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Vitaliano Ravagli -Wu Ming
Asce di guerra

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  • PRIMA PARTE
    • 33 Bologna, 22 febbraio 2000
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33

Bologna, 22 febbraio 2000

 

 

Due settimane a seguire le poche tracce lasciate da un personaggio di cui non so nulla, in un percorso che potrebbe condurmi a Est, in Vietnam, ma potrebbe anche lasciarmi col culo per terra, da qualche parte nella nebbia della Bassa.

Una guerra coloniale di cinquant'anni fa.

Italiani nella Legione Straniera.

Italiani nel Vietminh.

Gente che magari si era affrontata sull'Appennino dieci anni prima e si è di nuovo sparata addosso nella giungla o sugli altopiani.

Un ex-legionario che ha combattuto in Indocina si spara al cuore a mezzo metro da me, in una sala corse in cui mi trovo per caso. Se credessi ai presagi...

Cos'ho in mano? Quasi niente: dicerie, grappoli di nomi, ricordi di ottuagenari incazzati, latitanze dell'epoca della Guerra Fredda.

 

In via Irnerio incontro Meco, maggiore responsabile del mio coinvolgimento nell'affare Moukharbel, che mi ha lasciato in bocca un perenne retrogusto di carciofo avariato. Sembra successo venti minuti fa, e invece sono passati mesi. Meco telefona di prima mattina, la mia faccia coperta di schiuma da barba: stanno sgomberando case occupate nella tal via, casini vari, ci sarebbe bisogno di un avvocato, non afferro nemmeno bene il motivo, tra l'altro Meco ha l'accento pordenonese, si mangia un po' di parole e gli manca la "r".

Mi chiede se si hanno notizie di Said. Non ne so niente, non ha nemmeno scritto a Kadisha.

Aperitivo in Piazza S. Martino, un prosecco lui, una piñacolada io: «Come fai a bere quella roba ? Non è mica un aperitivo, è un pasto completo

Parlo malvolentieri del cpt di Trapani e della Convenzione di Schengen, recepita in Italia dalla legge "Turco-Napolitano", che per la destra è fin troppo morbida. La novità: a Milano una mobilitazione di centri sociali e associazioni di volontariato ha portato alla chiusura del cpt di via Corelli. L'associazione di cui fa parte anche Meco, "Ya Basta", ha avuto un ruolo fondamentale nell'organizzare la lotta.

La buona notizia mi rallegra, ma la testa è altrove, persa nelle giungle del Sud-est asiatico. Fausto Ferro, il vietcong romagnolo, il Comandante: risuona lo sparo, le urla...

...e "l'odore di cordite", direbbe l'io narrante di un romanzo di James Ellroy, ma io non so che odore abbia la cordite, se uno mi chiedesse a bruciapelo cos'è, risponderei "una malattia dell'apparato respiratorio". Meco mi chiede che cazzo c'ho.

«Ma niente. E' un periodo così. Mi tornano su le cose, tipo adesso la storia di quello che si è suicidato alla sala scommesse il mese scorso, hai presente? Io stavo in fila, lui era dietro di me. E' una scena che te la ricordi...»

«Ah, quello ... Era un legionario, ho letto. Uno che era stato in Indocina... Un fascistone, uno così. Eri

«Sì, e continuano a succedere cose che mi portano da quelle parti. Storie di italiani che erano a combattere, o anche per altri motivi... A proposito, ho beccato la storia di uno delle tue parti, cioè, più o meno, era di Monfalcone, si chiamava Fausto Ferro, è arrivato in Vietnam clandestino su una nave, gliene sono capitate di tutti i colori, alla fine è morto in Laos negli anni Ottanta

«Anch'io so di un friulano, ma del pordenonese, di Spilimbergo, uno che aveva fatto il partigiano poi s'era arruolato nella Legione, ha disertato ed è passato con Ho Chi Minh. E' stato in Vietnam cinque-sei anni

Mi ravvivo e quasi gli salto addosso: «Dove ne hai sentito parlare? Hai del materiale? E' ancora vivo

«Sì, sì, è ancora vivo, l'anno scorso ho letto una sua intervista su una rivista di storia della Resistenza. Zecchini, si chiama

Un altro del Friuli Venezia Giulia. Trovare un friulano nel Vietnam degli anni ‘50 è tanto inverosimile quanto trovarci un emiliano o un romagnolo. Trovarcene due è da miracolo probabilistico... Ma questo ha combattuto davvero, corrisponderebbe al pur nebuloso "identikit" che mi ha dato Vasquez.

