Eduardo Scarpetta
Li nipute de lu sinneco

ATTO SECONDO

SCENA SECONDA

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SCENA SECONDA

 

CICCIO (entra, in veste da camera, seguito da Silvia): la verità, Feliciè: te siente meglio?

SILVIA: Oh, meglio assai! è stato un pranzo proprio squisito.

ALFONSO (che è entrato dietro agli altri due): Avete un cuoco magnifico, signor sindaco.

CICCIO: , assettammoce nu poco.

SILVIA: Io, vi dico la verità, ho mangiato con grande piacere... prima perché avevo una fame diabolica e poi per la gioia di avere abbracciato uno zio così buono e così affezionato. Quando vi ho veduto, credetemi, ho avuto una tale emozione che non sono scoppiato a piangere solo perché mi vergognavo.

CICCIO: Veramente?

SILVIA: In parola d’onore! Che volete, sono stato tanto tempo solo a Milano, senza un parente, senza un amico affezionato che potesse, in qualche momento, lenire le mie pene, calmare i miei dolori...

CICCIO: I tuoi dolori.,, e che dolori?

SILVIA: Che dolori? Oh, zio, e che domanda mi fate? Perdetti mia madre!

CICCIO (ad Alfonso): La nzalatara!

SILVIA: Poi perdetti mio padre, il povero padre mio... ed eccomi solo nel mondo, orfano, senza un aiuto, senza un conforto... Quanti e quanti giorni sono stato digiuno e ho sofferto con pazienza, perché dicevo: «Verrà il momento che il fratello di mio padre si ricorderà del suo sventurato nipote(Piange.)

CICCIO (piangendo): E mi sono ricordato, mi sono ricordato!

CONCETTELLA (piangendo) E se capisce che s’aveva ricordà!

CICCIO: Statte zitta tu! Tu non c’entri!

ALFONSO: State al vostro posto, voi!

CICCIO: Io non ti permetto sta confidenza.

CONCETTELLA: Signò, io me sento na cosa dinto a lo stommaco, io debbo sfogare!

CICCIO: E a sfogare a la via de fore! Nipote mio, leviamo questi discorsi da mezzo: sono finite le tue pene... te faccio la vita de lo signore! , fumammece na sigaretta. (Tira fuori un portasigarette, una sigaretta ad Alfonso, una a Silvia, ne prende una per sé; rivolto ad Alfonso.) Avete fiammiferi?

ALFONSO: No, non ne tengo.

CICCIO: Vuje nun tenite mai niente! Concettella, i fiammiferi.

CONCETTELLA: E pecché?

CICCIO: Guè, pecché? Pecché vulimmo appiccià!

CONCETTELLA: Ah, scusate, steva pensando a n’auta cosa. (Prende la scatola di cerini sulla mensola e la porge a Silvia.) Eccovi servito.

CICCIO: Io te l’ cercata io! (Toglie di mano a Silvia la scatola e accendono le sigarette.) Parliamo un poco di Milano.

SILVIA (a parte): Oh, viene lo mbruoglio!

CICCIO: Mi dicono che è una gran bella città.

ALFONSO: Oh, bellissima! Io ci sono stato due volte.

CICCIO: Feliciè, tu dove abitavi?

SILVIA: Io abitavo... Oh, tenevo una bella casa, ma quando era vivo papà abitavamo a quella strada così bella... non mi ricordo come si chiamava... quella bella strada lunga lunga... cioè non tanto lunga, così così... quella strada che ci sono quelle belle botteghe... botteghe da qua, botteghe da ...

ALFONSO (a Silvia): Al Corso?

SILVIA: Già al Corso! Ah, stavamo bene.

ALFONSO: Vedevate il Duomo?

SILVIA: Sì, lo Duomo steva llà bascio.

CICCIO: Dice che il Duomo è bello assaje?

SILVIA: Ih, così, così, non c’è male.

ALFONSO: Voi che dite, Don Felì, non c’è male? Quella è un’opera sorprendente, un’opera colossale.

SILVIA: Sì, questo non lo nego, ma a me non piace.

ALFONSO: Non vi piace?

CICCIO: Non gli piace, che volete, questione di gusti. A me, per esempio, la frittata con le cipolle non mi piace. (A Silvia:) E la galleria, come ti pare?

SILVIA: La galleria? (Ad Alfonso:) Scusate, quale sarebbe la galleria?

ALFONSO: Come, quale sarebbe? La galleria di Milano, dove c’è il caffè Biffi.

