Eduardo Scarpetta
Li nipute de lu sinneco

ATTO TERZO

SCENA QUARTA

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SCENA QUARTA

 

CICCIO (entra, e le quattro ragazze si alzano): State comode... Accomodatevi.,. Assettateve! (A parte.) sosorde? (A un cenno di Angiola le quattro seggono.) Ah, l’aveva dicere essa! (Ripetere il cenno di Angiola; ad Angiola:) Signora, vi prego, accomodatevi. (Procopio le sedie; lazzi; lui siede in mezzo.) Rispettabilissima signora, io avevo stabilito di venire domani da lei, e così avere una spiegazione del modo come è stata trattata Silvia mia nipote. Fortunatamente è venuta lei da me...

ANGIOLA: E con la stessa sua intenzione, cioè per farmi spiegare con quale ardire lei si permette di dire a Procopio, qui presente, che io sono la Direttrice dei suoi stivali!

CICCIO (alzandosi): Perché così è, Direttrì! Senza che vi vestite di carattere... Ardire e non ardire... Io tutto quello che ho detto, ho detto bene.

ANGIOLA (alzandosi): Avete detto male, signor sindaco, e vi prego di non gridare con me, perché io non sono avvezza ad essere trattata in questo modo... Ricordatevi che sono una donna e sono una signora! (Siede abbattuta.)

PROCOPIO: Signò, signò!

ANGIOLA: Dammi l’aceto aromatico.

PROCOPIO: Subito. (Esegue.) Volete nu poco de vento?

ANGIOLA: No!

PROCOPIO: Sempe buono. (Esegue.)

CICCIO: Chella se ne vene, come lei si permette? Me permetto, sicuro!

ANGIOLA: è la prima volta in vita mia che mi succede questo... Quando mai...

PROCOPIO: Ma voi potete ragionare senza alterarvi. Sindaco, scusate, quella è sensibile, subito si accende.

CICCIO (lazzo): La ragazza è venuta qua piangendo, col dirmi che era fuggita perché voi specialmente non la potevate pariare.

PROCOPIO: Uh, pariare!

CICCIO: Che d’è?

PROCOPIO: Niente.

CICCIO: Poi le faciveve tirà l’acqua, la faciveve scupà, e poi trovàveve la scusa che s’era portata male e la faciveve stà a pane e acqua.

ANGIOLA: Oh veramente? Questo facevo io? (Ridendo:) Ragazze, ma voi sentite? Ma come, non ridete? (Le quattro ridono forte ad un cenno di Angiola.) Basta! (Le quattro smettono di colpo.)

CICCIO (a parte): S’è rotta la corda... (A Angiola:) Poi, che , ogni giorno fagioli, ceci...

ANGIOLA: Basta! Signor Sindaco, vi prego di ascoltarmi un poco...

PROCOPIO: Volete odorare qualche cosa?

ANGIOLA: No! Io capisco che voi avete creduto, e giustamente dovevate credere, a tutto quello che vi ha detto vostra nipote. Ma chi vi dice che non ha potuto mentire? Io posso provarvi due cose, la prima che non è vero affatto che io tratto le ragazze come dice lei, e la seconda che è fuggita per una ragione assai più importante di quella che v’ha detto.

CICCIO: E quale sarebbe sta ragione?

ANGIOLA: Un momento. Leopoldina, venite qua. (Leopoldina si presenta.) Dite al signore come vi trovate con me, come vi tratto io?

LEOPOLDINA: Oh, bene, bene assai, non abbiamo di che lagnarci. Mi fa meraviglia come Silvietta ha potuto parlare male della nostra buona Direttrice.

ANGIOLA: Grazie. (Prende un raffioletto dalla borsa e lo a Leopoldina, che se lo mette in bocca e va a sedere mangiando.)

CICCIO (a parte): E incominciato il pasto delle belve!

ANGIOLA: Adelina, venite avanti. (Adelina si presenta.) Dite al signore come sono i vostri lettini.

ADELINA: Oh, bellissimi, morbidi, con biancheria sempre pulita e Silvietta diceva sempre: «Che buoni letti, che brava Direttrice!».

ANGIOLA: Grazie. ( un raffìoletto.)

CICCIO (a parte): La scigna ha avuto la porzione soja!

ANGIOLA: A voi, Virginia. (Virginia si presenta.) Dite al signore se è vero che io facevo tirare acqua e facevo spazzare alla vostra compagna Silvietta.

