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Sentieri dell'odio
(Di passaggio)
Un giorno, mentre tornavo dal lavoro, mi avvicinò
M., uno della Federazione che avevo conosciuto alla scuola di via Dozza. Mi
chiese di fare due chiacchiere, e quando imboccammo una stradina poco
frequentata, capii che la questione era importante.
Cominciò dicendo che ero un ragazzo molto in
gamba per la mia età, sveglio e deciso, e che i compagni avevano bisogno di uno
come me per un compito delicato. Di lì a poco sarebbe passato da Imola un
latitante. Si trattava di trovargli un nascondiglio sicuro, un luogo dove
nessuno si accorgesse di lui. Questione di quattro, cinque giorni al massimo,
poi se ne sarebbe andato e anche noi ci saremmo dovuti dimenticare di averlo
visto. Mentre parlava, mi era già venuta l'idea per una sistemazione, per cui
risposi che l'avrei fatto volentieri, senza problemi, potevo giusto aver
bisogno di un po' di soldi per pagare il silenzio e l'ospitalità di una persona
fidata. M. disse anche che avrei dovuto procurare una pistola completa di
munizioni. Non feci domande: la curiosità non è una dote, in certi momenti.
Feci di sì con la testa e dissi che in un paio di giorni sarei stato pronto.
L'ospite a cui avevo pensato fin da subito
era Gigì e Fastigi, il busone dei Forni che ci faceva da donna di servizio. Lo
presi da parte e gli spiegai la questione: gli avrei passato mille lire per il
disturbo, ma non doveva ricevere nessuno e fare voto di castità per una
settimana, che i piaceri del sesso sono fatali per chi deve tenere la bocca
chiusa.
Per la pistola, sapevo dove cercare. Con un
fratello che aveva fatto il partigiano e il mio interesse per le armi da fuoco,
a casa nostra non erano certo quelle a mancare. Scelsi una bellissima Pistol
Ball calibro 45, con quattro caricatori da venti, e in poche ore di lavoro la
rimisi a nuovo.
L'ospite sarebbe stato soddisfatto.
Arrivò di notte. Portava un cappello floscio
a tesa larga e un giaccone di pelle nera col bavero rialzato. Da lontano
sembrava un cow-boy, di quelli che si vedevano al cinema. Andai a riceverlo nel
posto stabilito e scambiammo pochissime parole, giusto per intendersi.
Lo portai ai Forni e lo sistemai da Gigì.
Quando gli consegnai la pistola, lo vidi impugnarla con naturalezza e saggiarne
il peso. Ricordai al mio amico busone che se teneva la bocca chiusa
avrebbe preso i soldi, ma se parlava l'avrebbe pagata cara. Mi
raccomandai che non facesse domande all'uomo misterioso e si limitasse a
portargli da mangiare tutti i giorni. La fama di pazzo che mi portavo dietro
era una garanzia di ubbidienza.
La porta della stanza di Gigì rimase chiusa
tutta il giorno seguente. Non un rumore. Gigì uscì soltanto per la spesa.
Per maggior sicurezza rimasi in casa,
montando di sentinella alla finestra, controllando che non succedesse niente.
Poi la seconda notte, mentre mi rigiravo
agitato nel letto, sentii un cigolio appena percettibile. Lo riconobbi subito:
la porta di Gigì veniva aperta piano.
Socchiusi l'uscio, sbirciando attraverso lo
spiraglio e vidi l'uomo misterioso uscire e scendere le scale. Portava lo
stesso giaccone e lo stesso cappellaccio scuro, le mani in tasca.
Non prese l'uscita principale, ma si diresse
sul retro.
Lo seguii con lo sguardo, reprimendo
l'istinto di andargli dietro.
Aspettai rigirandomi nel letto, incapace di
prendere sonno e perdendo la cognizione del tempo.
Ma quando sentii la porta cigolare di
nuovo, era quasi l'alba.
La stessa cosa si ripeté la sera seguente.
E quella ancora dopo.
Non seppi mai dove si recasse l'uomo
misterioso e mi guardai bene dal chiederglielo.
La quarta notte sparì e non lo rividi mai
più.
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