Possibile che il mio amico nichilista si sia sbagliato, che si ricordi male e sia questo Zecchini l'uomo che sto cercando? Chiedo a Meco se può risalire a quella rivista, lui dice che come no, ce l'ha a casa, può darmela anche subito se gli do un passaggio. Ho un dejà vu, ma è soltanto un attimo.

 

 "Cose nostre cose di tutti", rivista dell'Istituto Provinciale per la storia del Movimento di Liberazione e dell'Età Contemporanea, Pordenone. Fascicolo 5, marzo 1999.

L'intervista s'intitola "Derino Zecchini: da garibaldino in Val Tramontina a partigiano con i Viet-minh nel Vietnam".

Ho già due storie d'Indocina, e non c'entrano niente il partito o supposte brigate internazionali.

 

A guerra finita, hai 19 anni, sei stato garibaldino e gappista. Non trovando lavoro, tu e una trentina di partigiani vi arruolate nell'esercito, a Udine. Da vi mandano a Venezia e v'impiegano nel carico, scarico e trasporto di munizioni.

1946, non ti viene riconosciuto il periodo della guerra partigiana, ti ordinano di presentarti a Caserta per fare il CAR come i militari di leva. Scappi, con qualche altro partigiano. Ti condannano in contumacia per diserzione, cinque anni di carcere con la condizionale. Non ti arrestano perché nel frattempo espatri in Francia.

Lavori come fabbro in un'impresa edile. Un giorno vedi un bando di arruolamento della Legione Straniera. Ti attrae. Potresti girare il mondo, almeno il mondo coloniale francese. Da tempo fantastichi di raggiungere l'Indocina, hai sentito dire che c'è una grossa lotta di liberazione, e sei curioso. Dall'Italia, hai portato con te una carta geografica di quel paese, una bussola e la tua scheda di partigiano.

Lille, 20 settembre 1947. Ti arruoli.

Marsiglia, 25 settembre, vi equipaggiano e vi sottopongono a un mese di addestramento.

8 novembre, vi imbarcate.

10 novembre, arrivate a Sidi Bellabes, Algeria.

Comincia il vero addestramento alle armi, alla disciplina di reparto, alle fatiche del legionario: «Ho cominciato a capire come il soldato veniva spersonalizzato per diventare una rotellina della macchina bellica, un robot che doveva muoversi in sincronia con gli ordini del comando, senza pensare, senza tentennare, senza remore. Poi in Indocina ho constatato che non bisognava avere nemmeno un senso di pietà, di giustizia, di umanità

Resti in Algeria un anno e mezzo.

8 giugno 1949, partenza per l'Indocina. Chissà se è la stessa nave da cui è sbarcato, clandestino, il tuo corregionale Fausto Ferro. Chissà se il "Comandante" era un tuo compagno d'armi.

14 settembre, sbarco a Saigon e trasferimento a Jep Oa in Cocincina, Vietnam del sud.

«Mi accorsi ben presto che nelle azioni contro i villaggi in mano ai guerriglieri, la brutalità della Legione superava quella delle ss tedesche contro di noi, partigiani italiani nel 1944-45. Un giorno entrammo in un villaggio segnalato come covo di guerriglieri. Pur essendo arrivati all'improvviso, non ne trovammo traccia. L'ufficiale comandante fece allineare tutti gli abitanti, uomini da un lato, donne dall'altro. Li passò in rassegna e tutti coloro che a suo giudizio avevano una faccia truce da partigiano, li fece uscire dalla fila e disporre a gruppi di cinque-sei. Ci obbligò a infilare loro nelle mani (bucandole) un robusto filo di ferro, uno nella destra e il vicino nella sinistra, in modo da legarli l'uno all'altro. Scortammo questi gruppi grondanti sangue sino al molo, dove furono fatti salire su una zattera a motore. Ultimato il carico, il comandante ordinò al capitano della zattera di raggiungere il largo e di scaricarli in mare.» [...] «La brutalità e il terrore ingigantivano il morale e la ostinazione di lotta della popolazione. Ma questo poteva capirlo solo chi aveva già fatto il partigiano

 

Interrompo la lettura per mettere un cd.

La canzone dei Massimo Volume s'intitola "Seychelles ‘81" e parla di un tentativo di golpe nel posto più improbabile del mondo. A detta di Leo, i mercenari tenevano le armi nascoste nelle bocche di gigantesche cernie. E' il sottofondo ideale, una sezione ritmica che è un torrente in piena, clangori, sbattere di pietre focaie, e la voce di Mimì, distorta quanto basta.

