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(Storia disinvolta delle guerre
d'Indocina. Vietnam)
Nell'ottobre del 1952 due divisioni del
Vietminh occupano un villaggio Tai nella regione di Lai Chau, sul confine tra
Laos, Cina e Tonchino settentrionale.
Il villaggio sorge in una valle lunga venti
chilometri e larga undici, tagliata in due dal fiume Nam Yum, ed è appena stato
evacuato da un battaglione laotiano collaborazionista. Nella lingua dei Tai si
chiama Muong Thanh, ma i vietnamiti lo conoscono come Dien Bien Phu.
Da qualche mese il generale Giap sta
pensando di passare il confine ed entrare in Laos, dove le guarnigioni francesi
sono quasi tutte isolate e vulnerabili, a parte quelle di stanza a Vientiane e
Luang Prabang. Giap non vuole impossessarsi del Laos, bensì provocare e
intrappolare i francesi lungo il confine, dove le loro linee di rifornimento
sono precarie.
Nell'aprile 1953 Giap penetra in Laos. E'
un'offensiva in grande stile: le divisioni Vietminh passano vicino alle
fortificazioni francesi nella Piana delle Giare, cosparsa di monumenti funerari
preistorici, e puntano su Luang Prabang, dove i cittadini sono stati allertati
da un chiaroveggente cieco. Ma a un certo punto, per non farsi sorprendere dai
monsoni, l'esercito di Giap ripiega e torna in Vietnam. Ha dimostrato di poter
entrare nel Laos quando vuole, e può sempre riprendere l'affondo con la
stagione secca.
I francesi si convincono che Dien Bien Phu è
il punto strategico in cui bloccare l'offensiva Vietminh contro il Laos.
A maggio, il generale Salan viene sostituito
dal generale Henri Navarre, ufficiale di carriera, reduce delle due guerre
mondiali, che si dichiara ottimista sulle sorti del conflitto e proclama:
«Vediamo chiaramente la vittoria come la luce in fondo a un tunnel.»
Navarre pensa di avere una missione:
impedire a ogni costo l'invasione del Laos.
Il sottoposto di Navarre è René Cogny,
lauree in legge e scienze politiche. Un altro consigliere è il colonnello Louis
Berteil. Questo trittico di cervelli partorisce un piano ambizioso: prendere
Dien Bien Phu e stabilirvi il punto d'appoggio per sfondare le retrovie di
Giap.
A luglio, Navarre va a Parigi e sottopone il
piano al primo ministro Joseph Laniel.
Il 28 ottobre, il Laos firma un trattato di
alleanza e associazione con la Francia, che ne riconosce l'indipendenza e
s'impegna a rispettarne la sovranità "in seno all'Unione Francese".
La firma del trattato rafforza l'idea che il
Laos vada difeso a ogni costo.
Nel frattempo, Navarre è tornato in
Indocina, e dà inizio alla cosiddetta "Operazione Castoro": cinque
battaglioni francesi conquisteranno Dien Bien Phu.
Il colonnello Jean-Louis Nicot, capo dei
trasporti aerei in Indocina, ammonisce che il cattivo tempo potrebbe ostacolare
le operazioni. Nel frattempo, anche Cogny ha maturato dei dubbi e dice che Dien
Bien Phu potrebbe diventare "un tritacarne".
Navarre ormai è partito per la tangente, non
sente ragioni, è convinto che il Vietminh non sarà in grado di fronteggiare un
attacco su vasta scala.
In realtà, grazie a una serie di diversivi,
Giap ha creato l'impressione che il grosso delle sue divisioni sia impegnato
altrove: attentati ai convogli francesi sulle tratte che collegano il porto di
Haiphong all'interno del paese, e ripetute incursioni nel Laos meridionale ("il
manico della padella"). Giap sta preparando uno "scacco matto":
con la strategia degli attacchi sparsi blocca il Corpo di Spedizione francese
in diverse regioni, e fa sì che non si possa fortificare un singolo punto senza
sguarnirne un altro. Nel frattempo, i distaccamenti Vietminh si organizzano
intorno a Dien Bien Phu.
