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Pasquale, Mariuccia, Giulietta e detti, poi Angiolella.
FELICE (vedendo uscire Pasquale): (All’arma de la capo d’annecchia).
GIOVANNINO: Vi bacio la mano, suocero mio, cara Giulietta... che d’è ch’è stato?
GIULIETTA: Niente.
GIOVANNINO: Papà ch’è stato?
PASQUALE: Che saccio, dice che ieri sera ti sei ritirato tardi, io nce l’aggio ditto, forse aviste che fà.
GIOVANNINO: Andai ad una conferenza medica.
GIULIETTA: E già, vuje le date sempe ragione, ve credite che facite buono?
PASQUALE: Se capisce che faccio buono, che m’haje pigliato pe quacche stupido, io sò conoscere le persone. D. Giovammo è un buon giovine.
GIULIETTA: D. Giovannino, è un birbante!
GIOVANNINO: Io birbante!
PASQUALE: E che significa questa parola? Quando mai avete parlato così. (Felice va sotto la porta difondo.) Mi dispiace che quel giovine...
GIOVANNINO: Uh! addò è ghiuto? (Lo vede.) Felì viene ccà, embè pecché te ne sì ghiuto lloco?
FELICE: Per non sentire gli affari vostri.
PASQUALE: Pecché a llà, nun le sentiveve. Venite ccà.
GIOVANNINO: Abbi pazienza. Sono piccole questioni di famiglia, ti presento il sig.r D. Pasquale Brasciola, padre di mia moglie, e di quest’altra ragazza Mariuccia. Papà, vi presento D. Felice Sciosciammocca di Nocera, Dottore in medicina, giovine di illibatissima condotta, e di belle speranze.
PASQUALE: Piacere tanto di conoscerlo.
FELICE: Anzi sono io fortunato. (Dice altre parole a soggetto.)
GIOVANNINO: Basta. (Te staje zitto).
PASQUALE: Eh, non mi dispiace, e vorreste sposare mia figlia Mariuccia?
FELICE: Se credete; sarei troppo fortunato di poter essere il marito di una ragazza figlia di un uomo tanto onesto, tanto bravo, e vi giuro che se succede questo matrimonio. (Altre parole come sopra.)
PASQUALE: Pss, basta, troppe chiacchiere, a me mi piacciono gli uomini che non parlano. Sapete voi a quale prova vi dovete assoggettare? Non lo sapete? (A Giovannino.) Nun lo ssape?
GIOVANNINO: No, non sa niente ancora. (Pasquale suona il campanello.)
ANGIOLELLA (esce): Comandate?
ANGIOLELLA: Subito.
GIOVANNINO: (Sedie).
FELICE: (Lo aveva capito 6!). (Angiolella dà le sedie.)
PASQUALE: Chiunque viene, non lo fate entrare, avete capito?
ANGIOLELLA: Va bene eccellenza. (Via lazzi nel sedersi.)
PASQUALE: Dunque, signor D. Felice Scioscia... Scioscia... non me ricordo addò scoscia.
PASQUALE: Ah! Sciosciammocca. Sentite bene questo che vi dico. D. Giovanni, sembra l’altro giorno che feci l’istesso discorso a voi, e sono passati 10 anni.
GIOVANNINO: Nun fosse mai venuto chillojurno. (Felice va via e si nasconde dietro la porta di fondo.)
PASQUALE: Zitto, ma mò me pare che tiene a faccia tosta mò, me pare che sto parlanno io, nun sta parlanno nu servitore. Dunque...
ANGIOLELLA: Uh! Felice addò è ghiuto, se n’è ghiuto una vutata. (Va alla porta in fondo.) Felì, Felì, viene ccà. (Esce con Felice.)
PASQUALE: Pecché ve ne siete andato?
FELICE: Mò me credevo che feneva a mazzate.
PASQUALE: In casa mia non vi sono mazzate.
FELICE: (Eh, nce vò tanto). (Tossisce.)
PASQUALE: Dunque sig.r D. Felice Sciosciammocca, vi prego di sentirmi bene. Tutti i padri che hanno figlie da maritare, tengono l’uso che quando si presenta un giovine qualunque, dopo di essersi appena appena informati, lo ammettono in casa, e lo fanno sposare. Io no, io tengo un’altro sistema, chi si vuole sposare mia figlia, deve fare 2 mesi di prova in casa mia. Prima di tutto, non deve fumare, capirete na giovinetta bene educata, il fumo non lo può soffrire. 2° non deve bere vino, perché il vino, prima di tutto fà male, e poi l’uomo che beve vino, a me non mi piace.