VIRGINIA: Oh, non è vero affatto! Noi non facciamo altro che studiare, ricamare e passeggiare. Non ci strapazza per niente la nostra buona Direttrice.

ANGIOLA: Grazie. (Altro raffioletto.) A voi Giuseppina. (Giuseppina si presenta.) Dite al Signore quante volte al giorno mangiate.

GIUSEPPINA: Quattro volte! La mattina alle sette: latte e caffè e pane. A mezzogiorno: carne e patate. Alle sei: riso, carne, uova e frutta. Alle dieci e mezza: insalata, salame, pane e mela.

PROCOPIO: A mezzanotte no prociutto accussì!

CICCIO: A mezzanotte te dongo nu provolone ncapo, si non te staje zitto!

GIUSEPPINA: Oh, non ci fa desiderare niente, la nostra buona Direttrice!

ANGIOLA: Basta grazie. (Per prendere altro raffioletto.)

PROCOPIO: Lasciate sta, signora: chesta me la governo io. (Caccia di tasca un biscotto nero e lo a Giuseppina che lo mette in bocca e mangiando va a sederei)

CICCIO: Va bene, tutto questo va bene... ma perché se n’è fuggita?

ANGIOLA (alzandosi): Procopio, conducete un momento in sala queste ragazze.

PROCOPIO: Subito.

CICCIO: Perché scusate?

ANGIOLA: Perché non possono sentire quello che adesso vi dirà.

CICCIO: Allora fatele trattenere qua, nella sala da pranzo.

PROCOPIO: Va bene, Eccellenza. Ragazze, alzatevi. Su, all’impiedi! (Le quattro si alzano in un solo movimento tutte insieme.) Fianco sinist, sinist! (Le quattro eseguono.) In avanti marsh! (Le quattro camminancì a passo di soldato ed escono.)

CICCIO (a parte): Ma che so’, soldate?

PROCOPIO: Io debbo restare?

ANGIOLA: Sicuro!

PROCOPIO: Voleva tené compagnia alle piccerelle.

ANGIOLA: Nonsignore, state qua.

PROCOPIO: Va bene.

CICCIO: Dunque?

ANGIOLA: Quest’oggi, nel cassettino di vostra nipote si è trovato questo biglietto. (Glielo .) Leggete.

CICCIO (legge): «Amata Silvia, cieco è l’amor mio per te... » (A Procopio:) Cieco...!

PROCOPIO (a parte): Tu e la Direttrice!

CICCIO: «Domani ti aspetto alle nove lungo la strada nuova. Non essere più crudele con me. Fuggi da questo esilio. Io ti condurrò da tuo zio, come tu desideri, e se egli non ti vuol riconoscere verrai a Napoli con me e sarai mia per sempre! Ti aspetto. Il tuo eterno A». (A Procopio:) Il tuo eterno A!

PROCOPIO (a parte): Ah! Capa de prò!

CICCIO: E chi è questo A?

PROCOPIO: La prima lettera dell’alfabeto.

ANGIOLA: Questo, poi, illustrissimo signor sindaco, non ve lo saprei dire. Siete convinto adesso perché è fuggita la ragazza, e perché vi ha detto tante bugie? Sono adesso la Direttrice dei vostri stivali?

PROCOPIO: E io il custode dei vostri scarponi?

CICCIO: Avete ragione, signora, e vi chiedo scusa delle parole che vi ho detto...

PROCOPIO: Ma un’altra volta riflettete bene le cose...

CICCIO: Statte zitto tu, animale! Pecché si tu nun te ive a piglià lo sicario, chella non se ne scappava... Signora, voi adesso mi dovete fare un gran favore. Dovete entrare un momento anche voi in quella camera. Quando vi chiamerò, voi uscirete.

ANGIOLA: Ma...

CICCIO: Fatemi questo favore, scusate. Voglio chiamare a lei e voglio vedere che mi dice di questa lettera.

ANGIOLA: Va bene. Vieni, Procopio. (Esce.)

PROCOPIO: Eccomi qua. (A Ciccio:) Pecché che volete ?

CICCIO: Nun l’aggia dicere a te! Trase! (Lo spinge; Procopio esce.) Dunque, mi ha ingannato, m’ha portato pe li vicoli? Va bene! (Suona il campanello.) Voglio vedé che me dice, e che faccia fa, quando legge sta lettera!

 


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