Sa che i francesi si troveranno in posizione
svantaggiosa, isolati, dipendenti dai rifornimenti aerei, mentre i suoi uomini
si apposteranno sulle montagne che sovrastano la vallata, e potranno ricevere
armi e rifornimenti dalle retrovie.
Il 20 novembre 1953, sei battaglioni del
Corpo di Spedizione si paracadutano nella valle di Muong Thanh, e vi si
insediano.
Al comando delle operazioni c'è un ufficiale
di cavalleria, Christian Marie Ferdinand de la Croix de Castries, donnaiolo
aristocratico, di discendenza militare fin dalle Crociate.
Nel frattempo tra i leader delle grandi
potenze matura la convinzione che il conflitto in Indocina possa essere ricomposto,
come è appena successo in Corea.
Stalin è morto da poco, e la nuova dirigenza
sovietica vorrebbe attenuare le tensioni internazionali.
L'opinione pubblica francese è stanca della sale
guerre, la sporca guerra, e preme su Laniel perché cerchi "una
soluzione onorevole".
I comunisti cinesi, al potere da soli
quattro anni, sono ansiosi di svolgere un importante ruolo internazionale, per
proporsi in chiave "moderata" e ottenere il riconoscimento dei paesi
europei. Zhou Enlai, primo ministro, è dell'opinione che, cacciati i francesi,
arriveranno a premere sul confine meridionale i ben più temibili americani, che
non riconoscono la Cina popolare. Zhou è per concedere ai francesi un ruolo
nelle loro ex-colonie del sud-est asiatico, anche scavalcando il Vietminh.
Tutt'altra tendenza manifestano gli usa: John Foster Dulles, segretario di
stato di Eisenhower, insiste sulla linea del "contenimento" del
comunismo, pensa che in Corea la partita sia ancora aperta nonostante la
"tregua", preme sui francesi perché rimandino ogni iniziativa
diplomatica e migliorino le loro posizioni in Indocina. Concede loro un
prestito di 500 milioni di dollari. I francesi accettano i soldi ma rimangono
scettici sulla prosecuzione a oltranza del conflitto.
Nemmeno Ho Chi Minh è convinto che sia già
il momento di trattare: preferisce piegare l'opinione pubblica francese e
imporre lui le condizioni. Ma deve tenere conto delle esigenze cinesi:
dopotutto, il Vietminh si avvale di consiglieri militari inviati da Pechino, e
molti guerriglieri vietnamiti si sono addestrati in campi cinesi. Soprattutto,
Zhou Enlai ha fornito al Vietminh cinquantamila tonnellate di materiali
militari e vettovaglie. Infine, se la Francia ha paura è anche grazie ai
duecentomila soldati cinesi schierati a ridosso del confine col Vietnam.
Il 29 novembre 1953 Ho Chi Minh comunica al
mondo la sua disponibilità a porre fine alla guerra "con mezzi
pacifici".
Ma intanto s'avvicina lo scontro finale.
I francesi hanno già perso prima di
combattere. La disfatta matura nel loro Quartier Generale di Saigon: Navarre
non ha capito niente della strategia e del potenziale bellico di Giap, e non
prende in considerazione alcuna ipotesi che non si adatti ai suoi preconcetti.
Secondo Navarre, Giap non può contare su
ingenti forze, quindi si rifiuta di spostare i grandi distaccamenti francesi
dal Vietnam centrale a Dien Bien Phu.
Ma Giap ha trascorso più di tre mesi a
schierare gli uomini. A partire da novembre, da quando i parà francesi si sono
sistemati nella valle, Giap sposta verso Dien Bien Phu trentatre battaglioni di
fanteria, sei reggimenti di artiglieria e un reggimento del Genio. Alcuni di
questi spostamenti durano 7-8 settimane, i soldati attraversano a piedi
montagne e giungle, marciano di notte e dormono di giorno per evitare i
bombardamenti.