I dilemmi dell'avventuriero O'Hare assediato nella torre di controllo dell'aeroporto:

 

Come faremo a uscire da questo fiume di merda puliti e profumati?

Pagheremo il conto che c'è da pagare?

Ma io non ho speranza, io ho fede.

 

Lo stesso ufficiale ordina alla tua squadra di prendere cinque contadini di un villaggio e ucciderli a colpi di piccone. Ti rifiuti. L'ufficiale ti minaccia:  «Con te farò i conti dopo.»

Cominci a meditare la diserzione.

Qualcuno tenta di fuggire, ma bisogna avere un piano, essere sicuri al 100%. Se la Legione ti riprende, rimpiangerai di essere nato.

Un olandese scappa, lo riprendono. In caserma, spogliato davanti a tutti, appeso con le mani incrociate. Un sottufficiale lo macella vivo, gli estrae i reni con il pugnale: «Così la Legione tratta un traditore

 

Come faremo a uscire da questo fiume di merda puliti e profumati?

Cavalcheremo le nostre migliori intenzioni?

Pagheremo il conto che c'è da pagare?

 

21 febbraio 1951, trasferimento nel Tonchino, Vietnam del nord. Stavolta c'è un fronte. Di , le zone libere partigiane. Disertare è fattibile.

27 febbraio, durante la notte attraversi le linee insieme al romano Tichetti, con armi e bagagli. Seguite le istruzioni dei volantini Vietminh che invitano alla diserzione, e legate una pezza bianca alla canna del mitra.

 

Indosseremo un parrucchino e un paio di baffi posticci?

Ci faremo venire a prendere e fuggiremo dentro una macchina dai finestrini fumés?

 

Una donna vi accompagna in una capanna di contadini. Dentro, quattro o cinque vietminh, in divisa partigiana.

Per appurare le vostre intenzioni, v'infilano in buche scavate davanti alle linee francesi. Col megafono, spiegate i motivi della vostra diserzione. Due, tre notti di fila.

Al comando Vietminh vi interrogano, verificano le informazioni che fornite... Domande trabocchetto sugli avamposti fortificati... Dite quello che sapete. Alla fine, il comandante vi rivela di conoscere bene i bunker e le casematte: ha lavorato come manovale per i francesi, ha costruito le fortificazioni. Addirittura, si ricorda di te.

Vi portano in un centro di raccolta, in mezzo alla foresta. Disertori di varie nazionalità. Corso di aggiornamento politico. Ovunque, consulenti militari cinesi reduci della Lunga Marcia di Mao.

L'equipaggiamento: sandali fatti con copertoni, l'amaca, la razione di riso. 750 grammi per gli europei e 350 per i vietnamiti. La paga giornaliera di un soldato corrisposta in natura. Nelle foreste impari a mangiare larve di baco da seta lessate o dolci di uova di formiche rosse cotte con riso e melassa, e a bere zeo, liquore di riso. Ti abitui al rumore delle cicale, e a usare le torce di bambù. Quando le sanguisughe ti si attaccano alle gambe non devi mai staccarle, potrebbe venirti un'infezione; invece, bruciale con la sigaretta.

Le peggiori atrocità le commettono le truppe collaborazioniste locali, come i cattolici vietnamiti irregimentati nelle cosiddette "Rondini del cielo". Attraversi villaggi colpiti dalle loro incursioni. Le donne, terrorizzate, si cospargono il corpo di sterco per non essere stuprate.

Ma non vi mandano a combattere contro la Legione, l'esercito coloniale o le Rondini: siete esempi viventi di solidarietà internazionalista, illustrazione del fatto che non tutti i bianchi sono contro il Vietminh. Vi impiegano per la controinformazione nei villaggi montani, tra le minoranze etniche, Suan, Hmong, Cheo-lan, tribù bersagliate dalla propaganda francese che promette loro l'indipendenza dal Vietnam, divide et impera

Puoi difenderti dal beri-beri mangiando il midollo crudo di una palma che cresce nella foresta. Ma non puoi nulla contro la malaria. Il 14 giugno 1954, ti ricoverano in un ospedale in territorio cinese: «Vi trovai diversi conoscenti, tutti con la mia stessa malattia. Ricordo Leoni Beniamino, bolzanese; Leo, svizzero; Capruzzi, pugliese; Susan, sloveno; l'amico Tichetti, romano; Zozzi Attilio, emiliano...»

