Eduardo Scarpetta
Li nipute de lu sinneco

ATTO TERZO

SCENA TERZA

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SCENA TERZA

 

SAVERIO (di dentro): è permesso?

CICCIO: Chi è? Avanti.

SALVATORE (con biglietto da visita): Illustrissimo, abbascio a lo palazzo s’è fermata na carrozza con parecchia gente dentro. Na signora m’ha dato sto biglietto de visita dicennome che se permettete v’avarria na visita. (Consegna il biglietto.)

CICCIO (leggendo): «Angiola Maria Tropea, Direttrice dell’Educandato in Castellammare». La signora Tropea! (Ad Achille:) Vostra sorella.

ACHILLE (a parte): E chesta ce mancava!

CICCIO: Justo iusto! Io ci volevo parlare... giacché è venuta, falla saglì, e la fai aspettare un momento qua.

SALVATORE: Subito. (Via.)

ACHILLE: Signor sindaco, io vi chieggo un gran favore: siccome sto contrastata con mia sorella da tanto tempo, così non mi vorrei fare vedere...

FELICE: State contrastata con vostra sorella? Sarebbe una bella occasione per riappaciarvi.

ACHILLE: No, no, non me voglio riappacià. (A parte) le chiavo lo ventaglio nfaccia!

CICCIO: E come si fa?

ACHILLE: Me ne vado, ci vedremo un altro giorno. (Fa per andarsene.)

CICCIO: Ma scusate, quella v’incontra per le scale. Sapete che volete fare? Entrate in questa camera e ve ne andrete dopo di lei.

ACHILLE: Ah, sicuro, grazie. (A parte.) Afforza aggia stà ccà. (A Ciccio.) Ma non dite che io sono venuta...

CICCIO: Non dubitate. (Achille entra.)

FELICE: Zizì; io nemmeno me voglio vedé dalla Direttrice...

CICCIO: Va bene, tu aspetti in terrazza. Vieni. (Via a sinistra, seguito da Felice.)

SALVATORE (entra dal fondo): Favorite, favorite, da questa parte. (Entra Angiola infuriata, facendosi vento col ventaglio; la seguono Virginia, Adelina, Leopoldina e Giuseppina, vestite da educande tutte uguali, con paglia; in ultimo entra Procopio anche lui infuriato e segue tutti i movimenti di Angiola; porta un cassettino con bottigline di odori e un soffietto; in tasca ha un biscotto nero.)

ANGIOLA: Grazie infinite! (Con lettera e raffioletti.)

PROCOPIO: Grazie infinite!

SALVATORE: Il signor sindaco ha detto che aspettate un momento qua.

ANGIOLA: Va bene, aspetteremo. Noi non daremo tanto fastidio al signor sindaco... è quistione di chiarire dei fatti, è quistione di amor proprio! (Passeggia.)

PROCOPIO: Perfettamente: è quistione di amor proprio! (Passeggia.)

ANGIOLA: Statte zitto, tu.

PROCOPIO: Va bene.

SALVATORE (mette le sedie dietro alle quattro educande): Permettete? Vui ve putite pure assettà.

: No, grazie, stiamo all’impiedi. (Alle quattro:) Voi potete accomodarvi. (Le quattro seggono tutte insieme con un sol movimento, e restano come statue.)

SALVATORE (a parte): Uh, quanto sobelle cheste! (Ride e via.)

PROCOPIO: Signò, voi vi dovete fare sentire, quello ha detto parole brutte assaje, ha detto parole che manco a na serva se mannarrìano a !

ANGIOLA: Ma m’ha chiamata proprio direttrice dei suoi stivali?

PROCOPIO: Sissignore. Eh, solo chesto... Tutto chello che v’aggio ditto.

ANGIOLA: Va bene. Vedremo se sono direttrice dei suoi stivali! Mi sento un tremito per tutte le carni... Mi gira un poco la testa... dammi il liquore anodino.

PROCOPIO (prende una bottiglia e la ): Eccovi servita. (La donna odora e la restituisce.) Un poco di vento. (Esegue.)

ANGIOLA: Sono cose che fanno dispiacere, credimi... Procopio, io vorrei piangere.

PROCOPIO: Ma si capisce, sono parole che offendono assai, e specialmente una donna come voi che tiene venti anni di servizio!

ANGIOLA: E in vent’anni, quando mai mi è successo una cosa simile? Dire, niente di meno che io faccio mangiare alle ragazze fagioli, ceci, aringhe e rape... Noi non sappiamo che cosa sono le rape.

PROCOPIO: No, io lo saccio.

ANGIOLA: Tu che c’entri. Ragazze, ditelo sul vostro onore: avete mai mangiato voi di questi cibi?

LE QUATTRO: Oh, mai, Mai! Mai!

ANGIOLA: E quali sono i frutti che avete sempre?

LEOPOLDINA: Mele...

ADELINA: Pere...

VIRGINIA: Aranci...

GIUSEPPINA (forte): Ceràse...

PROCOPIO (a parte): Prune pappagone a no soldo! simme arrivate abbascio a lo mercato, !

ANGIOLA: E poi ha avuto il coraggio di diere allo zio che io le facevo tirare l’acqua, le facevo pulire i pavimenti... io! Ma se l’appura il governatore, io come farò? Va bene che mi conosce, che sa io come la penso... ma pure se non vuole credere tutto, qualche cosa crederà, e io che figura ci faccio?

PROCOPIO: Eh, signò, me scurdavo na cosa: ha detto che la biancheria ai lettini la cambiate ogni mese e a me ogne anno!

ANGIOLA: Ogni mese! Oh, ma questo è troppo, questi sono insulti positivi! E tu non l’hai risposto niente?

PROCOPIO: Che aveva rispondere? Quello n’ato ppoco me scassava na seggia ncapo!

ANGIOLA: Benissimo!

PROCOPIO: No, malissimo!

ANGIOLA: Vedremo se questo signor sindaco ripete ancora quello che ha detto... Mi sento una rabbia che non si può credere, vorrei sfogare come dico io... Guardate come sto tremando... Procopio, dammi l’acqua di Melissa.

PROCOPIO Subito. (Esegue.) Nu poco de vento sempe è buono. (Esegue.)

ANGIOLA: Io non sono abituata a queste emozioni, ho un cuore così sensibile che ogni piccola cosa mi fa impressione. Queste calunnie a me? A me che voglio bene a quelle ragazze come fossero mie figlie? E quando è venuto qualche loro parente con l’intenzione di ritirarsene qualcheduna, quella giornata io ho pianto, e che cosa gli ho detto sempre? Ditelo voi stesse.

LEOPOLDINA: Non me la togliete...

ADELINA: Non ve la prendete...

VIRGINIA: Non ve la portate...

GIUSEPPINA (forte): Lasciatela stà!

PROCOPIO (a parte): Datele nfaccia!

ANGIOLA: E adesso mi debbo sentire queste infamie! Fortunatamente si è trovato questo biglietto nel cassettino della signorina sua nipote e con questo biglietto l’illustrissimo signor sindaco saprà la vera ragione perché la tortorella è volata via!

PROCOPIO: Zitto, signò: eccolo qua!

 


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