All'inizio del '54, a Dien Bien Phu ci sono
cinquantamila combattenti vietnamiti, più altri ventimila lungo le linee di
rifornimento. Invece i francesi sono tredicimila, metà dei quali sono
nord-africani o indocinesi lealisti, poco e male addestrati al combattimento.
Il resto sono quasi tutti legionari.
Navarre non crede che Giap possa disporre di
un'artiglieria, figurarsi di una contraerea. Ma l'artiglieria è stata
trascinata a mano o portata in bicicletta, un'impresa titanica. Il Vietminh
dispone di ventiquattro obici da 105 mm., tutti di fabbricazione statunitense,
trofei di guerra della Corea.
Navarre crede di poter usare i carri armati,
che invece verranno bloccati dalla fitta boscaglia e, durante le piogge
monsoniche, affonderanno in profondi acquitrini.
Insomma, l'esercito francese si trova
soverchiato in un rapporto di cinque a uno, intrappolato in un buco di culo
fangoso, cannoneggiato dalle colline circostanti (impossibilitato a
contrattaccare perché le postazioni Vietminh sono perfettamente mimetizzate) e
soprattutto isolato, senza possibilità di ricevere vettovaglie né di evacuare i
feriti, perché gli obici di Giap devasteranno la pista d'atterraggio, bloccando
tutti i voli in entrata e in uscita.
Come aveva predetto Cogny, Dien Bien Phu
sarà "un tritacarne".
Poco prima dell'alba del 13 marzo, l'assedio
si trasforma in attacco. Gli obici aprono il fuoco, sorprendendo e paralizzando
i francesi.
Castries ha fatto costruire quattro basi
d'artiglieria, battezzate coi nomi di sue ex-amanti: Gabrielle, Anne-Marie e
Béatrice sul lato nord della valle, Isabelle sul lato sud.
Giap scaglia la sua "onda umana"
contro Gabrielle, Anne-Marie e Béatrice. Isabelle è troppo lontana per aprire
un fuoco di copertura, inoltre è difesa da un terzo dell'intera forza francese,
che non osa spostarsi nel timore di un altro attacco. Béatrice cade
immediatamente, Gabrielle e Anne-Marie il giorno successivo. La pista
d'atterraggio è completamente distrutta dagli obici.
Il vicecomandante francese, colonnello
Charles Piroth, esperto di cannoni con un braccio solo, aveva dichiarato:
«Nessun cannone Vietminh riuscirà a fare fuoco tre volte prima di essere
distrutto dalla mia artiglieria.» All'alba del 15 marzo, Piroth stacca con i
denti la linguetta di una bomba a mano e si fa saltare in aria. La sera prima
lo hanno sentito dire: «Sono completamente disonorato.»
Quella dell'onda umana è una tattica tipica
della guerra di Corea, e infatti l'hanno suggerita due consiglieri cinesi, Wei
Guoqing e Li Chenghu. E' una tattica costosissima in termini di vite umane, lo
stesso Mao è contrario a ricorrervi. La forza di un esercito popolare dipende
dalla coscienza politica di ogni singolo combattente, ciascun uomo è
importante, non lo si può usare come carne da cannone.
Nei primi tre giorni di assalto, il Vietminh
conta 2000 morti e 7000 feriti.
Giap decide di interrompere l'offensiva,
lasciar perdere i suggerimenti dei cinesi e passare a una "strategia di
attrito". Nelle settimane seguenti, fa scavare gallerie e trincee fino a
circondare la guarnigione francese con centinaia di chilometri di passaggi
sotterranei.
