Eduardo Scarpetta
Li nipute de lu sinneco

ATTO SECONDO

SCENA QUARTA

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SCENA QUARTA

 

SILVIA (entra): Ebbene, zio, che cos’è, non venite in giardino?

CICCIO: Si, appunto venivo da te. T’aggia dicere na cosa, che sono sicuro ti farà piacere.

SILVIA: Che cosa?

CICCIO (con precauzione) : Indovina dinta a chella cammera chi ce sta?

SILVIA: Chi ce sta?

CICCIO: Ce sta Silvia, tua sorella.

SILVIA: Mia sorella? Possibile?

CICCIO: Sì, è venuta poco prima chiagnenno comme a che... te dico che m’ha fatto compassione... S’è menata a li piede mieje col domandarmi perdono di quello che aveva fatto. sta , dinto a chella cammera. Ha ditto che se n’è scappata dall’Educandato pecché la trattavano male, le facevano fare i lavori pesanti e la davano a mangià ceci, aringhe e rape!

SILVIA: Ah! perciò se n’è fuggita? (A parte.) E chesta chi cancaro sarrà?

CICCIO: sta aspettanno che io la chiammo pecché te vedé. Ma si vide quanto te bene! Io, pe vedé comme la pensava, aggio fatto avvedé che già ti avevo fatto donazione di tutta la mia roba. Me credevo che essa n’aveva dispiacere. Niente affatto! Ha ditto: «Bravissimo, avete fatto bene a lasciare tutto a Felice

SILVIA: Ah, questo vi ha detto?

CICCIO: Chesto, sì. Me pare che sia na bell’azione. Aspetta, la chiammo. Tu vedé ca, come fratello, le faje nu rimprovero... Io pure, capisce, me somantenuto sulla mia. Po’ essere che se n’è scappata per un’altra ragione e allora ci troviamo che non ci siamo troppo sbilanciati co lei. (Va a destra, porta della stanza dov’è Felice.)

SILVIA: Va bene. (A parte.) Io aggia vedé chi è sta figliola che me combina questo scherzo.

CICCIO: A voi, venite avanti. (Entra Felice.) Abbracciate vostro fratello.

FELICE: Ah fratello, fratello mio! (Abbraccia Silvia.) Ma che cos’è, tu mi accogli freddamente, tu non mi dici niente... Ma che ti ho fatto di male! Perché non mi stringi, perché non mi baci?

SILVIA (a parte): Ma chesta chi è?

FELICE: Come ti sei fatto bello! Quando ci siamo lasciati eravamo piccolini piccolini, tu ci avevi ancora la pettola, ti ricordi? (A Ciccio:) Ci aveva la pettola! Oh, adesso sei un uomo... E a me, a me come mi trovi?

SILVIA: Oh, anche tu stai bene.

FELICE: Ma che ... tu stai serio, freddo... forse stai in collera con me perché sono fuggita dall’educandato? Ah, lo , una buona figliola, una giovane onesta, questo non lo deve fare... E poi, la nipote del sindaco... Già tutti l’avranno saputo, chi sa che cosa avranno pensato di questa fuga! E che figura farà questo povero infelice, nessuno lo guarderà più in faccia... (A Ciccio:) Non è vero?

CICCIO: Si capisce!

SILVIA: Ma niente affatto, scusate! Perché quando si saprà che la nipote appena è fuggita dal collegio è andata dallo zio e questi l’ha perdonata, nessuno potrà dire niente.

FELICE: Ma bisogna vedere se lo zio la perdona!

SILVIA: Oh, la perdonerà.

FELICE: Oh, questo lo vedremo!

CICCIO: Ma tu vuò essere perdonata o no?

FELICE: Ma si... tanto da voi quanto dal mio caro fratello.

CICCIO (a Silvia): Lei se n’è scappata perché la trattavano male, le facevano tutti i servizi pesanti e poi la facevano morì de fame. Se questa è la verità, noi vi perdoniamo. Comme te pare, Feliciè?

SILVIA: Perfettamente.

CICCIO: Vostro fratello penserà per la vostra dote e per il vostro avvenire. Egli voleva dividere con voi l’eredità, ed io così stavo facendo; però, riflettendo a quello che voi giustamente avete detto, ho deciso di lasciare tutto a Felice, di modo che, badate, adesso dipendete da lui.

FELICE: Si capisce, il fratello penserà per la sorella.

SILVIA: Ma no, zio mio, sarà meglio metà a me e metà a lei.

FELICE: No, io non voglio niente, date tutto a Felice.

SILVIA: Ma io tutto non lo voglio... voglio la metà.

FELICE: Ma che metà, o tutto o niente.

SILVIA: Allora date tutto a lei.

FELICE: Oh, guardate, ma io tutto non lo voglio!

SILVIA: Ma perché non vuoi accettare la metà?

FELICE: Perché non voglio niente.

SILVIA: E io nemmeno!

CICCIO: Oh, sta robba mia a chi la ddongo? Venita qua, si potrebbe fare in questo modo...

 


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