Squilla il telefono, ho un soprassalto. Che ore sono? Le dieci e un quarto. Fuori è buio pesto. Il mio "pronto" è un rantolo.

«Daniele, ma mi tiri il pacco

Manuela. L'avevo invitata a cena. Tempi di reazione dilatatissimi.

«E' successo qualcosa? Dovevi passare a prendermi alle dieci...»

«Cazzo, scusa, Manu, sono mortificato, mi...» ultimamente, sono a corto di pretesti. Bella roba, per un avvocato. Perché ti interessi all'Indocina? Ehm... Uh... Boh.Perché non sei ancora passato a prendermi? Mi rassegno alla figura di merda: «...mi ero appisolato, scusami, sono un coglione. E' un periodo strano, te l'ho detto, ma arrivo subito, sul serio, ci tengo! » Intanto mi guardo allo specchio del corridoio: capelli fuori posto, non mi sono ancora cambiato, dovrei almeno lavarmi la faccia... da culo. Ronzìo, da qualche parte nella testa e nello stomaco.

«Manu, ascolta: sono un disastro, devo ancora rinfrescarmi da stamattina... Me la dài mezz'ora

Ridacchia, con la sua vocina nasale: «OK, anzi, ho già capito come butta, passo io da te.»

Manu è la migliore praticante arrivata allo studio di Paperoga, oltre che la più carina. In questi giorni è la pietra angolare del mio impegno professionale: mi assento per incontrare ex-guerriglieri acciaccati, e lei riceve i clienti, prepara le difese. Invitarla fuori a cena mi sembrava il minimo, ma anche il minimo è oltre la mia portata, in questi giorni.

Eau de toilette, filo interdentale, pettine e una camicia irlandese senza collo. Mi riprendo un attimo, e finalmente penso all'effetto doppler dell'ultima frase letta. Riprendo in mano il giornalino:

«Ricordo Leoni Beniamino, bolzanese; Leo, svizzero; Capruzzi, pugliese; Susan, sloveno; l'amico Tichetti, romano; Zozzi Attilio, emiliano...»

Zozzi Attilio. Sei tu. Ti ho trovato.

Ti ho trovato?

Sei proprio tu?

No, non ti ho trovato per un cazzo. E non so chi sei. All'appello risponde troppa gente. Quanti italiani c'erano nella guerra d'Indocina? Tutti disertori della Legione, o c'erano anche altri canali?

Mi concentro su "Zozzi Attilio". Ultimo avvistamento: un ospedale in Cina, la bellezza di quarantasei anni fa. Come lo trovo? Mi metto a battere le biblioteche, con un riferimento tanto vago? Telefono a tutti i "Zozzi" degli elenchi telefonici della regione? Non so nemmeno se il cognome è quello giusto: Zecchini non è di queste parti: dice "emiliano" e magari intende romagnolo, come io confondo friulani e giuliani. Quando parla un romagnolo, orecchie forestiere non sanno distinguere tra "s" e "z". Potrebbe anche essere "Sossi", o "Sozzi"... Che faccio, li chiamo uno per uno e chiedo: «Scusi, sono un avvocato, vorrei sapere se un suo parente è stato nella Legione Straniera e/o ha combattuto in Indocina contro i francesi

Telefonare a Vasquez.

«Pronto, sono Daniele. Come va? Più o meno bene? Senti, volevo sapere se poi l'hai trovato, quell'articolo sul romagnolo in Vietnam...»

«Macché, ancora no.»

«Senti, ti dice qualcosa ‘sto nome, "Attilio Zozzi"?»

«No, non mi sembra fosse quello. Perché, è un altro che ha combattuto in Indocina

Non ho tempo di raccontargli di Zecchini. Gli dico che ci vediamo domani, e riattacco.

Ho ancora in mano il giornalino. Mentre aspetto, finirò la storia.

 

Resti convalescente fino all'1 luglio 1955. Guarito, ti mandano nel Tonchino, a Nho Giang.

Nel frattempo c'è la conferenza di Ginevra, la divisione del paese al 17° parallelo: Vietnam del Nord, comunista, capitale Hanoi; Vietnam del Sud, capitalista, capitale Saigon.

Settembre 1955, decidi di rimanere in Vietnam. Lavori a sud di Hanoi, nel cantiere di Nin Binh, come operaio nel Genio pontieri.

Dopo qualche mese ti scrivono amici dalla Francia: c'è stato il processo per diserzione, il secondo della tua vita: sei condannato in contumacia a 18 anni di reclusione.