Quest'impresa non sarebbe possibile senza
l'impegno di 33.500 dân công (patrioti operai). Con più di 2700
biciclette modificate (chiamate xe thô), quasi altrettante giunche e più
di 17.000 cavalli, i dân công portano al fronte ventimila
tonnellate di riso, oltre a munizioni e beni di prima necessità. E' grazie a
questa mobilitazione che Giap può fare attrito . Tra il gennaio e il maggio del
'54, i dân công contribuiranno alla causa anti-francese con cinque
milioni di giornate di lavoro.
Si avvicinano le piogge monsoniche, e i
francesi sperano che il Vietminh affogherà nel fango. Succede il contrario: le nuvole
basse impediscono all'aviazione francese di bombardare le retrovie di Giap e
ostacolano i lanci di rifornimenti ai francesi assediati. A parte il problema
di visibilità, c'è anche la contraerea Vietminh, che costringe gli aerei a
volare troppo alti, così i lanci sono sempre più imprecisi. Molte vettovaglie,
munizioni e, in almeno un caso, informazioni segrete destinate ai francesi
assediati, atterrano in pieno territorio Vietminh.
Nel frattempo, molti indocinesi, e persino
qualche regolare francese, disertano il Corpo di Spedizione. I legionari li
chiamano, spregiativamente, "i sorci del Nam Yum", perché spesso, al
momento di fuggire, guadano il fiume portando con sé i viveri appena
paracadutati.
E' il momento dell'extrema ratio: il
governo francese chiede aiuto agli americani. L'ammiraglio Arthur Radford
propone che sessanta bombardieri B-29, scortati da cacciabombardieri della
Settima Flotta USA, decollino dalle Filippine e facciano incursioni notturne
contro il perimetro Vietminh intorno alla valle. Il progetto ha un nome:
"Operazione avvoltoio".
Il generale Paul Ély, capo di stato maggiore
francese, comunica la notizia al suo governo, comprensibilmente contento. Ma il
capo di stato maggiore americano, Matthew Ridgway, è contrario a un coinvolgimento
diretto sul fronte asiatico: ancora scottato dalla Corea, teme l'intervento dei
cinesi e l'ipotesi di dover spostare in Vietnam dalle sette alle dodici
divisioni, distogliendole da altri settori strategici.
Il presidente Eisenhower è d'accordo con lui
e rinvia la decisione al Congresso e agli Alleati. Senza il loro appoggio non
intende muovere un dito.
Benché il vicepresidente Nixon e il
segretario di stato Dulles facciano pressioni sui parlamentari, il Congresso
non dà l'autorizzazione.
Nel frattempo, un gruppo di studio del
Pentagono conclude che tre armi atomiche tattiche, "opportunamente
impiegate", sarebbero sufficienti ad annientare il Vietminh. Radford è
entusiasta di quest'idea e spinge perché la si proponga ai francesi. Secondo
alcune fonti, lo stesso Dulles è favorevole all'ipotesi atomica, ma i vertici
del Dipartimento di stato non solo sono contrari, ma terrorizzati anche solo
dall'eventualità che circoli una voce del genere. Un anonimo funzionario
ammonisce: «Se la vicenda trapelasse, scatenerebbe un gigantesco grido di
disapprovazione in tutti i parlamenti del mondo libero.»
La guarnigione francese a Dien Bien Phu è
ormai condannata, e con essa il dominio coloniale francese in Indocina. Tutti
lo sanno, ciò che conta è limitare i danni. E' l'ora dei negoziati.
Si fissa per l'8 maggio l'avvio della
conferenza di Ginevra sul problema dell'Indocina, a cui parteciperanno
delegazioni di Francia, Stati Uniti, URSS, Cina, oltreché, naturalmente, del
Vietminh.
Con sorprendente tempismo, Giap espugna Dien
Bien Phu il 7 maggio. L'assedio è durato cinquantacinque giorni. Dalla parte
dei francesi, si contano 1.142 morti, 4.436 feriti e 1.606 dispersi. Le perdite
del Vietminh ammontano a 7.900 morti e più di 15.000 feriti.
A Ginevra, si comincia a discutere.
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