SILVIA: Ah, dove sta quel caffettuccio!

ALFONSO: Eh, caffettuccio! Quello è un grande caffè a quattro entrate!

SILVIA: Ah, sissignore. Ma che volete, ho studiato sempre, non teneva mai un’ora di libertà.

ALFONSO: Non avete visto nemmeno la Scala?

SILVIA: Oh, di scale sì, n’aggio visto assaje!

ALFONSO: Io dico la Scala, il Teatro Massimo!

SILVIA: E no, il Teatro di Don Massimo nun l’aggio visto.

ALFONSO (a parte): Io volarria sapé che c’è stato a , a Milano!

SILVIA: Ma caro zio, mi avete detto che volevate passeggiare in giardino?

CICCIO: Sì, te voglio vedé che bella cosa, che belle piante... In mezzo ci ho fatto una capanna cinese... Te voglio consolà. Quella è tutta roba tua. Alfonsì; jate che io vengo. Vaco a scrivere na lettera a lo Notaro, pe dicere che venesse subeto co la carta bollata. E appena vene, te faccio donazione di tutto quello che posseggo.

SILVIA: Zio mio io avrei bisogno di parlarvi… vi dovrei dire una cosa che...

CICCIO: Forse non deve sentire nessuno?

SILVIA: Perfettamente.

CICCIO: Segretà, scusate: andate in giardino, mio nipote adesso verrà.

ALFONSO: Vado subito. (Via.)

CICCIO (a Concettella): Vattenne fore, tu.

CONCETTELLA: Io pure me n’aggia j?

CICCIO: Eh, tu pure.

CONCETTELLA: Va bene. ( un sospiro guardando Silvia.) Ah! (Via.)

SILVIA (parte): Voi vedete chella che da me!

CICCIO: Dunche, Feliciè, che m’haje da dicere?

SILVIA: Primma di tutto, volevo ringraziarvi di tutto quello che avete fatto per me, e che farete per l’avvenire. Voi dite che mi volete fare donazione di tutta la vostra roba... e credete con ciò di avermi fatto felice?

CICCIO: E che altro ti debbo dare? Quanno te dongo tutto cose...

SILVIA: Ed è appunto questo che io non voglio! Invece di tutte le vostre ricchezze, io ne desidero la metà.

CICCIO: La mmità? E io l’altra mmità che ne faccio? A chi la dongo?

SILVIA: La darete a Silvia, a quella povera sorella mia...

CICCIO: No, questo no! Non me ne parlare nemmeno, a essa non le voglio manco nu centesimo.

SILVIA: Ma perché?

CICCIO: Pecché m’hanno scritto sempe che è stata insopportabile, disubbidiente, capricciosa... Insomma, Felì, se io aggio voluto riconoscere a te che sì ommo, va bene, ma essa non posso, non la voglio riconoscere. (A parte.) Lui non lo sa che la mamma era na nzalatara e che mio fratello non s’è mai unito co lei in vincolo matrimoniale!

SILVIA: Dunque, assolutamente non le volete lasciare niente?

CICCIO: Manco nu centesimo!

SILVIA: Allora, caro zio, scusatemi, io rinunzio a tutto ciò che voi volete offrirmi. L’avrei accettato con piacere e sarei stato più contento se a mia sorella, al sangue mio, non le fosse mancato il pane. Fino a che stava chiusa nell’Educandato, va bene, non era tanto da compiangersi, ma adesso che è fuggita, e non sappiamo per quale ragione, adesso che la poveretta si vede sola, senza un appoggio, senza un aiuto, volete che io, suo fratello, la lasci in mezzo a una strada, senza averne compassione? Oh no, zio mio, non posso farlo, non mi sento la forza di abbandonare quella povera giovane. Domani chi sa che cosa ne potrà avvenire di lei... Potrà rovinarsi, potrà perdersi, e allora che cosa si dirà di voi, che si dirà di me! Oh che bravo zio, che buon fratello sono stati loro che hanno messo alla disperazione quella sventurata fanciulla. Oh, no, zio mio, date le vostre ricchezze a chi volete, a chi meglio vi piacerà, io mi contento di essere povero, povero come lei! (Via.)

CICCIO (piangendo): Che cuore nobile! Che sentimenti nobili! Teh nu vaso! M’ha fatto venì nu nuozzolo nganna... Chillo se contenta de la mmità, abbasta ca l’auta mmità a la sora... Scommetto che si era la sorella, s’avarría pigliato tutte cose essa!

 


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