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ANGIOLA (Procopio e le quattro educande la seguono): Eccomi qua!
CICCIO: Signò, voi mi dovete secondare a uno scherzo che voglio fà. Mò che esce mia nipote, siccome voi non la riconoscete pecché è ommo vestita da femmena...
ANGIOLA: Come?!
CICCIO: Sissignore. è un imbroglio, na pazziella che m’hanno fatto. Io ho scoperto tutto, e voi mò m’avita fà chistu piacere: andatevene di là e quando io vi chiamo voi vi presentate insieme a queste ragazze e fate finta che la riconoscete e che naturalmente volete farla ritornare con voi all’Educandato.
CICCIO: Voi ragazze avete capito?
LE QUATTRO: Sissignore. (Ridendo.)
CICCIO (ad Achille): Poi uscite voi, e nel vedere la Direttrice direte: «Oh sorella, sorella mia!».
ANGIOLA: E questa signora chi è?
CICCIO Questa nemmeno è donna... è un amico mio.
ANGIOLA (ride): Ah, ah, ah! Ma che stiamo in Carnevale?
CICCIO: Zitto, stanno venendo, andate andate... (Tutti escono da dove sono entrati.)
ALFONSO (entra): Signor Sindaco, eccola qua: non ci voleva venire.
SILVIA (entra portando per mano Felice): Caro zio, ecco qua mia sorella: aveva paura di venire da voi. (Concettella, che è con loro, esce dal fondo.)
CICCIO: Paura? E perché questa paura? Se ho detto quelle parole poco prima è stato perché ti voglio bene assai. Vieni qua, Silvietta mia, tu non hai nessuna colpa. Don Alfonsino non doveva mai fare quello che ha fatto.
CICCIO: Basta! Vi siete approfittato della debolezza di questa povera ragazza! Perché quando ti ha abbracciata non l’hai detto a me?
FELICE: Perché ho avuto vergogna, zio mio.
CICCIO: Va bene, io ti ho troppo strapazzata ingiustamente, e per darti un compenso ho deciso di cambiare un’altra volta la donazione e lasciare tutto a te, Silvia mia!
FELICE (a parte): Ma che bravissimo...
CICCIO: Però voglio assolutamente che tu baci la mano alla tua Direttrice, le chiedi perdono di quello che hai fatto e ritorni con lei al collegio.
FELICE (a parte): E staje frisco!
CICCIO: Ah, eccola qua. Venite, signora Direttrice!