FELICE: Nu poco miscato cu l’acqua.
FELICE: (Puozze murì de subito)!
PASQUALE: 30 la mattina s’ha da sosere priesto, in punto alle 5, deve fare il cafè per tutta la famiglia; la stanza che io v’assegno per questi 2 mesi, ve l’avite d’arricetta vuje, vuje v’avita fà lo lietto e vuje v’avita scupà. Dovete tirare 6 cati d’acqua al giorno... (Felice s’alza e vuole andar via.) Che cos’è, perché vi siete alzato?
GIOVANNINO: No, papà, diceva se sbaglia e ne tira più assai.
PASQUALE: Non fa niente, meno di 6 no, ma se ne tira 10, 12 nun fa niente.
FELICE: (Sì, 30, 40, aggio venuto ccà a tirà l’acqua per i bagni).
PASQUALE: Oh, dovete pulire le scarpe a me e D. Giovannino; tenta, scovette, tutte cose sta dinto a la cucina. La sera non potete uscire, tranne qualche volta con mio genero, qui presente. Qualunque cosa io vi dico, dovete ubbidire. Il giorno dopo pranzo, siccome io fumo me caricate la pipa e me la portate. Siccome io sono Notaio, tutte quelle carte che si devono copiare, le dovete copiare voi. In ultimo poi, colle donne dovete essere freddo, impassibile, insensibile, insomma se vi capita di parlare con qualche bella figliola, nun ve n’avita j de capo, nun v’avita movere, e questa è la prova la più essenziale. Quando avete fatto questo per lo spazio di 60 giorni, sposerete mia figlia con 80 mila lire di dote, altrimenti ne siete cacciato fora a la porta come diversi altri. Che rispondete?
FELICE: Ecco qua io...
GIOVANNINO: Ma che deve rispondere, l’amico mio è un uomo modello, sono sicuro che questa prova non lo sgomenta, è vero che non ti sgomenti?
FELICE: No, io non mi sgomento.
PASQUALE: Bravissimo. Accetto. (S’alzano.)
GIULIETTA: (Mariù, e tu te spuse a chillo mamozio?)
MARIUCCIA: (A me, manco si me sparene; e chillo nfame d’Eduardo che nun s’ha fatto vedé cchiù).
PASQUALE: Sta benissimo, restiamo intesi, e daremo principio da questo momento la prova. Giulietta, Mariuccia, D. Giovannino, venite. (I 3 entrano, Felice li segue.) Pe sapé addò jate?
PASQUALE. E chi ve l’ha detto.
PASQUALE: Nonsignore, io ho chiamato a nome quelli che debbono entrare.
FELICE: Perdonate D. Pasquale credeva che doveva entrare pur’io.
PASQUALE: Statevi attento. Dunque all’opera, all’opera.
FELICE (s’avvia pel fondo): Debbo andar solo, o aspettare a loro?
PASQUALE: Per che fare?
PASQUALE: Quale opera, io vi ho detto all’opera, all’opera per dar principio alla prova.
FELICE: Scusate, io credeva che si doveva andare all’opera.
PASQUALE: State attento, perché una mancanza di questa, uscite fuori di casa io non transiggo. (Via.)
FELICE: Cheste so’ cose de pazze, e io comme faccio 2 mise de sta vita, tire 6 cate d’acqua a lo juorne, pulizze le scarpe, e che me so’ mise a 20 lire lo mese, e a lo magnà. Cu li femmene nun me n’aggia j de capo, vedite che ragionamento, pare che so’ io, chello è lo sanche che saghe a la via de la capo. (Mentre dice queste parole, inavvertitamente tira fuori un mezzo sigaro, l’accende e si mette a fumare.) Dall’auta parte pò, si arrivarria a fà chesto pe 2 mise, avarria fatto lo colpo, si tratta di 80 mila lire, la sposa è bona assaje, e pò che d’è, Giovannino nun l’ha fatto, come l’ha fatto isso, l’aggia fà pur’io, quanno pò so’ passate li 2 mise parlammo. Ma vedete nu poco che stravaganze.