Nel 1957, chiedi il visto d'ingresso a Hong Kong, dove ci sono legazioni e consolati di quasi tutti i paesi. Insieme a te, altri due amici italiani: Gelso, napoletano e Mia, torinese.

Sembra un villaggio-vacanze. Rinuncio a speculare su come tutti questi italiani siano arrivati in Vietnam.

2 settembre 1957: un telegramma da Hong Kong ti avvisa che la domanda è stata accolta.

Scrivi a casa, a Spilimbergo. Avverti i tuoi genitori della possibilità di rientrare in Italia, ma anche delle difficoltà economiche. Tua madre scrive al Presidente della Repubblica Gronchi chiedendo un suo intervento. La first lady s'interessa al tuo caso, contatta la Croce Rossa Internazionale e i consolati italiani di Saigon e Hong Kong. Quelli promettono che ti daranno assistenza e avvisano le polizie locali.

15 novembre 1957, sbarcate a Hong Kong. La polizia britannica vi mette in contatto col consolato italiano, che manda un funzionario a prelevarvi.

 

Ci faremo venire a prendere e fuggiremo dentro una macchina dai finestrini fumés?

 

Nell'albergo in cui alloggiate arrivano giornalisti a intervistarvi: vi credono ex-prigionieri, vorrebbero sentire racconti di torture inflitte dai comunisti. Li deludete dicendo che avete collaborato col Vietminh nello spirito di Garibaldi, che combatté per l'indipendenza dei popoli latino-americani.

A Hong Kong c'è anche una troupe cinematografica italiana, guidata dal regista Carlo Lizzani, che vi invita a cena e si fa raccontare le vostre avventure.

Il consolato italiano vi prenota e paga il viaggio di rientro in Italia. Partite il 27 novembre con la motonave "Victoria" del Lloyd triestino.

Siete senza un soldo, ma quando il personale della nave sa che eravate col Vietminh fa una colletta e vi assicura il vino a tavola e le sigarette. Al bar, vi offrono da bere per solidarietà.

Il 20 dicembre sbarcate a Genova. Il natale del '57 lo passi in famiglia.

 

Che storia, di quelle che ti lasciano elettrizzato per diverse ore dopo averle lette, e influenzano l'umore del giorno dopo. Certo, sono in un vicolo cieco. Non credo che l'"indagine" possa proseguire di molto. Ma forse non è così importante. Il bizzarro inseguimento di un fantasma mi ha fatto scoprire una galleria di vicende e personaggi che sembrano sbucati fuori da romanzi d'avventura. Scavando dentro le pieghe della storia ho trovato uomini come Fausto Ferro, Derino Zecchini, Vittorio Caffeo... mio nonno, Teo e il comandante Bob.

E come per tutte le storie avvincenti, ora voglio saperne di più.

Una cosa è certa: sono più motivato e più incazzato di quando ho iniziato la ricerca, con una consapevolezza che piano piano si fa largo dentro di me.

Le storie sono asce di guerra da disseppellire.

 

Quando Manu sale per strapparmi alle fantasticherie, sono al computer e sto visitando un sito della Legione Straniera, <http://www.info-france.org/fr/missions/ambass/legion/legion.htm>:

 

Ciascun legionario è tuo fratello d'armi, qualunque sia la sua nazionalità, la sua razza, la sua religione. Tu gli manifesterai sempre la stretta solidarietà che deve unire i membri di una stessa famiglia.

In combattimento, tu agisci senza passioneodio, rispetti i nemici che hai vinto, non abbandoni mai i tuoi morti, né i feriti, né le armi.

 

«Ma che hai, sembri rincretinito!? Prendiamo la tua macchina, però guido io, non si sa mai.»

A cena (ristorante eritreo) non posso trattenermi dal raccontarle di Ferro e Zecchini. Parlo e al contempo temo di annoiarla, ma non cerca di cambiare argomento, non guarda mai da un'altra parte, anzi mi chiede più dettagli, delucidazioni, vuole il "riassunto delle puntate precedenti": l'amnistia ai fascisti, l'epurazione e la persecuzione dei partigiani...

Sono passato dall'afasia alla logorrea. A fine serata, mi sembra di aver parlato troppo, mi fa un po' male la mandibola, e forse sono stato troppo serioso. Ma, evidentemente, la pietra angolare del mio impegno professionale non la pensa così, perché quando ci fermiamo sotto casa sua mi guarda sorridendo e mi fa:

«Allora, sali da solo o devo spingerti su per le scale in punta di baionetta

 





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