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CECILIA (dal finestrino): Gaetano?
GAETANO: (La vì llà, la vi, e che puteva mancà?) Comandate.
CECILIA: Mia zia è ancora ostinata di farmi sposare quel tale, io non ho coraggio di dirle che amo un altro, come debbo fare?
GAETANO: Signorina mia che v’aggia dicere, io compatisco, ma che pozzo fà?
CECILIA: Io vi dico la verità, vorrei morire.
GAETANO: E murite, che vulite da me.
CECILIA: Gaetano, vorrei essere fatto un favore da voi. Alberto stasera verrà nella trattoria di vostro fratello, fatemi il piacere di dargli questa lettera.
GAETANO: Ma signorina mia, io nun lo cunosco.
CECILIA: Si chiama Alberto Cicirello, e poi lui stesso verrà a domandarvela.
GAETANO (prende la lettera): Va bene, ve servo, avete detto Alberto?
CECILIA: Cicirello. Non vi dimenticate, scusate tanto del disturbo, che volete, non sò di chi fidarmi, vi raccomando. Vi lascio perché mia zia mi tiene d’occhio. A rivederci. (Entra.)
GAETANO: Vuje vedite a me che me succede.
CECILIA: Chesta è na cosa proprio curiosa. (Ridendo.)
GAETANO: Ciccì, agge pacienza, pigliatella tu sta lettera e quanno vene stu giovene, nce la daje, io pozzo penzà da chesto?
CICCILLO: Va bene, ve servo io. (La prende.) Comme ha dittto, Alberto?
CICCILLO: Va bene. (Dalla sinistra si sente bussare.) Eccome cca... Permettete. (Via.)
GAETANO: E vì si se vede nisciuno. (Entra.)