sono stato presente agl’insulti, e il vostro amico mi ha pregato di fargli da secondo. Ho assistito a 7 duelli, tutti consumati, io non ammetto accomodamenti, non posso fare una cattiva figura, ho accettato il mandato, e il signore si deve battere, e si batterà!
EUGENIO: Cavaliè, vi prego, siate più calmo.
FELICE: Ma scusate, che ho detto a st’amico vostro?
LUIGI: Un sacco di villanie, e in ultimo gli avete detto: mò te mengo na butteglia nfaccia. Questo è stato un grande insulto.
FELICE: Cavaliè calmateve. Voi dovete sapere, signori, che io stanotte aggio passato nu sacco de guaje, e vi posso assicurare che questo fatto dell’amico vostro io non me lo ricordo proprio, mi ricordo che ho avuto una quistione con un tale, ma non saprei dirvi che è questo tale, e perché nce simme appiccecate.
LUIGI: Queste sono scuse che io non posso ammettere!
EUGENIO: L’amico mio è irritatissimo... voi vi siete troppo spinto.
FELICE: Ma non sono stato io, è stato il vino.
LUIGI: Ma che vino, e vino! (Gridando.) Anche nel vino bisogna essere educato! La prima cosa per l’uomo, è l’educazione. Voi ve ne venite, nfaccia a chillo: mò te mengo na butteglia nfaccia. Questo il galantuomo non lo dice, non lo pensa, non lo fa. (Altre parole a soggetto. Felice tocca il bottone.)
FELICE: Ah! Me l’aggio luvato da tuorno!
EUGENIO: Oh, questa sì ch’è graziosa!
FELICE: Eh, chillo non ce faceva dicere na parola... Prima di tutto, fatemi sapere chi è quest’amico vostro.
EUGENIO: Il signor Errico Delfino.
FELICE: Errico Delfino? È un giovine che gli è stato proposto un matrimonio?
EUGENIO: Sì, un matrimonio d’interesse, no di passione.
FELICE: Perfettamente, e la sposa è mia cugina, vi pare, noi dobbiamo essere parenti... e pecché s’è appiccecato cu me stanotte?
EUGENIO: Ecco qua. Lui pure ha confessato di aver bevuto un po’ troppo.
FELICE: Steva pur’isso mbriaco?
EUGENIO: Ubbriaco no, un po’ allegro. Vi ha visto insieme ad una donna che è stata la sua amante... si è indisposto (voi ve ne siete accorto, egli si è infuriato, voi più di lui), e così è nata la quistione.
FELICE: Vi posso assicurare, che non ricordo niente.
CICCILLO (annunziando): Il signor Errico Delfino. (Via.)
FELICE: Ah, bravo, a tempo a tempo, avanti.
ERRICO: Il Dottor Felice Sciosciammocca?
ERRICO: Nipote di D. Cesare Sciosciammocca?
ERRICO: Scusate allora, conosco tanto vostro zio, se avessi potuto supporre... capirete, vedendovi unito con una donna, che un giorno mi apparteneva, e avendo bevuto un pochino...
FELICE: Capisco, capisco, non se ne parlà più. Voi dovete sposare una mia cugina?
ERRICO: Forse. (A Eugenio:) Grazie, amico mio. Chi è quel signore?
EUGENIO: L’avvocato Cotognetti, l’altro tuo secondo.
ERRICO: Ah, già.
FELICE: (Vì comme steva chisto, che non se ricorda manco lo secondo sujo!).
ERRICO: E perché sta così?
FELICE: L’aggio addormuto pecché non ce faceva parlà.
FELICE: È insensibile! Vedete, io ne faccio quello che voglio. (Strappa i capelli a Luigi, lazzi.) Mò lo sveglio! (Tocca il bottone. Luigi si sveglia e si gratta la testa.) Mò se lo sente.
LUIGI: Chi è?... Dove sto?... Ah! Dunque si fa questo duello?
FELICE: (Mò l’assetto n’ata vota!).
ERRICO: Sig. Avvocato, vi ringrazio, tutto è chiarito, tutto è finito.
LUIGI: Il duello non si fa più? Tanto piacere! Ma vi prego un’altra volta di non incomodare la gente, queste sono figure che io non l’ho fatte mai, capite mai! (Via a destra.)
FELICE: (No, me aggio pigliato meza lira de capille!). Insomma chillo me voleva fà accidere afforza! (I due ridono.)
ERRICO: Basta, perdonate se vi lascio, ho tante cose da sbrigare. Arrivederci dunque.
FELICE: A rivederci. (Errico via.)
EUGENIO: A rivederci, signore. (Dà la mano.)
FELICE: A rivederci, signor Rosina.
FELICE: Ah! Già Roselli. (Eugenio via.) Vuje vedite chello cancaro de vino che m’ha fatto combinà stanotte! Meno male ch’è stato chisto, si era n’ato me puteva nquità buono.